domenica 31 luglio 2011

425 - Egli ti darà la sua forza

Nei momenti di spossatezza, o di tedio, rivolgiti fiduciosamente al Signore, dicendogli, come quel nostro amico: “Gesù: vedi Tu che cosa ci puoi fare...: io sono già stanco prima di cominciare la lotta”. — Egli ti darà la sua forza. (Forgia, 244)


Vuoi sapere qual è il fondamento della nostra fedeltà?
— Ti direi, a grandi linee, che si basa sull'amore di Dio, che fa vincere tutti gli ostacoli: l'egoismo, la superbia, la stanchezza, l'impazienza...
— Un uomo che ama, calpesta sé stesso; sa che, pur amando con tutta l'anima, non sa ancora amare abbastanza. (Forgia, 532)


E Gesù, che ha acceso i nostri desideri, ci viene incontro e ci dice: Chi ha sete, venga a me e beva. Ci offre il suo Cuore, perché sia il nostro riposo e la nostra fortezza. Quando ci decideremo ad accettare la sua chiamata, sperimenteremo che le sue parole sono vere: la nostra fame e la nostra sete aumenteranno fino a desiderare che Dio stabilisca nel nostro cuore il luogo del suo riposo, e che non allontani mai più da noi il suo calore e la sua luce. (E' Gesù che passa, 170)
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424 - Richieste di preghiere 29/2011

87) Eleonora:
Chiedo preghiera per la mia situazione famigliare ed economica....
Ti prego Mamma aiutaci a risolvere inostri problemi, aiutami a ritrovare l'amore di mio marito, proteggi i miei figli e aiutaci a non perdere la casa per i debiti contatti da mio marito, aiutalo a trovare un lavoro che gli consenta di far fronte a tutto e aiuta me ad aiutarlo. Grazie


88) Mirco dal Lazio:
Salve a tutti vorrei chiedervi delle preghiere per Daniele, Giusy e Matteo. Grazie


89) Paolo dall'Emilia-Romagna:
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo, pace, gioia ed ogni benedizione.
Umilmente vi chiedo di pregare il Signore perché io e il mio caro amico Giorgio, a cui voglio molto bene, ritorniamo ad essere amici e Giorgio ritorni in comunione e riunione con me, rinascita e riconciliazione.
A Dio nulla è impossibile. Vi ringrazio di vero cuore, un caro abbraccio in Gesù e Maria.
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sabato 30 luglio 2011

423 - Commento al Vangelo di domenica 31/7/2011, XVIII t.ord.

