sabato 31 luglio 2010

Egli ti darà la sua forza

Nei momenti di spossatezza, o di tedio, rivolgiti fiduciosamente al Signore, dicendogli, come quel nostro amico: “Gesù: vedi Tu che cosa ci puoi fare...: io sono già stanco prima di cominciare la lotta”. — Egli ti darà la sua forza. (Forgia, 244)

Vuoi sapere qual è il fondamento della nostra fedeltà?— Ti direi, a grandi linee, che si basa sull'amore di Dio, che fa vincere tutti gli ostacoli: l'egoismo, la superbia, la stanchezza, l'impazienza...— Un uomo che ama, calpesta sé stesso; sa che, pur amando con tutta l'anima, non sa ancora amare abbastanza. (Forgia, 532)

E Gesù, che ha acceso i nostri desideri, ci viene incontro e ci dice: Chi ha sete, venga a me e beva. Ci offre il suo Cuore, perché sia il nostro riposo e la nostra fortezza. Quando ci decideremo ad accettare la sua chiamata, sperimenteremo che le sue parole sono vere: la nostra fame e la nostra sete aumenteranno fino a desiderare che Dio stabilisca nel nostro cuore il luogo del suo riposo, e che non allontani mai più da noi il suo calore e la sua luce. (E' Gesù che passa, 170)
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Sant' Ignazio di Loyola

Sacerdote e fondatore : "Compagnia di Gesù" (S.J.)

Ignazio di Loyola, in spagnolo Íñigo López de Loyola, nacque il 24 dicembre 1491 nel castello di Loyola, nei paesi baschi. È l'ultimo di 13 figli di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona. Ignazio aveva solo sette anni quando morì sua madre.
Nel 1506, orfano anche di padre, è ad Arévalo, paggio al servizio di un parente, Juan Velázquez de Cuéllar, tesoriere (contador mayor) del re Ferdinando il Cattolico, e, come cortigiano, in quel periodo ebbe uno stile di vita dissoluto. Avendo ricevuto un’educazione cavalleresca, nel 1517, Ignazio prese servizio nell'esercito.

Il 20 maggio 1521, durante l'assedio della fortezza di Pamplona da parte dei Francesi, Ignazio rimane gravemente ferito alle gambe da una palla di cannone e viene ricondotto a Loyola. Durante la lunga degenza, ebbe l'occasione di leggere numerosi testi religiosi dedicati, in particolare, alla vita di Gesù e dei santi. Venne travolto dal desiderio di cambiare la sua vita e trascorrere un'esistenza basata sul proprio lavoro ed ispirata a S. Francesco d'Assisi e ad altre grandi figure spirituali.

Nel 1522 Ignazio si reca prima a Aranzazu (santuario vicino a Loyola) e poi a Montserrat (poco distante da Barcellona), presso l'abbazia benedettina, dove fa la confessione generale della sua vita. Alla vigilia della festa dell'Annunciazione, trascorre tutta la notte in preghiera in una singolare "veglia d'armi". Quindi depone i suoi abiti cavallereschi e, vestito da pellegrino, parte per Manresa (Catalogna), dove conduce per più di un anno una vita di preghiera e penitenza. Ignazio comincia a scrivere gli Esercizi Spirituali (Ejercicios espirituales). Presso il fiume Cardoner "riceve una grande illuminazione", da cui esce profondamente trasformato.

Nel 1523 arriva a Barcellona, da dove vorrebbe imbarcarsi per Gerusalemme. Si imbarca invece per Gaeta e da qui si dirige verso Roma dove incontra il Pp Adriano VI (Adriaan Florenszoon Boeyens), che benedice il suo prossimo pellegrinaggio nei luoghi santi. Da Venezia parte per la Terra Santa. Visita Gerusalemme, il Santo Sepolcro, Betania, Betlemme, il Giordano, il Monte degli olivi, e vorrebbe fermarsi in quei luoghi, ma deve rinunciare al suo progetto perché il superiore dei Francescani glielo proibisce.

Nel 1528 si iscrisse all'Università di Parigi, dove rimase sette anni, ampliando la sua cultura letteraria e teologica, e cercando di interessare gli altri studenti agli Esercizi Spirituali.
Entro il 1534 ebbe sei “seguaci” - Peter Faber (francese), Francis Xavier, Alfonso Salmeron, James Lainez, Nicholas Bobadilla (spagnoli), e Simao Rodrigues (portoghese).

Il 15 agosto del 1534, Ignazio e gli altri sei studenti si incontrarono a Montmartre, vicino Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà e castità e fondando la "Società di Gesù", allo scopo di eseguire lavoro missionario e di ospitalità a Gerusalemme o andare in qualsiasi luogo il Papa avesse ordinato loro.

Nel 1537 si recarono in Italia in cerca dell'approvazione papale per il loro ordine religioso. Papa Paolo III (Alessandro Farnese) li lodò e consentì loro di essere ordinati sacerdoti.
Vennero ordinati a Venezia dal vescovo di Arbe (ora Rab, in Croazia) il 24 giugno. Si dedicarono alla preghiera ed ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto tra l'imperatore, Venezia, il Papa e l'Impero Ottomano rendevano impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme.
Con Faber e Lainez, Ignazio si diresse a Roma nell'ottobre del 1538 per far approvare dal papa la costituzione del nuovo ordine. Una congregazione di cardinali si dimostrò favorevole al testo preparato da Ignazio e Pp Paolo III confermò l'ordine con la bolla papale “Regimini militantis ecclesiae” (27 settembre 1540), limitando, però, il numero dei suoi membri a sessanta. Questa limitazione venne rimossa tramite una successiva bolla, la “Iniunctum nobis”, del 14 marzo 1543. L'ultima e definitiva approvazione della Compagnia di Gesù è stata data nel 1550 con la bolla “Exposcit debitum” di Pp Giulio III.

Ignazio venne scelto come primo Preposito Generale e inviò i suoi compagni come missionari in giro per tutto il mondo per creare scuole, istituti, collegi e seminari.
Nel 1548, Ignazio fondò a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso “Primum ac Prototypum Collegium” ovvero “Messanense Collegium Prototypum Societatis”, e, quindi, prototipo di tutti gli altri collegi di insegnamento che i gesuiti fonderanno con successo nel mondo facendo dell'insegnamento la marca distintiva dell'ordine.

La regola di Ignazio diventò il motto non ufficiale dei gesuiti: “Ad Maiorem Dei Gloriam”. Tra il 1553 ed il 1555, Ignazio dettò al suo segretario, padre Gonçalves da Câmara, la storia della sua vita. Questa autobiografia, essenziale per la comprensione dei suoi Esercizi Spirituali, rimase però segreta per oltre 150 anni negli archivi dell'ordine, fino a che il testo non venne pubblicato negli “Acta Sanctorum”.

Rimasto a Roma per volere del papa, Ignazio coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e ad una cirrosi epatica mal curate; limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa. Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.

Fu beatificato il 27 luglio 1609 da Pp Paolo V (Camillo Borghese) e proclamato santo il 12 marzo 1622 da Pp Gregorio XV (Alessandro Ludovisi).

Il 23 luglio 1637 il suo corpo fu collocato in un'urna di bronzo dorato, nella Cappella di sant'Ignazio della Chiesa del Gesù in Roma. La statua del Santo, in argento, è opera di Pierre Legros. La festa religiosa viene celebrata il 31 luglio, giorno del suo “dies natalis”.

Significato del nome Ignazio : «di fuoco,igneo» (latino)

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Il martirio di Giovanni Battista, testimonianza alla verità

Catechismo della Chiesa Cattolica
Copyright © Libreria Editrice Vaticana § 2471-2474

Davanti a Pilato, Cristo proclama di essere « venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità » (Gv 18, 37). Il cristiano non deve vergognarsi « della testimonianza da rendere al Signore » (2 Tm 1, 8). Nelle situazioni in cui si richiede che si testimoni la fede, il cristiano ha il dovere di professarla senza equivoci, come ha fatto san Paolo davanti ai suoi giudici. Il credente deve « conservare una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini » (At 24, 16).

Il dovere dei cristiani di prendere parte alla vita della Chiesa li spinge ad agire come testimoni del Vangelo e degli obblighi che ne derivano. Tale testimonianza è trasmissione della fede in parole e opere. La testimonianza è un atto di giustizia che comprova o fa conoscere la verità. Tutti i cristiani, dovunque vivono, sono tenuti a manifestare con l'esempio della vita e con la testimonianza della parola l'uomo nuovo, che hanno rivestito col Battesimo, e la forza dello Spirito Santo, dal quale sono stati rinvigoriti con la Confermazione (Vaticano II).

Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede ; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza ...

Con la più grande cura la Chiesa ha raccolto i ricordi di coloro che, per testimoniare la fede, sono giunti sino alla fine. Si tratta degli Atti dei Martiri. Costituiscono gli archivi della Verità scritti a lettere di sangue :... « Ti benedico per avermi giudicato degno di questo giorno e di quest'ora, degno di essere annoverato tra i tuoi martiri... Tu hai mantenuto la tua promessa, o Dio della fedeltà e della verità. Per questa grazia e per tutte le cose, ti lodo, ti benedico, ti rendo gloria per mezzo di Gesù Cristo, sacerdote eterno e onnipotente, Figlio tuo diletto. Per lui, che vive e regna con te e con lo Spirito, sia gloria a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen » (San Policarpo).
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venerdì 30 luglio 2010

Volontà, energia, esempio

Volontà. —Energia. —Esempio. —Ciò che si deve fare, si fa... Senza tentennare... Senza riguardi. Altrimenti, né Cisneros sarebbe stato Cisneros; né Teresa de Ahumada, Santa Teresa...; né Iñigo de Loyola, Sant'Ignazio... Dio e audacia! —“Regnare Christum volumus!”. (Cammino, 11)

«Miles» soldato, chiama l'Apostolo il cristiano.Ebbene, in questa benedetta e cristiana guerra di amore e di pace per la felicità di tutte le anime, vi sono, nelle schiere di Dio, soldati stanchi, affamati, esausti per le ferite..., ma contenti: portano nel cuore le luci sicure della vittoria. (Solco, 75)

Non sai se quel che si è impadronito di te è esaurimento fisico oppure una specie di stanchezza interiore, o tutte e due le cose insieme...: lotti senza lotta, senza l'anelito di un autentico e concreto miglioramento, per appiccare la gioia e l'amore di Cristo alle anime.Voglio ricordarti le chiare parole dello Spirito Santo: sarà incoronato soltanto chi avrà combattuto legitime veramente, nonostante tutto.(Solco, 163)
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San Pietro Crisologo

Vescovo e Dottore della Chiesa

Pietro nasce ad Imola verso il 380; fu diacono di questa città e poi diacono e vescovo di Ravenna che, durante il suo episcopato, divenne metropoli ecclesiastica.

Pietro è uno dei più grandi pastori del suo tempo: predicatore famoso, e autore di stupendi sermoni pieni di pietà, si meritò il soprannome di “Chrysologus”, cioè “parola d’oro” e da Pp Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini), nel 1729, il titolo di Dottore della Chiesa.

Pietro visse l'ideale del vescovo che aveva tracciato in uno dei sermoni: “Essere in Cristo il libero servo di tutti”.
Nella sua vita c’è un momento ovviamente importantissimo per lui: quello della consacrazione a vescovo di Ravenna, tra il 431 e 433. Ma è importante pure tutto ciò che circonda l’evento. Innanzitutto c’è il papa in persona a consacrarlo: S. Sisto III , cioè l’uomo della pace religiosa dopo dissidi, scontri ed iniziative scismatiche, ispirate alle dottrine di Nestorio.

Quando Pietro tiene il suo primo discorso da vescovo, ad ascoltarlo, col papa, c’è anche Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, sorella dell’imperatore Onorio e ora madre e tutrice dell’imperatore Valentiniano III. E poi, intorno al vescovo, c’è Ravenna che ora è la capitale dell’impero, cerniera tra Oriente e Occidente. Ravenna, che manda e riceve corrieri da ogni parte, e quasi sempre con notizie tristi, perché l’impero è giunto alle sue ultime convulsioni.

In questa capitale e con questo clima, il vescovo Pietro guida la sua Chiesa con saggezza nel comando ma anche con un vivo interesse per le sorti materiali dei suoi fedeli, fornendo la città di un ricco acquedotto e promuovendo una vasta rete di carità.

Nella sua vita le date certe sono assai poche, ma la sua identità di uomo e di vescovo viene fuori chiaramente dai documenti che possediamo e dalle sue “parole d’oro” che ritroviamo nei circa 180 sermoni suoi che ci sono pervenuti. Inoltre, “la sua attività di predicatore ci ha lasciato soprattutto una documentazione inestimabile sulla liturgia di Ravenna e sulla cultura di questa città” (B. Studer). Una città che è formicolante crocevia di problemi e di incontri.

A trovare Pietro viene uno dei vescovi più illustri del tempo, Germano di Auxerre, che poi muore proprio a Ravenna nel 448, assistito da lui. Dall’Oriente lo consulta l’influente e discusso archimandrita Eutiche, in conflitto dottrinale col patriarca di Costantinopoli e con gran parte del clero circa le due nature in Gesù Cristo. Il vescovo di Ravenna gli risponde rimandandolo alla decisione del papa (che ora è Leone I) “per mezzo del quale il beato Pietro continua a insegnare, a coloro che la cercano, la verità della fede”.

Felice, vescovo di Ravenna dal 707 al 717, mise assieme una raccolta delle sue omelie, per un totale di centosessantotto; alcune di esse sono delle interpolazioni. Altre omelie scritte da Pietro sono invece incluse in altre raccolte sotto nomi diversi. In gran parte esse sono spiegazioni brevi e concise dei testi biblici. Pietro Crisologo spiegò in maniera molto bella il mistero dell’Incarnazione, le eresie di Ario e di Eutiche, il Simbolo apostolico; ha inoltre dedicato una serie di omelie alla Vergine Maria e a S. Giovanni Battista.

Gli studi di A. Olivar ci permettono oggi di avere un'idea sufficientemente precisa degli scritti autentici di Pietro Crisologo. Questi sono composti da una lettera, centosessantotto sermoni della Collectio Feliciana (sec. VIII) e quindici sermoni vari. Il Rotolo di Ravenna, così come altri scritti, non può essere attribuito a lui.

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Non è egli forse il figlio del carpentiere ?

Giovanni Paolo II
Redemptoris custos, 27

La comunione di vita tra Giuseppe e Gesù ci porta a considerare il mistero dell'Incarnazione proprio sotto l'aspetto dell'umanità di Cristo, strumento efficace della divinità in ordine alla santificazione degli uomini : « In forza della divinità le azioni umane di Cristo furono per noi salutari, causando in noi la grazia sia in ragione del merito, sia per una certa efficacia » (San Tommaso d'Aquino).

Tra queste azioni gli evangelisti privilegiano quelle riguardanti il mistero pasquale, ma non omettono di sottolineare l'importanza del contatto fisico con Gesù... La testimonianza apostolica non ha trascurato la narrazione della nascita di Gesù, della circoncisione, della presentazione al tempio, della fuga in Egitto e della vita nascosta a Nazaret a motivo del mistero di grazia contenuto in tali gesti, tutti salvifici, perché partecipi della stessa sorgente di amore : la divinità di Cristo. Se questo amore attraverso la sua umanità si irradiava su tutti gli uomini, ne erano certamente beneficiari in primo luogo coloro che la volontà divina aveva collocato nella sua più stretta intimità : Maria sua madre e il padre putativo Giuseppe.

Poiché l'amore paterno di Giuseppe non poteva non influire sull'amore filiale di Gesù e, viceversa, l'amore filiale di Gesù non poteva non influire sull'amore paterno di Giuseppe, come inoltrarsi nelle profondità di questa singolarissima relazione ? Le anime più sensibili agli impulsi dell'amore divino vedono a ragione in Giuseppe un luminoso esempio di vita interiore.
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giovedì 29 luglio 2010

Ogni giovedì leggete Matteo 6,24-34

Ogni giovedì, leggete di fronte al Santissimo Sacramento il passo del Vangelo di Matteo 6,24-34, e se non vi è possibile andare in Chiesa, fatelo nella vostra famiglia
(Messaggio dato attraverso Jelena, Medjugorje, 1 marzo 1984)

[24]Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona.
[25]Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?

[26]Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?
[27]E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?
[28]E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano.
[29]Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
[30]Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?
[31]Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?
[32]Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno.
[33]Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
[34]Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà gia le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
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Il regno di Dio è giunto al vostro cuore

Perché non provi a trasformare in servizio di Dio la tua vita tutta: il lavoro e il riposo, il pianto e il sorriso? — Lo puoi..., e lo devi! (Forgia, 679)

Attento a non cadere in quella malattia del carattere che ha per sintomi la mancanza di stabilità in tutto, la leggerezza nell'operare e nel dire, la superficialità...: in una parola, la frivolezza.
E la frivolezza —non dimenticarlo—, che rende i tuoi programmi quotidiani così vuoti (così “pieni di vuoto”), farà della tua vita, se non reagisci in tempo —non domani: adesso!— un fantoccio, morto e inutile. (Cammino, 17)

Per seguire le orme di Cristo, l'apostolo di oggi non viene a riformare nulla, né tanto meno a disinteressarsi della realtà storica che lo circonda... Gli basta agire come i primi cristiani, vivificando l'ambiente in cui si trova. (Solco, 302)

Come Cristo passò facendo il bene lungo le vie della Palestina, così anche voi, negli itinerari umani della famiglia, della società civile, delle relazioni professionali quotidiane, della cultura e del riposo, dovete compiere una grande semina di pace. Sarà questa la prova migliore che il regno di Dio è giunto al vostro cuore:
Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita — scrive l'apostolo Giovanni — perché amiamo i nostri fratelli. (E' Gesù che passa, 166)
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S. Marta

Marta di Betania (villaggio a circa 3 chilometri da Gerusalemme) è la sorella di Maria e di Lazzaro ; Gesù amava sostare a casa loro durante la predicazione in Giudea. Nei vangeli Marta e Maria sono citate in 3 occasioni mentre Lazzaro in 2:

1) « Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”.» (Lc 10,38-42)

2) « Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: “Signore, ecco, il tuo amico è malato”. All'udire questo, Gesù disse: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro... Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello.
Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà”. Gesù le disse: “Tuo fratello risusciterà”. Gli rispose Marta: “So che risusciterà nell'ultimo giorno”. Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?”. Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”. Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: “Il Maestro è qui e ti chiama”. Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: “Va al sepolcro per piangere là”. Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: “Dove l'avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: “Vedi come lo amava!”. Ma alcuni di loro dissero: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?”. Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: “Togliete la pietra!”. Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni”. Le disse Gesù: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. E, detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: “Scioglietelo e lasciatelo andare”. Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. » (Gv 11,1-46)

3) « Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. » (Gv 12,1-6). Lo stesso episodio é riportato da (Mt 26,6-13) (Mc 14,3-9).