+ Dal Vangelo secondo Matteo (14,13-21)
Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”. Ma Gesù rispose: “Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare”. Gli risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci!”. Ed egli disse: “Portatemeli qua”. E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Se si riduce questo miracolo a un gesto di potenza compiuto da Gesù per dare prova dei suoi poteri divini, ci si deve confrontare con una serie di obiezioni cui è difficile sfuggire. Non è molto verosimile lo spostamento di una folla di tante migliaia di persone; l’ora tarda che prelude l’imminente calare delle tenebre non è la più adatta per procedere a una distribuzione del pane a tanta gente; da dove sono saltate fuori le dodici ceste, le avevano portate con sé vuote? Ma la considerazione più provocatoria è un’altra: che interesse può avere per l’uomo d’oggi il fatto che, duemila anni fa, Gesù abbia sfamato cinquemila uomini, se poi Dio permette che si continui a morire per mancanza di pane?
Cosa sia realmente accaduto quella sera nei pressi del lago di Tiberiade è difficile stabilire e non è questo che importa, gli evangelisti infatti riferiscono l’episodio in ben sei versioni, ciascuna con un suo messaggio specifico. Vediamo di cogliere quello che il brano di oggi ci vuole dare.
Era diffusa al tempo di Gesù la convinzione che il messia avrebbe compiuto segni e prodigi straordinari, che avrebbe radunato il popolo, lo avrebbe introdotto nel deserto ove si sarebbe ripetuto il miracolo della manna.
Presentandoci Gesù che entra nel deserto seguito da un’immensa moltitudine di persone che ha abbandonato le città (v. 13), l’evangelista vuole farci vedere in lui il nuovo Mosè. Israele era uscito dall’Egitto ed era entrato nella terra promessa, ma non aveva ancora raggiunto la libertà, non era ancora entrato in comunione con il suo Dio. Eccolo ora condotto di nuovo nel deserto.
Se si vuole spingere più avanti il parallelismo basta collocare il brano nel suo contesto. Matteo ha appena descritto il banchetto organizzato per il compleanno di Erode, quello in cui è avvenuta l’esecuzione del Battista (Mt 14,3-12), banchetto che rappresenta in modo vivo la società corrotta, oppressiva e sanguinaria che deve essere ripudiata da chi segue Cristo. È nel deserto che vengono poste le basi di una società nuova.
Eccone le caratteristiche: anzitutto ha come guida Gesù e come norma dei rapporti reciproci i suoi stessi sentimenti. Egli sente compassione (v. 14). Il verbo impiegato – splagknizomai – non indica un vago sentimento di commozione, ma un’emozione profonda, viscerale(spagkna in greco sono dette le viscere). Lo abbiamo già trovato questo termine: “Vedendo le folle, Gesù ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36).
Di fronte ai bisogni dell’uomo Gesù non è insensibile, si sente partecipe, è coinvolto fin nel suo intimo, gli si stringe il cuore, ma la suacommozione non lo porta allo scoraggiamento, non sfocia in imprecazioni, in vane parole di rammarico o in uno sterile pianto, diviene stimolo all’azione immediata in favore di chi soffre: “Sceso dalla barca, vide una grande folla… guarì i loro malati” (v. 14).
La com-passione, il patire-insieme ai fratelli sono la forza che porta anche il discepolo a impegnarsi nella costruzione di una società nuova. Solo chi ha assimilato la sensibilità del Maestro è mosso a intervenire, a compiere i suoi stessi gesti di amore. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5) – raccomanda Paolo – “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12,15-16).
Questo impellente bisogno interiore a compiere il bene è il segno inequivocabile della presenza nel discepolo dello Spirito di Cristo.
Non è solo con le malattie – con le manifestazioni della debolezza e fragilità dell’uomo – che Gesù si confronta. Anche l’impellente bisogno di cibo e la mancanza dei beni necessari alla vita vanno affrontati. Quale risposta dà Gesù alla fame che c’è nel mondo?
Se la soluzione fosse quella del miracolo, il brano di oggi non avrebbe molto da dirci perché a nessuno di noi è concesso di compiere simili prodigi. Con il suo gesto Gesù indica invece ciò che ogni discepolo può e deve fare affinché a nessuno manchi il pane. Egli non risolve il problema della fame senza la collaborazione dell’uomo.
La prima, subdola tentazione da cui mette in guardia è quella deldisimpegno, quella di voler “congedare le folle” affinché ognuno se la cavi da solo, andando nei villaggi a comperarsi da mangiare (v. 15). È la proposta avanzata dai discepoli che, evidentemente, non hanno capito che l’adesione a Cristo implica un impegno concreto in favore di chi è nel bisogno. Non occorre che vadano – risponde Gesù – siete voi stessi che dovete dare loro da mangiare (v. 16).
Immediatamente viene sollevata la difficoltà che è anche la nostra: ciò che abbiamo non può bastare (v. 17).
Se ognuno conserva egoisticamente per sé ciò che possiede, nel timore che un giorno gli possa mancare il necessario, nel mondo ci sarà sempre fame.
Gesù chiede al discepolo di consegnarli ciò che ha, anche se a lui sembra poco. Cinque pani e due pesci – sette pezzi di alimento – sono il simbolo della totalità. Nulla va trattenuto, la generosità deve essere senza limiti. La condivisione dei beni è la proposta di Cristo ed è l’unica in sintonia con il progetto di Dio che è Padre e che vuole che i suoi figli vivano come fratelli, che non accumulino per se stessi, che non si accaparrino i beni destinati a tutti. Quando ognuno metterà a disposizione degli altri ciò che possiede (non solo il denaro, ma tutto se stesso: il proprio tempo, le proprie attitudini, la propria intelligenza, le proprie capacità…), si assisterà al prodigio: ci sarà cibo per tutti e ne avanzerà. Sulla generosità dell’uomo, infatti, si riversa sempre la benedizione di Dio.
Il pane che Gesù distribuisce non è però solo quello materiale.
Come l’acqua, anche il pane era in Israele simbolo della sapienza di Dio. Sia i profeti che i saggi dell’AT vi alludono spesso: “La Sapienza ha imbandito la tavola – dice l’autore del libro dei Proverbi – a chi è privo di senno essa dice: ‘Venite, mangiate il mio pane” (Pr 9,1-5) e Amos annuncia che Dio manderà la fame e la sete nel paese, “non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore” (Am 8,11).
Un giorno Gesù ha affermato: “Non di solo pane, vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). Il cibo che egli dona e che alimenta la vita dell’uomo è la sua parola, anzi è egli stesso, parola di Dio che deve essere assimilata.
“Gesù prese i pani – dice Matteo – e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla” (v. 19). Queste parole ci sono familiari: sono quelle dell’eucaristia. L’evangelista le riprende per far comprendere ai cristiani delle sue comunità che, dopo aver assimilato il pane del vangelo che è donato loro attraverso la predicazione degli apostoli, devono accostarsi anche al banchetto eucaristico per essere saziati.
Gli uomini sfamati sono cinquemila. È il numero che simboleggia Israele. È a questo popolo che è offerto il pane, è lui il primo invitato al banchetto annunciato dai profeti. Dopo che Israele sarà stato saziato, ne avanzeranno dodici ceste. Dodici indica la nuova comunità, quella costituita, attorno a Gesù, dai dodici apostoli. A questo nuovo popolo non mancherà mai il pane – che è Cristo – ci sarà sempre un resto e ogni volta riprenderà la distribuzione.
Attraverso i suoi discepoli – ai quali ha consegnato il suo pane – è Gesù stesso che continua a sfamare gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.