Secondo la tradizione, dopo la resurrezione di Gesù Marta emigrò con sua sorella Maria di Betania e Maria Maddalena approdando nel 48 d.C. a Saintes-Maries-de-la-Mer, in Provenza, dopo le prime persecuzioni in patria, e qui portarono il credo cristiano.
Una delle leggende popolari narra come le paludi della zona (la Camargue) fossero abitate da un terribile mostro, la "tarasque" che passava il tempo a terrorizzare la popolazione. Marta, con la sola preghiera, lo fece rimpicciolire in dimensioni tali da renderlo innocuo, e lo condusse nella città di Tarascon.

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Chi crede in me vivrà

Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Trattato sul vangelo di Giovanni, 49,15

« Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno ». Che vuol dire questo ? « Chi crede in me, anche se è morto come è morto Lazzaro, vivrà », perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Così rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe : « Io sono il Dio di Abramo, il Dio d'lsacco e il Dio di Giacobbe ; non sono Dio dei morti ma dei viventi : essi infatti sono tutti vivi » (Lc 20, 38). Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai ; se non credi, sei morto anche se vivi... Quando è che muore l'anima? Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo ? Quando viene a mancare l'anima. La fede è l'anima della tua anima.

« Chi crede in me anche se è morto nel corpo, vivrà nell'anima, finché anche il corpo risorgerà per non più morire. E chiunque vive nel corpo e crede in me, anche se temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in eterno per la vita dello spirito e per la immortalità della risurrezione. »

Questo è il senso delle sue parole. « Lo credi tu ? » - domanda Gesù a Marta - ; Ed essa risponde : « Sì, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo (Gv 11, 26-27). E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la risurrezione, che tu sei la vita ; ho creduto che chi crede in te, anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in eterno. »
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mercoledì 28 luglio 2010

Medjugorje

Chi va a Medjugorje per vedere qualcosa potrebbe risparmiarsi i soldi del viaggio e staersene a casa.
Ma chi si reca per avanzare nel cammino verso la verità, verso l'approfondimento della propria
interiorità, può essere certo che Dio avendolo chiamato non lo abbandonerà.

Quando a sera il sole tramonta su Medjugorje verso ponente, ed il cielo assume sui monti le tinte dell'amore, colui che prega sa di essere molto vicino al traguardo dei suoi sogni più intimi,
dell'Eterno Amore.

E' questo il Messaggio di Medjugorje per questo millennio e per tutti i tempi.


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Vergine del Santo Rosario

Vergine del santo Rosario,
Sposa di Giuseppe e Madre di Cristo, Regina della famiglia, noi ci consacriamo a Te.
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Tu conosci, o Madre, quanto bello e grandeè il dono di essere famiglia, cuor solo e anima sola, riflesso nel tempo dell'eterno amore delle Tre persone divine.
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Ma tu vedi anche, o Madre, la nostra piccolezza, Tu vedi i pericoli, che insidiano il nostro cammino.
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Donaci col Tuo Rosario, di contemplare e assimilare il mistero del tuo Gesù, sorgente di amore, di gioia e di vita.Guida i nostri passi.
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Rendici costanti nella fedeltà,generosi nell'amore, aperti alla vita, forti nel dolore tesimoni del Vangelo nella famiglia e nella società.
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Madre della Santa famigliae Regina di tutte le famiglie del mondo: a Te ci affidiamo, in Te confidiamo.
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Sii Tu la nostra Madre e Regina,nel tempo e nell'eternità.
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Amen
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Non è difficile trasformare il lavoro in orazione

Lavoriamo, e lavoriamo molto e bene, senza dimenticare che la nostra arma migliore è l'orazione. Pertanto, non mi stanco di ripetere che dobbiamo essere anime contemplative in mezzo al mondo, che cercano di trasformare il loro lavoro in orazione. (Solco, 497)

Siate convinti che non è difficile trasformare il lavoro in un dialogo di preghiera. Non appena lo si è offerto e si è messo mano all'opera, Dio è già in ascolto, già infonde coraggio. Abbiamo raggiunto lo stile delle anime contemplative, in mezzo al lavoro quotidiano! Perché ci pervade la certezza che Egli ci vede, mentre ci richiede continui superamenti: quel piccolo sacrificio, quel sorriso a un importuno, il cominciare dall'occupazione meno piacevole ma più urgente, la cura dei dettagli di ordine, la perseveranza nel compimento del dovere quando sarebbe così facile interromperlo, il non rimandare a domani ciò che dobbiamo concludere oggi..., tutto per far piacere a Lui, a Dio nostro Padre! E magari, sul tavolo di lavoro o in un posto opportuno, che non richiama l'attenzione ma che a te serve da svegliarino dello spirito contemplativo, collochi il crocifisso, che per la tua anima e per la tua mente è il manuale da cui apprendi le lezioni di servizio.
Se ti decidi — senza singolarità, senza abbandonare il mondo, nel bel mezzo delle tue occupazioni abituali — ad avviarti per questi cammini contemplativi, ti sentirai immediatamente amico del Maestro, con il divino incarico di aprire i sentieri divini della terra a tutta l'umanità. Sì: con il tuo concreto lavoro contribuirai ad estendere il regno di Cristo in tutti i continenti.
Una dopo l'altra si succederanno le ore di lavoro offerte per le nazioni lontane che si aprono alla fede, per i popoli orientali ai quali è barbaramente impedito di professare liberamente la religione, per i paesi di antica tradizione cristiana in cui sembra che la luce del Vangelo si sia offuscata e che le anime si dibattano nelle tenebre dell'ignoranza... in questo modo, che grande valore assume un'ora di lavoro, perseverare con impegno costante ancora per un po', qualche minuto ancora, per terminare tutto bene! Stai trasformando, in modo semplice e pratico, la contemplazione in apostolato, come un'imperiosa necessità del cuore che batte all'unisono con il dolcissimo e misericordioso Cuore di Gesù, Signore nostro. (Amici di Dio, 67)
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SS. Nazario (o Nazaro) e Celso

Martiri a Milano

Nazario (o Nazaro) e Celso appartengono a quella schiera di santi martiri, dei primi secoli della cristianità, dove la “Passio” prende il posto delle scarse e incerte notizie storiche.

Fonte storica : Paolino, il biografo di S. Ambrogio, racconta del ritrovamento dei corpi di Nazaro e Celso da parte del vescovo di Milano poco dopo la morte dell’imperatore Teodosio (395); fu aperto dapprima il sepolcro di Nazaro e il corpo del martire apparve impregnato di sangue come se fosse stato effuso in quello stesso giorno. Anche il capo, rescisso, era integro, con i capelli e la barba. Subito dopo, racconta Paolino, S. Ambrogio, quasi per ispirazione divina, si recò al sepolcro di Celso.

Il corpo di Nazaro fu traslato nella basilica degli Apostoli, eretta da S. Ambrogio nel 386, che prese anche il nome di Nazaro, mentre il corpo di Celso rimase nello stesso luogo del ritrovamento, ove nel sec. X fu costruito un monastero.
Lo stesso Paolino attesta di non sapere chi fossero i due santi e quando siano stati martirizzati.
Col diffondersi del culto, verso la metà del V sec. fu composta una “passio”, che ebbe varie redazioni, ma che non ha alcun valore storico.

Secondo questo racconto, Nazario (cittadino romano) era figlio di un pagano di nome Africano e di una cristiana di nome Perpetua. Il padre voleva farne un sacerdote degli dei, ma la madre riuscì ad ottenergli il battesimo (secondo un altro racconto fu discepolo di Pietro e ricevette il battesimo dal futuro papa Lino).
Messosi subito a predicare la fede cristiana, venne accusato davanti all’imperatore ma riuscì ad allontanarsi da Roma e a rifugiarsi a Milano, dove incontrò i SS. Gervasio e Protasio. Avvertito da Dio in sogno, si recò a Cimiez, presso Nizza, dove una donna gli affidò il proprio figlio Celso, con il quale si recò a Treviri, in Germania.
Qui avrebbero subìto numerose persecuzioni e sarebbero stati arrestati ma, tuttavia, Nazario, quale cittadino romano, non fu torturato ma venne inviato a Roma per un regolare processo. Qui, al suo rifiuto di rinnegare la sua fede e sacrificare agli dei romani, venne condannato a morte. Secondo altre fonti la condanna a morte venne decisa dal governatore di Ventimiglia; ad ogni modo, insieme a Celso, venne imbarcato su una nave che doveva portarli al largo e gettarli in mare.