Padre Fernando Armellini, biblista
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422 - Perdono di Assisi

PERDONO DI ASSISI  2 AGOSTO
SANTA MARIA DEGLI ANGELI ALLA PORZIUNCOLA

Quella notte in cui Cristo apparve a san Francesco che pregava in Porziuncola
All'origine della «Festa del Perdono» c'é un episodio della vita di san Francesco. Una notte del 1216, era immerso nella preghiera allaPorziuncola. All'improvviso entrò una lucefortissima e Francesco vide sopra l'altare ilCristo e alla sua destra la Madonna e gli Angeli.Gli chiesero che cosa desiderasse per lasalvezza delle anime. La risposta fu immediata:«Santissimo Padre, benché io sia misero epeccatore, ti prego di concedere ampio egeneroso perdono». La sua richiesta fu esaudita così da quell'anno, dopo aver ricevuto il permesso dal Pontefice Onorio III, il 2 Agosto si celebra la «Festa del Perdono» a Santa Mariadegli Angeli ma anche in tutte le parrocchie e le chiese francescane. E' concessa l'indulgenza achi si comunica, si confessa c prega per il Papa
Dal mezzogiorno del 1° Agosto alla mezzanotte del giorno seguente si può ottenere, una sola volta l’indulgenza plenaria della Porziuncola.

CONDIZIONI PER RICEVERE L'INDULGENZA PLENARIA DEL PERDONO DI ASSISI (per sé o per i defunti)
· Confessione sacramentale per essere in grazia di Dio (negli otto giorni precedenti o seguenti);
· Partecipazione alla Messa e Comunione eucaristica;
· Visita alla chiesa della Porziuncola in Assisi, o ad una chiesa parrocchiale, o ad una chiesa francescana dove si rinnova la professione di fede, mediante la recita del CREDO, per riaffermare la propria identità cristiana;
· La recita del PADRE NOSTRO, per riaffermare la propria dignità di figli di Dio, ricevuta nel Battesimo;
· Una preghiera secondo le intenzioni del Papa, per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice.
· Una preghiera per il Papa.
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421 - Volontà, energia, esempio

Volontà. —Energia. —Esempio. —Ciò che si deve fare, si fa... Senza tentennare... Senza riguardi. Altrimenti, né Cisneros sarebbe stato Cisneros; né Teresa de Ahumada, Santa Teresa...; né Iñigo de Loyola, Sant'Ignazio... Dio e audacia! —“Regnare Christum volumus!”. (Cammino, 11)


«Miles» soldato, chiama l'Apostolo il cristiano.
Ebbene, in questa benedetta e cristiana guerra di amore e di pace per la felicità di tutte le anime, vi sono, nelle schiere di Dio, soldati stanchi, affamati, esausti per le ferite..., ma contenti: portano nel cuore le luci sicure della vittoria. (Solco, 75)


Non sai se quel che si è impadronito di te è esaurimento fisico oppure una specie di stanchezza interiore, o tutte e due le cose insieme...: lotti senza lotta, senza l'anelito di un autentico e concreto miglioramento, per appiccare la gioia e l'amore di Cristo alle anime.
Voglio ricordarti le chiare parole dello Spirito Santo: sarà incoronato soltanto chi avrà combattuto legitime veramente, nonostante tutto. (Solco, 163)
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420 - Erode mandò a decapitare Giovanni e i suoi discepoli andarono a informare Gesù

In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!». Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta. Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre. I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.

Il racconto della morte del Battista continua la tematica dell’episodio precedente. Sebbene parli con parole autorevoli e compia gesti potenti (cfr. Mt 13, 54.58; 14,2), Gesù è il profeta contestato e la sua sorte viene prefigurata da quella del Battista. Il motivo dell’arresto e dell’uccisione del Battista è ricordato nei vv. 3-4. Un profeta non può essere catturato se non per il disturbo che arrecano le sue parole o i suoi gesti. Elia era perseguitato da Acab e da Gezabele (1Re 19-21) perché aveva loro rimproverato l’uccisione di un innocente cittadino di Samaria e si erano appropriati del suo podere.
Erode aveva sottratto la moglie a suo fratello e aveva ripudiato la propria. Un doppio delitto davanti al quale Giovanni non ha taciuto. Il "non ti è lecito!" dà un’impostazione concreta alla sua azione missionaria. Se l’annuncio non viene applicato ai fatti, tradotto nelle situazioni concrete, è, troppe volte, un grido inutile. Se il Battista e Gesù si fossero accontentati di puntare il dito contro il male e non contro i malfattori, come fanno i filosofi e non solo i filosofi, non sarebbero finiti in prigione e al patibolo
 Padre Lino Pedron
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venerdì 29 luglio 2011

419 - Preghiera del mattino

Dio onnipotente, anche oggi tu ci affidi il tuo mondo come un campo che è necessario lavorare.
Anche oggi dovrò accorgermi che il grano cresce mescolato con la zizzania: non solo attorno a me, ma in me stesso non riuscirò spesso a distinguere completamente il bene dal male.
Concedimi la grazia di avere una lunga pazienza, di rispettare i tempi che non mi appartengono, e le coscienze che non mi è dato di giudicare.
Ma non permettere che la pazienza si tramuti in me in complicità e in indifferenza.
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418 - Non è difficile trasformare il lavoro in orazione

Lavoriamo, e lavoriamo molto e bene, senza dimenticare che la nostra arma migliore è l'orazione. Pertanto, non mi stanco di ripetere che dobbiamo essere anime contemplative in mezzo al mondo, che cercano di trasformare il loro lavoro in orazione. (Solco, 497)