La leggenda vuole che, gettati in mare, si misero a camminare sulle acque; si scatenò allora una tempesta che terrorizzò i marinai, i quali chiesero aiuto a Nazario. Le acque si calmarono immediatamente e la nave sarebbe, infine, approdata a Genova; qui Nazario e Celso proseguirono la loro opera evangelizzatrice in tutta la Liguria negli anni 66 e 67.

Si spinsero poi fino a Milano, dove infine vennero arrestati e nuovamente condannati a morte dal prefetto Antolino: la sentenza fu eseguita per decapitazione nell'anno 76.
Il loro ricordo si perse fino al ritrovamento dei corpi da parte di S. Ambrogio, che ne diffuse il culto.

Chiese dedicate alla loro memoria si trovano a San Nazario (Salerno), Verona, Varazze, Asti, Cantarana, Varese, Arenzano, Poggio Imperiale, Vignola (MO), Gaggio Montano, Trivento (CB) e ad Avella (in abbandono).

La rappresentazione dei due martiri è abbastanza frequente, specialmente nel territorio della diocesi di Milano. Nazario, più anziano, è raffigurato in genere con la barba, mentre Celso in età giovanile. Talvolta indossano abiti militari e recano in mano la spada con la quale furono decapitati e la palma del martirio. Fra le diverse opere, c’è da rilevare a Brescia, nella chiesa dei Santi Nazario e Celso, i dipinti del Foppa e del Tiziano; a Milano, sul Duomo, la statua di S. Nazario scolpita da Antonio da Briosco (1414); a Carcassonne (Francia) la statua trecentesca, pure di S. Nazario, nel coro della chiesa a lui dedicata.

Significato dei nomi :
Nazario : "consacrato a Dio" (ebraico)
Celso : "alto, elevato, eccelso" (latino)

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Il tesoro nascosto nel campo delle Scritture

Sant'Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contro le Eresie, IV, 26 ; SC 100, 711

Cristo era presente a tutti coloro ai quali, dal principio, Dio comunicava la sua Parola, il suo Verbo. E se qualcuno legge la Scrittura in questa prospettiva, troverà in essa un'espressione concernente Cristo e una prefigurazione della chiamata nuova. Infatti è lui « il tesoro nascosto nel campo » cioè nel mondo (Mt 13, 38). Tesoro nascosto nelle Scritture, perché veniva manifestato attraverso figure e parabole che, umanamente parlando, non potevano essere intese prima che le profezie fossero compiute, cioè prima della venuta del Signore. Perciò è stato detto al profeta Daniele : « Chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine » (Dn 12, 4)... Anche Geremia dice : « Alla fine dei giorni comprenderete tutto ! » (Ger 22, 20)...

Letta dai cristiani la legge è un tesoro, un tempo nascosto in un campo, ma rivelato e spiegato dalla croce di Cristo ; ... essa manifesta la sapienza di Dio, rivela i suoi disegni di salvezza per l'uomo, prefigura il Regno di Cristo, preannuncia la Buona Novella dell'eredità della Gerusalemme santa, predice che l'uomo che ama Dio progredirà fino a vederlo ed a udire la sua parola, e sarà glorificato da questa parola...

In questo modo, dopo la sua risurrezione, il Signore ha spiegato le Scritture ai suoi discepoli, dimostrando loro con esse che « bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria » (Lc 24, 26). Quindi se qualcuno legge le Scritture in questo modo, sarà un discepolo perfetto, « simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e antiche » (Mt 13, 52)
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martedì 27 luglio 2010

Il lavoro è la prima vocazione dell'uomo

Il lavoro è la prima vocazione dell'uomo, è una benedizione di Dio, e si sbagliano, purtroppo, quelli che lo considerano un castigo. (Solco, 482)

Non appena fu creato, l'uomo dovette lavorare. Non sto inventando: basta aprire le prime pagine della Bibbia per leggere che — ancor prima che il peccato entrasse nell'umanità e, come conseguenza della trasgressione, comparissero la morte, le pene e le miserie [Cfr Rm 5, 12] — Dio formò Adamo col fango della terra, e creò per lui e per la sua discendenza questo mondo così bello, ut operaretur et custodiret illum [Gn 2, 15], perché lo lavorasse e lo custodisse.
Dobbiamo convincerci, pertanto, che il lavoro è una realtà meravigliosa che ci viene imposta come una legge inesorabile alla quale tutti, in un modo o nell'altro, siamo sottomessi, anche se qualcuno tenta di sottrarsi. Sappiatelo bene: quest'obbligo non è sorto come conseguenza del peccato originale, e tanto meno è una scoperta moderna. Si tratta di un mezzo necessario che Dio ci affida sulla terra, dando ampiezza ai nostri giorni e facendoci partecipi del suo potere creatore, affinché possiamo guadagnare il nostro sostentamento e, nello stesso tempo, raccogliere frutti per la vita eterna [Gv 4, 36]: l'uomo nasce per lavorare, come gli uccelli per volare [Gb 5, 7].
Potreste farmi osservare che sono passati molti secoli, e che ben pochi la pensano così; che la maggioranza, semmai, si affanna per motivi ben diversi: gli uni, per il denaro; altri, per mantenere la famiglia; altri ancora, per raggiungere una certa posizione sociale, per sviluppare le proprie capacità, per soddisfare passioni disordinate, per contribuire al progresso sociale. In generale, la gente affronta le proprio occupazioni come una necessità da cui non può sfuggire.Di fronte a questa visione piatta, egoista, gregaria, tu e io dobbiamo ricordarci e ricordare agli altri che siamo figli di Dio, ai quali, come ai personaggi della parabola evangelica, nostro Padre ha rivolto l'invito: Figlio, va' a lavorare nella vigna [Mt 21, 28]. Vi assicuro che, se ci impegniamo tutti i giorni a considerare i nostri doveri personali come una richiesta divina, impareremo a portare a termine il compito con la maggior perfezione umana e soprannaturale di cui siamo capaci. Forse qualche volta ci ribelleremo — come il figlio maggiore che rispose: Non voglio [Mt 21, 29] —, ma poi, pentiti, sapremo reagire, e ci dedicheremo con rinnovato impegno al compimento del dovere. (Amici di Dio, n. 57)
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Il seme buono sono i figli del regno

Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
A Simple Path, 69

Non ci sono due mondi, il mondo fisico e il mondo spirituale ; ce n'è solo uno : il Regno di Dio « come in cielo così in terra » (Mt 6, 10).

Molti tra noi dicono nella preghiera : « Padre nostro che sei nei cieli ». Pensano che Dio sia lassù, il che radica l'idea di una separazione fra i due mondi. A molti occidentali piace distinguere la materia dallo spirito. Ma ogni verità è una, e anche la realtà è una.
Appena ammettiamo l'incarnazione di Dio, che per i cristiani si realizza nella persona di Gesù Cristo, allora cominciamo a prendere le cose sul serio.
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lunedì 26 luglio 2010

Il mondo, luogo di incontro con Dio

Hai bisogno di formazione, perché devi avere un profondo senso di responsabilità, che promuova e incoraggi l'azione dei cattolici nella vita pubblica, nel rispetto dovuto alla libertà di ciascuno e ricordando a tutti che devono essere coerenti con la propria fede. (Forgia, 712)

Un uomo consapevole che il mondo - e non solo il tempio - è il luogo del suo incontro con Cristo, ama questo mondo, si sforza di raggiungere una buona preparazione intellettuale e professionale, e va formando - in piena libertà - il proprio criterio sui problemi dell'ambiente in cui opera; e di conseguenza prende le sue decisioni che, essendo decisioni di un cristiano, sono anche frutto di una riflessione personale, umilmente intesa a cogliere la Volontà di Dio in questi particolari piccoli e grandi della vita.
Ma a questo cristiano non viene mai in mente di credere o di dire che lui scende dal tempio al mondo per rappresentare la Chiesa, e che le sue scelte sono le soluzioni cattoliche di quei problemi. Questo non va, figli miei! Un atteggiamento del genere sarebbe clericalismo, cattolicesimo ufficiale o come volete chiamarlo. In ogni caso, vuol dire violentare la natura delle cose. Dovete diffondere dappertutto una vera mentalità laicale, che deve condurre a tre conclusioni:a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità;a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono - nelle materie opinabili - soluzioni diverse da quelle che sostiene ciascuno di noi;e a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane.
Interpretate quindi le mie parole per quello che sono: un appello all'esercizio - tutti i giorni! e non solo nelle situazioni di emergenza - dei vostri diritti; e all'esemplare compimento dei vostri doveri di cittadini - nella vita politica, nella vita economica, nella vita universitaria, nella vita professionale - addossandovi coraggiosamente tutte le conseguenze delle vostre libere decisioni, assumendo la responsabilità dell'indipendenza personale che vi spetta. E questa cristiana mentalità laicale vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia - per dirlo in modo positivo - vi farà convivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale. (Colloqui, 117-118)
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Preghiere ai Santi Anna e Gioacchino


Preghiera a S. Anna rivelata a S. BrigidaNelle Rivelazioni di S. Brigida (l. VI, e. 104)' si legge che la Santa ebbe in dono dall'Abate di S. Paolo fuori mura di Roma una reliquia del Braccio di S. Anna che conservasi colà nella ricca cappella delle Reliquie. Ora mentre essa pensava al modo di collocare tali Reliquie della Santa Avola di Gesù per custodirle ed onorarle nel modo più degno, le apparve S. Anna stessa che le disse: « Io sono Anna, la Patrona di tutti i coniugati che furono prima delle legge di grazia; e sono la Madre di tutti i coniugati cristiani, perchè Dio volle prendere carne dalla mia discendenza, e perciò tu, figlia mia, invocherai il Signore con.questa preghiera:

Sii benedetto, o Gesù, Figlio di Dio e della Vergine, che ti degna­sti eleggerti per Madre Colei che fu il frutto del sacro coniugio di Anna e Gioacchino; per le preghiere di entrambi abbi pietà di tutti coloro che vivono nello stato coniugale, affinchè si accre­sca il numero dei glorificatori di Dio. Così sia.


Preghiera a Sant’Anna per la protezione dei figli
Gloriosa Sant'Anna, protettrice delle famiglie cristiane, a te a do i miei figli. So che li ho ricevuti da Dio e che a Dio appartengono. Pertanto ti prego di concedermi la grazia di accettare ciò che la Divina Provvidenza ha disposto per loro.
Benedicili, o misericordiosa Sant’Anna e mettili sotto la tua protezione.
Non ti chiedo per loro privilegi eccezionali. Solamente desidero consacrarti le loro anime e i loro corpi, affinché tu ci possa preservare da ogni male.
A te affido le loro necessità temporali e la loro salvezza eterna. Imprimi nei loro cuori, o mia buona Sant'Anna, l'orrore del peccato, allontanali dal vizio, preservali dalla corruzione, conserva nelle loro anime la Fede, la rettitudine e i sentimenti cristiani ed insegna loro ad amare Dio sopra ogni cosa, come lo hai insegnato alla tua purissima Figlia, l'immacolata Vergine Maria.
Sant'Anna, tu che sei stata specchio di pazienza, concedimi la virtù di affrontare con pazienza e amore le difficoltà che si presentano nell'educazione dei miei figli. Per loro e per me, chiedo la tua benedizione, o madre celeste piena di bontà. Che ti onoriamo sempre, come Gesù e Maria, che viviamo conformemente alla volontà di Dio e che dopo questa vita incontriamo la beatitudine nell'altra, riunendoci a te nella gloria per tutta l'eternità Così sia.

Preghiera a S. Anna per ottenere qualunque grazia
Prostrato ai piedi del tuo trono o grande e gloriosa S. Anna, vengo ad umiliarti la mia fervida prece, la preghiera del cuore; accoglila benigna rendimi grazie, prega per me.
La terra è veramente la valle del pianto - il cammino della vita è se­minato di spine - il cuore in tempe­sta sente forte i colpi del dolore - aiutami Tu, esaudiscimi Tu. O Ma­dre cara prega per me.
Stanco di piangere, senza una parola di conforto e di speranza; oppresso sotto il peso delle tribo­lazioni solo in Te, che ben intendi il dolore di un'anima, ripongo dopo Dio e la Vergine la speranza mia. O madre cara prega per me.
I miei peccati furon causa di farmi perdere la pace del cuore - l'incertezza del perdono mi rende più triste la vita - impetrami Tu la misericordia divina, l'amore a Ge­sù, la protezione della Figlia Tua O madre S. Anna prega per me.
Guarda la casa mia, la famiglia mia - Vedi quante disgrazie mi op­primono quante tribolazioni mi sono d'intorno... O Madre cara Ti chiedo la pace e la provvidenza, la pace dell'anima soprattutto. Prega per me.
Ed ora che ho bisogno di grazie non mi abbandonare Tu che sei po­tente presso il trono di Dio. Allon­tana da me la tristezza e la deso­lazione, i pericoli, i flagelli del Si­gnore. Benedici e salva l'anima mia; fa che in vita e in morte io Ti chiami e Ti senta vicina. Prega per me, o dolce consolatrice degli af­flitti. Fa che un giorno sia ai Tuoi piedi nel santo Paradiso. Così sia.

Pater, Ave, Gloria.

Preghiera a S. Anna
O benedetta fra le madri, gloriosa Sant'Anna,che aveste per figlia a voi sogget­ta ed obbediente la Madre di Dio,ammiro l'al­tezza della vostra elezione e le grazie di cui vi adornò l'Altissimo!
Mi unisco a Maria Santissima sempre Vergine nell'onorarvi,nel­l'amarvi, nell'affidarmi alla vostra tutela.
A Gesù, a Maria e a Voi, consacro tutta la mia vitacome un'umile offerta della mia devozione.Voi ottenetemi la grazia di essere degno del Paradiso. Così sia.

3 Gloria al Padre...
Sant’Anna prega per noi

Preghiera a San Gioacchino
O grande e glorioso Patriarca San Gioacchino,quanto sono felice pensando che fosti eletto,fra tutti i Santi a cooperare ai divini misterie ad arricchire il mondo della Madre di Dio, Maria Santissima!
Per questo singolare privilegio divenisti potentissimo presso la Madre ed il Figlio, per ottenerci le grazie necessarie.
Con tale fiducia ricorro alla tua protezionee Ti raccomando tutte le necessità mie e della mia famiglia, spirituali e temporali;Ti raccomando inoltre, la grazia particolare che desideroe che attendo dalla tua paterna intercessione.
E poiché fosti modello perfetto di vita interiore,ottienimi il raccoglimento e il distacco da tutti i beni passeggeridi questa terra e un amore vivo e perseverante a Gesù e a Maria.
Ti prego di implorare per me all'Eterno Padre, devozione ed obbedienza sinceraalla santa Chiesa e al Sommo Pontefice che la governa e ti prego di chiedere al Signoreche io possa vivere e morire nella fede, speranza e carità perfetta,invocando i nomi santissimi di Gesù e di Maria, e salvarmi. Amen.

3 Gloria al Padre...

San Gioacchino, felice padre della Madre di Dio prega per noi.

Giaculatorie a S. Anna
O Madre di Maria Arda ognor per Gesù l'anima mia.
O Madre di Maria benedite dal ciel l'anima mia
O Madre di Maria si rallegra con voi l'anima mia
O Madre di Maria dirigete a Gesù l'anima mia
O Madre di Maria riempite di Gesù l'anima mia
O Madre di Maria proteggete dal ciel l'anima mia
O Madre di Maria illuminate dal ciel l'anima mia
O Madre di Maria ornate di virtù l'anima mia
O Madre di Maria consolate dal ciel l'anima mia
O Madre di Maria viva sempre Gesù nell'anima mia
O Madre di Maria imiti i vostri esempi l'anima mia
O Madre di Maria zeli di voi l'onor l'anima mia
O Madre di Maria esaudite dal ciel l'anima mia
O Madre di Maria beata sia con Voi quest'anima mia
O Madre di Maria mirate con pietà l'anima mia
O Madre di Maria lodi con Voi Gesù l'anima mia.

Amen, Amen, Amen
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SS. Anna e Gioacchino

Anna e Gioacchino sono i genitori della Beata Vergine Maria. I Padri della Chiesa li hanno spesso ricordato nelle loro opere. Splendide, per esempio, le parole di san Giovanni Damasceno, vescovo : « Poiché doveva avvenire che la Vergine Madre di Dio nascesse da Anna, la natura non osò precedere il germe della grazia; ma rimase senza il proprio frutto perché la grazia producesse il suo. Doveva nascere, infatti, quella primogenita dalla quale sarebbe nato il primogenito di ogni creatura “nel quale tutte le cose sussistono” (Col 1,17). O felice coppia, Gioacchino ed Anna! A voi è debitrice ogni creatura, perché per voi la creatura ha offerto al Creatore il dono più gradito, ossia quella casta madre, che sola era degna del creatore... O Gioacchino ed Anna, coppia castissima! Voi, conservando la castità prescritta dalla legge naturale, avete conseguito, per divina virtù, ciò che supera la natura: avete donato al mondo la madre di Dio che non conobbe uomo. Voi, conducendo una vita pia e santa nella condizione umana, avete dato alla luce una figlia più grande degli angeli ed ora regina degli angeli stessi... »

Nonostante che di S. Anna ci siano poche notizie, e per giunta provenienti da testi né ufficiali né canonici, il suo culto è estremamente diffuso sia in Oriente (VI sec.) che in Occidente (X sec. - quello di Gioacchino nel XIV sec.).
Quasi ogni città ha una chiesa a lei dedicata, Caserta la considera sua celeste Patrona, il nome di Anna si ripete nelle intestazioni di strade, rioni di città, cliniche ed altri luoghi; alcuni Comuni portano il suo nome. La madre della Vergine, è titolare di svariati patronati quasi tutti legati a Maria ma soprattutto patrona delle madri di famiglia, delle vedove, delle partorienti; è invocata nei parti difficili e contro la sterilità coniugale.