Siate convinti che non è difficile trasformare il lavoro in un dialogo di preghiera. Non appena lo si è offerto e si è messo mano all'opera, Dio è già in ascolto, già infonde coraggio. Abbiamo raggiunto lo stile delle anime contemplative, in mezzo al lavoro quotidiano! Perché ci pervade la certezza che Egli ci vede, mentre ci richiede continui superamenti: quel piccolo sacrificio, quel sorriso a un importuno, il cominciare dall'occupazione meno piacevole ma più urgente, la cura dei dettagli di ordine, la perseveranza nel compimento del dovere quando sarebbe così facile interromperlo, il non rimandare a domani ciò che dobbiamo concludere oggi..., tutto per far piacere a Lui, a Dio nostro Padre! E magari, sul tavolo di lavoro o in un posto opportuno, che non richiama l'attenzione ma che a te serve da svegliarino dello spirito contemplativo, collochi il crocifisso, che per la tua anima e per la tua mente è il manuale da cui apprendi le lezioni di servizio.
Se ti decidi — senza singolarità, senza abbandonare il mondo, nel bel mezzo delle tue occupazioni abituali — ad avviarti per questi cammini contemplativi, ti sentirai immediatamente amico del Maestro, con il divino incarico di aprire i sentieri divini della terra a tutta l'umanità. Sì: con il tuo concreto lavoro contribuirai ad estendere il regno di Cristo in tutti i continenti. Una dopo l'altra si succederanno le ore di lavoro offerte per le nazioni lontane che si aprono alla fede, per i popoli orientali ai quali è barbaramente impedito di professare liberamente la religione, per i paesi di antica tradizione cristiana in cui sembra che la luce del Vangelo si sia offuscata e che le anime si dibattano nelle tenebre dell'ignoranza... in questo modo, che grande valore assume un'ora di lavoro, perseverare con impegno costante ancora per un po', qualche minuto ancora, per terminare tutto bene! Stai trasformando, in modo semplice e pratico, la contemplazione in apostolato, come un'imperiosa necessità del cuore che batte all'unisono con il dolcissimo e misericordioso Cuore di Gesù, Signore nostro. (Amici di Dio, 67)
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giovedì 28 luglio 2011

417 - Preghiera del mattino

Preservaci, Signore, dalle speranze che ingannano e donaci la certezza del tuo aiuto.
Ridesta in noi la passione per il tuo regno e il gusto di lavorare con te per edificarlo.
Ci sorregga la compagnia dei tuoi amici, perché la lotta contro il male sia anche una festa fra noi.
Donaci la fedeltà nel proseguire il lavoro e la coscienza che ogni opera è feconda soltanto in te.
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416 - Raccolgono i buoni nei canestri e buttano via i cattivi

Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

Il compito della chiesa è la missione, raffigurata mediante la pesca, affidata alla responsabilità dei discepoli (cfr Mt 4,19), ma l'incarico della cernita, immagine della separazione dei malvagi dai buoni, è affidata agli angeli (cfr Mt 13,41). Contro ogni tendenza integrista, che sogna una comunità credente di separati e di puri, Gesù annuncia che il tempo presente è l'ambito della tolleranza e della pazienza senza tendenze discriminatorie. Dunque compito della chiesa è la missione, non il giudizio. Gesù termina il suo discorso con una domanda: "Avete capito tutte queste cose?". La risposta è "sì". E siamo noi oggi che dobbiamo rispondere positivamente. Gesù illustra il senso dell'impegno che la comprensione delle parabole richiede, attraverso un'ultima parabola: quella di ogni scriba fattosi discepolo del regno dei cieli. Diventare discepolo implica la missione di insegnare agli altri. Lo scriba è lo specialista della Scrittura; se scopre in Gesù il tesoro nascosto (Mt 13,44), rinnova tutte le sue concezioni religiose e sa utilizzare egregiamente tutta la ricchezza dell'Antico Testamento accresciuta e perfezionata dal Nuovo.
I discepoli sono coloro che hanno compreso il messaggio racchiuso nei discorsi di Gesù. Comprendere non significa solo capire ma accettare, attuare nella propria vita. Se ciò è vero, i discepoli sono diventati i veri "figli del regno"(v.38) ormai in possesso del tesoro e della perla preziosa. Per tutti questi motivi sono i nuovi scribi, i maestri nel regno dei cieli. La risposta dei discepoli è importante non solo per la loro salvezza personale, ma anche per la loro futura missione nella Chiesa. Essi dovranno insegnare ciò che hanno udito. E potranno farlo con la stessa autorità di Gesù, solo se lo avranno capito e lo avranno veramente creduto e praticato. Il cristiano resta per tutta la vita un discepolo, uno scolaro. L'esame deve ancora venire. Nell'immagine del padrone di casa ci si rivolge particolarmente a quelli che sono attivi nella predicazione e nella catechesi. Essi devono distribuire il nuovo e l'antico. L'incarico costa fatica e non può essere preso alla leggera.
Matteo incoraggia a riprendere anche gli scritti dell'Antico Testamento, in gran parte dimenticati nella predicazione. In essi si trovano tante cose importanti da ricordare, che ci aiutano e ci scuotono. Ma il solo ricordo non basta: ad esso va aggiunta una esegesi guidata dallo Spirito, come fa Matteo nel suo vangelo. In conclusione, tutte le parabole ci parlano del regno dei cieli; tutte ne rivelano un aspetto ed esprimono in primo luogo la realtà di Gesù, evento centrale della storia, che segna il definitivo punto di incontro tra il cielo e la terra. La parola di Dio, che è Gesù, viene seminata nella terra del mondo per farne germinare e crescere il popolo di Dio. Il discernimento ultimo tra i buoni e i cattivi è già operato in questo mondo dall'adesione o dal rifiuto nei confronti di Cristo.