Anna deriva dall'ebraico Hannah (grazia) e non è ricordata nei Vangeli canonici; ne parlano invece i vangeli apocrifi della Natività e dell'Infanzia, di cui il più antico è il cosiddetto « Protovangelo di san Giacomo », scritto non oltre la metà del II secolo.
Questo narra che Gioacchino, sposo di Anna, era un uomo pio e molto ricco e abitava vicino Gerusalemme, nei pressi della fonte Piscina Probatica. Un giorno mentre stava portando le sue abbondanti offerte al Tempio, come faceva ogni anno, il gran sacerdote Ruben lo fermò dicendogli: “Tu non hai il diritto di farlo per primo, perché non hai generato prole”.

Gioacchino ed Anna erano sposi che si amavano veramente, ma non avevano figli e ormai data l'età non ne avrebbero più avuti; secondo la mentalità ebraica del tempo, il gran sacerdote scorgeva la maledizione divina su di loro, perciò erano sterili. L'anziano ricco pastore, per l'amore che portava alla sua sposa, non voleva trovarsi un'altra donna per avere un figlio; pertanto, addolorato dalle parole del gran sacerdote, si recò nell'archivio delle dodici tribù d’Israele per verificare se quel che diceva Ruben fosse vero e una volta constatato che tutti gli uomini pii ed osservanti avevano avuto figli, sconvolto, non ebbe il coraggio di tornare a casa e si ritirò in una sua terra di montagna e per quaranta giorni e quaranta notti supplicò l'aiuto di Dio fra lacrime, preghiere e digiuni. Anche Anna soffriva per questa sterilità, a ciò si aggiunse la sofferenza per questa "fuga" del marito; quindi si mise in intensa preghiera chiedendo a Dio di esaudire la loro implorazione di avere un figlio.

Durante la preghiera le apparve un angelo che le annunciò: “Anna, Anna, il Signore ha ascoltato la tua preghiera e tu concepirai e partorirai e si parlerà della tua prole in tutto il mondo”. Così avvenne e dopo alcuni mesi Anna partorì. Il « Protovangelo di san Giacomo » conclude: « Trascorsi i giorni necessari..., diede la poppa alla bimba chiamandola Maria, ossia “Prediletta del Signore”».

Molti Pontefici si occuparono dei SS. Anna e Gioacchino :
Gregorio XV (Alessandro Ludovisi, 1621-1623) ne fece comporre interamente l’Ufficio divino; Clemente XI (Giovanni Francesco Albani, 1700-1721) fissò la festa all’ottava dell’Assunzione; Leone XIII (Gioacchino Pecci, 1878-1903) ne elevò il rito; S. Pio X (Giuseppe Sarto, 1903-1914) fissò la data il 16 agosto ed infine il Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978), nella riforma del Calendario Liturgico, collocò definitivamente la loro festa il 26 luglio.

Significato dei nomi :
Anna : "grazia, la benefica" (ebraico).
Gioacchino : "Dio solleva" (ebraico).

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La parabola del lievito

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d'Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelia sul Vangelo di San Matteo, 46, 2-3

Il Signore presenta, in seguito, l'immagine del lievito : come questo lievito comunica la sua forza alla massa di farina, così trasformerete, anche voi, il mondo intero... Non mi obiettate : cosa potremo fare, noi che siamo soltanto dodici, gettati in mezzo a una folla così grande ? Ciò che farà risaltare lo splendore della vostra potenza, è proprio il fatto che affrontiate la moltitudine senza indietreggiare... È solo Cristo che dà al lievito la sua potenza : ha impastato con la moltitudine, quelli che avevano fede in lui, perché ci comunicassimo gli uni agli altri le nostre conoscenze. Non lo si rimproveri per il numero ridotto dei suoi discepoli, perché grande è la potenza del messaggio ; e quando la massa è fermentata, diviene essa stessa, a sua volta, lievito per il resto...

Ma, se dodici uomini hanno fatto lievitare la terra intera, quanto siamo cattivi noi che, nonostante il nostro numero considerabile, non riusciamo a convertire quelli che ci circondano, quando un tale numero dovrebbe bastare per essere lievito per migliaia di mondi ! – Questi dodici però, direte, erano Apostoli ! – E allora ? Non erano forse nelle stesse condizioni di noi. Non abitavano in città ? Non condividevano la nostra sorte ? Non esercitavano mestieri ? Erano forse angeli scesi dal cielo ? Dite che hanno fatto miracoli ? Però non è per questo motivo che li ammiriamo. Fino a quando parleremo dei loro miracoli per nascondere la nostra pigrizia ?...– Allora da dove viene la grandezza degli Apostoli ? – Dal loro disprezzo delle ricchezze, dal loro disdegno della gloria... È il loro modo di vivere che dà il vero splendore e fa scendere la grazia dello Spirito.
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Messaggio Medjugorje 25/07/2010


Cari figli, vi invito di nuovo a seguirmi con gioia.

Desidero guidarvi tutti a mio Figlio e vostro Salvatore.

Non siete coscienti che senza di Lui non avete gioia e pace e neanche futuro e vita eterna.

Perciò figlioli, approfittate di questo tempo di preghiera gioiosa e abbandono.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

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domenica 25 luglio 2010

Il Signore - dicono! - li abbandona: che cosa fanno, loro, con Dio?

C'è una notevolissima quantità di cristiani che sarebbero apostoli..., se non avessero paura. Sono gli stessi che poi si lamentano, perché il Signore - dicono! - li abbandona: che cosa fanno, loro, con Dio? (Solco, 103)

La nostra missione di cristiani è di proclamare la regalità di Cristo, annunciandola con le nostre parole e le nostre opere. Il Signore vuole che i suoi fedeli raggiungano ogni angolo della terra. Ne chiama alcuni nel deserto, lontano dalle preoccupazioni della società umana, per ricordare agli altri, con la loro testimonianza, che Dio esiste.
Ad altri affida il ministero sacerdotale. Ma i più li vuole in mezzo al mondo, nelle occupazioni terrene. Pertanto, questi cristiani devono portare Cristo in tutti gli ambienti in cui gli uomini agiscono: nelle fabbriche, nei laboratori, nei campi, nelle botteghe degli artigiani, nelle strade delle grandi città e nei sentieri di montagna.Mi piace ricordare a questo proposito la scena della conversazione di Cristo coi discepoli di Emmaus. Gesù cammina insieme a due uomini che hanno perso quasi ogni speranza, tanto che la vita comincia a sembrar loro priva di significato. Ne comprende il dolore, entra nel loro cuore, comunica loro qualcosa della vita che palpita in Lui. Quando arrivano al villaggio e Gesù fa mostra di proseguire, quei due discepoli lo trattengono e quasi lo costringono a restare con loro.
Lo riconoscono più tardi, quando spezza il pane: « Il Signore — esclamano — è stato con noi ». Ed essi si dissero l'un l'altro: « Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture? ». Ogni cristiano deve rendere presente Cristo fra gli uomini; deve agire in modo tale che quelli che lo avvicinano riconoscano il bonus odor Christi, il profumo di Cristo; deve comportarsi in modo che nelle azioni del discepolo si scorga il volto del maestro. (E' Gesù che passa, 15)
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San Giacomo il Maggiore

1° martire dei dodici apostoli

Catechesi di Papa Benedetto XVI (Mercoledì, 21 giugno 2006)
Cari fratelli e sorelle,
proseguendo nella serie di ritratti degli Apostoli scelti direttamente da Gesù durante la sua vita terrena. Abbiamo parlato di san Pietro, di suo fratello Andrea. Oggi incontriamo la figura di Giacomo. Gli elenchi biblici dei Dodici menzionano due persone con questo nome: Giacomo figlio di Zebedeo e Giacomo figlio di Alfeo (cfr Mc 3,17.18; Mt 10,2-3), che vengono comunemente distinti con gli appellativi di Giacomo il Maggiore e Giacomo il Minore. Queste designazioni non vogliono certo misurare la loro santità, ma soltanto prendere atto del diverso rilievo che essi ricevono negli scritti del Nuovo Testamento e, in particolare, nel quadro della vita terrena di Gesù. Oggi dedichiamo la nostra attenzione al primo di questi due personaggi omonimi.

Il nome Giacomo è la traduzione di Iákobos, forma grecizzata del nome del celebre patriarca Giacobbe. L’apostolo così chiamato è fratello di Giovanni, e negli elenchi suddetti occupa il secondo posto subito dopo Pietro, come in Marco (3,17), o il terzo posto dopo Pietro e Andrea nei Vangeli di Matteo (10,2) e di Luca (6,14), mentre negli Atti viene dopo Pietro e Giovanni (1,13). Questo Giacomo appartiene, insieme con Pietro e Giovanni, al gruppo dei tre discepoli privilegiati che sono stati ammessi da Gesù a momenti importanti della sua vita.

Poiché fa molto caldo, vorrei abbreviare e menzionare qui solo due di queste occasioni. Egli ha potuto partecipare, insieme con Pietro e Giovanni, al momento dell’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani e all’evento della Trasfigurazione di Gesù. Si tratta quindi di situazioni molto diverse l’una dall’altra: in un caso, Giacomo con gli altri due Apostoli sperimenta la gloria del Signore, lo vede nel colloquio con Mosé ed Elia, vede trasparire lo splendore divino in Gesù; nell’altro si trova di fronte alla sofferenza e all’umiliazione, vede con i propri occhi come il Figlio di Dio si umilia facendosi obbediente fino alla morte. Certamente la seconda esperienza costituì per lui l’occasione di una maturazione nella fede, per correggere l’interpretazione unilaterale, trionfalista della prima: egli dovette intravedere che il Messia, atteso dal popolo giudaico come un trionfatore, in realtà non era soltanto circonfuso di onore e di gloria, ma anche di patimenti e di debolezza. La gloria di Cristo si realizza proprio nella Croce, nella partecipazione alle nostre sofferenze.

Questa maturazione della fede fu portata a compimento dallo Spirito Santo nella Pentecoste, così che Giacomo, quando venne il momento della suprema testimonianza, non si tirò indietro. All’inizio degli anni 40 del I secolo il re Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande, come ci informa Luca, “cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa, e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni” (At 12,1-2). La stringatezza della notizia, priva di ogni dettaglio narrativo, rivela, da una parte, quanto fosse normale per i cristiani testimoniare il Signore con la propria vita e, dall’altra, quanto Giacomo avesse una posizione di spicco nella Chiesa di Gerusalemme, anche a motivo del ruolo svolto durante l’esistenza terrena di Gesù. Una tradizione successiva, risalente almeno a Isidoro di Siviglia, racconta di un suo soggiorno in Spagna per evangelizzare quella importante regione dell'impero romano. Secondo un’altra tradizione, sarebbe invece stato il suo corpo ad essere trasportato in Spagna, nella città di Santiago di Compostella. Come tutti sappiamo, quel luogo divenne oggetto di grande venerazione ed è tuttora mèta di numerosi pellegrinaggi, non solo dall’Europa ma da tutto il mondo. (Nel 1989 il Servo di Dio Giovanni Paolo II, insieme a migliaia di giovani da tutto il mondo, ha fatto il «Cammino di Compostella»). È così che si spiega la rappresentazione iconografica di san Giacomo con in mano il bastone del pellegrino e il rotolo del Vangelo, caratteristiche dell’apostolo itinerante e dedito all’annuncio della “buona notizia”, caratteristiche del pellegrinaggio della vita cristiana.

Da san Giacomo, dunque, possiamo imparare molte cose: la prontezza ad accogliere la chiamata del Signore anche quando ci chiede di lasciare la “barca” delle nostre sicurezze umane, l’entusiasmo nel seguirlo sulle strade che Egli ci indica al di là di ogni nostra illusoria presunzione, la disponibilità a testimoniarlo con coraggio, se necessario, fino al sacrificio supremo della vita. Così Giacomo il Maggiore si pone davanti a noi come esempio eloquente di generosa adesione a Cristo. Egli, che inizialmente aveva chiesto, tramite sua madre, di sedere con il fratello accanto al Maestro nel suo Regno, fu proprio il primo a bere il calice della passione, a condividere con gli Apostoli il martirio.

E alla fine, riassumendo tutto, possiamo dire che il cammino non solo esteriore ma soprattutto interiore, dal monte della Trasfigurazione al monte dell’agonia, simbolizza tutto il pellegrinaggio della vita cristiana, fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, come dice il Concilio Vaticano II. Seguendo Gesù come san Giacomo, sappiamo, anche nelle difficoltà, che andiamo sulla strada giusta.

Significato del nome Giacomo : "che segue Dio" (ebraico)

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Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste ?

Giovanni Paolo II Dives in misericordia, cap. 8,15

Quanto più la coscienza umana, soccombendo alla secolarizzazione, perde il senso del significato stesso della parola «misericordia», quanto più, allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della misericordia, tanto più la Chiesa ha il diritto e il dovere di far appello al Dio della misericordia «con forti grida» (Mt 15, 23). Queste «forti grida» debbono essere proprie della Chiesa dei nostri tempi...

L'uomo contemporaneo si interroga spesso, con profonda ansia, circa la soluzione delle terribili tensioni che si sono accumulate sul mondo e si intrecciano in mezzo agli uomini. E se talvolta non ha il coraggio di pronunciare la parola «misericordia», oppure nella sua coscienza, priva di contenuto religioso, non ne trova l'equivalente, tanto più bisogna che la Chiesa pronunci questa parola, non soltanto in nome proprio, ma anche in nome di tutti gli uomini contemporanei. Bisogna che la pronunci in un'ardente preghiera, in un grido che implori la misericordia secondo le necessità dell'uomo nel mondo contemporaneo.

Questo grido sia denso di tutta quella verità sulla misericordia che ha trovato cosi ricca espressione nella Sacra Scrittura e nella tradizione, come anche nell'autentica vita di fede di tante generazioni del Popolo di Dio. Con tale grido ci richiamiamo, come gli scrittori sacri, al Dio che non può disprezzare nulla di ciò che ha creato, al Dio che è fedele a se stesso, alla sua paternità e al suo amore.
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sabato 24 luglio 2010

Mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane

Qualsiasi attività — umanamente importante o no — deve trasformarsi per te in un mezzo per servire il Signore e gli uomini: è questa la vera misura della sua importanza. (Forgia, 684)

Lavora sempre, e in tutto, con sacrificio, per mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane.(Forgia, 685)

La corrispondenza alla grazia sta anche nelle piccole cose della giornata, che sembrano senza importanza e, invece, hanno la trascendenza dell'Amore.(Forgia, 686)

Non bisogna dimenticare che il lavoro umanamente degno, nobile e onesto, può — e deve! — essere elevato all'ordine soprannaturale, e diventare un'occupazione divina. (Forgia, 687)

Gesù, nostro Signore e Modello, crescendo e vivendo come uno di noi, ci rivela che l'esistenza umana — la tua —, le occupazioni comuni e ordinarie, hanno un senso divino, di eternità.(Forgia, 688)
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San Charbel Makhluf

Monaco, presbitero ed eremita

Charbel, al secolo Youssef, Makhluf , nacque a Beqaa-Kafra (Libano) l’8 maggio 1828. Quinto figlio di Antun e di Brigitte Chidiac, entrambi contadini, fin da piccolo parve manifestare grande spiritualità. A 3 anni rimase orfano di padre e sua madre si risposò con un uomo molto religioso che successivamente ricevette il ministero del diaconato.

All'età di 14 anni si dedica a curare un gregge di pecore vicino alla casa paterna e, in questo periodo, iniziano le sue prime e autentiche esperienze riguardanti la preghiera: si ritirava costantemente in una caverna che aveva scoperto vicino ai pascoli (oggi è chiamata “la grotta del santo”). A parte il suo patrigno (diacono), Youssef ebbe due zii materni che erano eremiti e appartenenti all'Ordine Libanese Maronita. Da essi accorreva con frequenza trascorrendo molte ore in conversazioni riguardanti la vocazione religiosa e il monacato, che ogni volta si fa più significativo per Lui.

All'età di 23 anni, Youssef ascoltò la voce di Dio “Lascia tutto, vieni e seguimi”, si decide, e quindi, senza salutare nessuno, nemmeno sua madre, una mattina dell'anno 1851, si dirige al convento della Madonna di Mayfouq, dove sarà ricevuto prima come postulante e poi come novizio, facendo una vita esemplare sin dal primo momento, soprattutto riguardo all'obbedienza. Quì Youssef prese l'abito di novizio e scelse il nome Charbel, un martire di Edessa vissuto nel secondo secolo.
Passato qualche tempo fu trasferito al convento di Annaya, dove professò i voti perpetui come monaco nel 1853. Subito dopo, l'obbedienza lo portò al monastero di S. Cipriano di Kfifen (nome del paese), dove realizzò i suoi studi di filosofia e teologia, facendo una vita esemplare soprattutto nell'osservanza della Regola del suo Ordine.

Fu ordinato sacerdote il 23 luglio 1859 e, dopo poco tempo, ritornò al monastero di Annaya per ordine dei suoi superiori. Lì passò lunghi anni, sempre come esempio per tutti i suoi confratelli, nelle diverse attività che lo coinvolgevano: l'apostolato, la cura dei malati, cura delle anime ed il lavoro manuale (più è umile meglio è).

Il 13 febbraio del 1875, dietro sua richiesta ottenne dal Superiore di farsi eremita nel vicino eremo situato a 1400 m. sul livello del mare, dove si sottopose alle più dure mortificazioni.
Il 16 dicembre 1898, mentre celebrava la S. Messa in rito Siro-maronita, lo colse un colpo apoplettico; trasportato nella sua stanza vi passò otto giorni di sofferenze ed agonia finché il 24 dicembre lasciò questo mondo.

A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari sulla sua tomba. Questa fu aperta e il corpo fu trovato intatto e morbido; rimesso in un'altra cassa, fu collocato in una cappella appositamente preparata, e dato che il suo corpo emetteva del sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana.
Col passare del tempo, ed in vista dei miracoli che Charbel faceva e del culto di cui era oggetto, il P. Superiore generale Ignacio Dagher andò a Roma, nel 1925, per sollecitare l'apertura del processo di beatificazione.
Nel 1927 la bara fu di nuovo sotterrata. Nel febbraio del 1950 monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido viscido, e, supponendo un'infiltrazione d'acqua, fu riaperto il sepolcro davanti a tutta la Comunità monastica: la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso di Charbel e il volto rimase impresso sul panno.
Sempre nel 1950, ad aprile, le autorità religiose superiori, con una apposita commissione di tre noti medici, riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927. Fuori la folla implorava con preghiere la guarigione di infermi lì portati da parenti e fedeli ed infatti molte guarigioni istantanee ebbero luogo in quell'occasione. Si sentiva da più parti gridare: “Miracolo! Miracolo!” Fra la folla vi era chi chiedeva la grazia anche non essendo cristiano.

Durante la chiusura del concilio Vaticano II, il 5 dicembre 1965, il Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini) lo beatificò, con le seguenti parole: “un eremita della montagna libanese è iscritto nel numero dei Venerabili... un nuovo membro di santità monastica arricchisce con il suo esempio e con la sua intercessione tutto il popolo cristiano. Egli può farci capire, in un mondo affascinato per il comfort e la ricchezza, il grande valore della povertà, della penitenza e dell'ascetismo, per liberare l'anima nella sua ascensione a Dio”.

Il 9 ottobre 1977, lo stesso Papa, proclamò Charbel ufficialmente santo, nel corso della cerimonia celebratasi in San Pietro.

Innamorato dell'Eucaristia e della Santa Vergine Maria, S. Charbel, modello ed esempio di vita consacrata, è considerato l'ultimo dei Grandi Eremiti. I suoi miracoli sono molteplici e chi si affida alla sua intercessione, non resta deluso, ricevendo sempre il beneficio della Grazia e la guarigione del corpo e dell'anima.
“Il giusto fiorirà, come una palma, si alzerà come un cedro del Libano, piantato nella casa del Signore.” Sal.91(92)13-14

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La parabola della zizzania

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d'Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelia sul Vangelo di San Matteo, 46, 1-2

Il metodo del diavolo è quello di mescolare sempre alla verità, l'errore rivestito delle apparenze e dei colori della verità, per poter sedurre facilmente coloro che si lasciano ingannare. Ecco perché Nostro Signore parla soltanto della zizzania, poiché questa pianta assomiglia al grano. Poi, indica come costui ci sappia fare a ingannare : « Mentre tutti dormivano ». Qui, si vede il grave pericolo che corrono i capi, soprattuto coloro ai quali è stata affidata la guardia del campo. Questo pericolo del resto, non minaccia soltanto i capi, ma anche i loro subordinati. Ci mostra pure che l'errore viene dopo la verità...

Cristo ci dice tutto ciò per insegnarci a non addormentarci..., ne consegue la necessità di una guardia vigilante. Perciò diceva : « Chi persevererà sino alla fine sarà salvato » (Mt 10, 22)... Ora considera lo zelo dei servi. Vogliono sradicare la zizzania immediatamente. Anche se manca loro la riflessione, questo prova la loro sollecitudine per il seme. Cercano una cosa sola, non trarre vendetta da costui che ha seminato la zizzania, ma salvare la messe. Ecco perché cercano come scacciare totalmente il male... Cosa risponde allora il Padrone ? ... Glielo impedisce per due motivi : il primo, il timore di nuocere al grano ; il secondo, la certezza che un castigo inevitabile si abbatterà su quelli che sono colpiti da questa malattia mortale. Se vogliamo la loro punizione senza che ne soffra la messe, aspettiamo il momento opportuno...Forse, una parte di quella zizzania si mutarà in grano ? Se quindi la sradichate ora, nuocerete alla messe prossima, sradicando quelli che potranno cambiare a diventare migliori.
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venerdì 23 luglio 2010

L'amore autentico e puro fra un uomo e una donna

Non manchino ogni giorno un «Gesù ti amo» e una comunione spirituale - almeno -, in riparazione per tutte le profanazioni e i sacrilegi che Egli patisce per stare con noi. (Solco, 689)

E adesso, figlie e figli miei, permettetemi di soffermarmi su di un altro aspetto - particolarmente toccante - della vita di tutti i giorni. Mi riferisco all'amore umano, l'amore autentico e puro fra un uomo e una donna, il fidanzamento, il matrimonio. Mi preme di dire una volta ancora che questo santo amore umano non è qualcosa di semplicemente consentito o tollerato, accanto alle vere attività dello spirito, come potrebbe sottintendersi in quei falsi spiritualismi cui alludevo dianzi. Sono quarant'anni che sto predicando a viva voce e per iscritto tutto il contrario, e finalmente cominciano a comprenderlo quelli che non lo capivano.
L'amore che conduce al matrimonio e alla famiglia può essere anch'esso un cammino divino, vocazionale, meraviglioso, una strada per la completa dedicazione al nostro Dio. Fate le cose con perfezione, vi ricordavo, mettete amore nelle piccole attività della giornata, scoprite - insisto ancora - quel qualcosa di divino nascosto nei particolari: tutta questa dottrina ha speciale applicazione nello spazio vitale in cui si muove l'amore umano. (Colloqui con Mons. Escrivá, 121)
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Se sei nella tempesta, ricorri a Maria


Santa Brigida di Svezia, Religiosa

Compatrona d'Europa e Patrona della Svezia

Brigida di Svezia nacque nel giugno del 1303 nel castello di Finsta, presso la città di Uppsala.
La prima parte della sua vita fu quella di una laica felicemente sposata: dal suo matrimonio nacquero ben otto figli, la secondogenita fu Caterina (S. Caterina di Svezia).

Rimasta vedova, nel 1344, si dedicò totalmente alla vita ascetica e contemplativa. Terziaria francescana, diede origine all’ “Ordine del Santissimo Salvatore”. La passione di Gesù fu al centro delle sue esperienze mistiche le «Rivelazioni», raccolte in otto volumi e uno supplementare, ad opera dei suoi discepoli. A questi scritti la Chiesa dà il valore che hanno le rivelazioni private: credibili per la santità della persona che le propone, tenendo sempre conto dei condizionamenti del tempo e della persona stessa.
Come tante spiritualità del tardo medioevo, Brigida ebbe il merito di mettere le verità della fede alla portata del popolo, con un linguaggio visivo che colpiva la fantasia, toccava il cuore e spingeva alla conversione; per questo le «Rivelazioni» ebbero il loro influsso per lungo tempo nella vita cristiana, non solo dei popoli scandinavi, ma anche dei latini.

L' “Ordine del Santissimo Salvatore”, le cui religiose sono dette comunemente "Brigidine ", venne fondato tra il 1344 ed il 1346 nel castello reale Vadstena, presso Linköping, donato alla religiosa dal re Magnus IV di Svezia (1316-1374). I lavori di trasformazione del palazzo in monastero iniziarono nel 1369 con il sostegno della Santa Sede. La fondatrice diede alle sue suore la regola agostiniana che venne approvata, con alcune modifiche, dal Beato Urbano V (Guillaume de Grimoald) nel 1370 e confermata da Pp Urbano VI (Bartolomeo Prignano) il 3 dicembre del 1378 con la bolla “Hiis quae pro divini cultus aumento”

Per due secoli l’Ordine ebbe un grande influsso sulla vita religiosa dei Paesi Scandinavi (nel periodo di maggiore fioritura, contava 78 monasteri ) nonostante le rigide regole.
Declinò e fu sciolto prima con la riforma protestante luterana, poi con la Rivoluzione Francese; in Italia le due prime Case si ebbero a Firenze e a Roma, dove si era stabilita nel 1349 per iniziare nuove missioni.

Brigida morì a Roma il 23 luglio 1373; venne canonizzata da Pp Bonifacio IX (Pietro Tomacelli) nel 1391, 18 anni dopo la morte.

L'antico Ordine è rifiorito, nel ramo femminile, grazie alla Beata Maria Elisabetta Hesselblad (1870-1957) che ne fondò un nuovo ramo, all'inizio del Novecento.
Le "Brigidine " (al 31 dicembre 2005, la congregazione contava 566 religiose in 49 case, fra cui Vadstena, primo Centro dell'Ordine) sono oggi presenti in Italia, Svizzera, Inghilterra, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Estonia, Polonia, Germania, Paesi Bassi, India, Palestina, Israele, Filippine, Indonesia, Stati Uniti d’Ameria, Messico e Cuba.
Le "Brigidine " si riconoscono per il tipico copricapo: due bande formano sul capo una croce, i cui bracci sono uniti da una fascia circolare e con cinque fiamme, una al centro e quattro sul bordo, che ricordano le piaghe di Cristo.

S. Brigida, già patrona della Svezia dal 1° ottobre 1891, fu proclamata compatrona d'Europa il 1° ottobre 1999, insieme a S. Caterina da Siena e S. Edith Stein (S. Teresa Benedetta della Croce), dal Servo di Dio Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła) che così si espresse : “Seppe essere modello nella vita laicale, esperta della realtà cristiana europea, dotata di forza profetica, prezioso legame ecumenico, ancor oggi, per le terre scandinave, distaccate dalla piena comunione con la sede di Roma”.

Significato del nome Brigida : "alta, forte, potente" (celtico)

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