Padre Lino Pedron
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mercoledì 27 luglio 2011

415 - Invito incessante alla preghiera

La Madonna ci invita a pregare soprattutto per le famiglie che sono in ifficoltà e in pericolo perché la minaccia del male nei momenti di fragilità spirituale è ancora più pericolosa.
Innalziamo lodi, ringraziamenti e adorazione per i doni ricevuti da Dio Padre Onnipotente. Dio deve essere il centro della nostra vita, l'apice dei nostri pensieri. In Gesù, Dio è entrato nella storia dell'uomo.
Il Figlio di Dio è morto per noi, perché credendo in Lui vivessimo per sempre; é diventato, nel tempo, quello che noi siamo, perché nell'eternità partecipassimo alla Sua Gloria (Gv 17,24); è risorto da morte per donarci la speranza della vita immortale.
Gesù è la vita dell'anima e del corpo. Dio è diventato Figlio dell'uomo perchè noi potessimo diventare figli di Dio.
L'Istituzione dell'Eucaristia è la più grande meraviglia operata da Gesù, è il miracolo d'Amore da Lui operato per l'intera umanità. Gesù diede ai Sacerdoti il potere di compiere questo miracolo "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19). Ecco perché la benedizione sacerdotale è importante perché il Sacerdote è elevato a strumento vivo di Gesù, eterno Sacerdote.
Dobbiamo riconoscerci come membri attivi della famiglia di Dio, che ci ha concesso la libertà di scegliere, sempre e comunque...senza catene, ma tenendoci per mano. Siamo liberi di capire da soli dove si annida il male e dove fiorisce il bene...abbiamo il compito di scegliere per il meglio e di fare in modo che anche chi ci è accanto faccia la scelta giusta...Tutti noi, appartenenti alla stessa grande famiglia, abbiamo il dovere di fungere da guida per i nostri fratelli...perchè la fede non è individualismo ma è partecipazione, nella preghiera e nell'amore.
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414 - Preghiera del mattino

Signore, guarda i desideri più nobili, le aspirazioni più alte che ci sono in me. Guarda anche la mia debolezza e la mia viltà.
Avendoti incontrato, non voglio andarmene via triste a causa dei miei beni che sono soltanto miserie se comparate al tesoro del regno.
Concedimi la forza di strapparmi a me stesso, di vendere tutto per acquistare la perla preziosa, per acquistare il campo come un tempo i nostri padri ad Anatot, che è la prima porzione della terra promessa.
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413 - Il lavoro è la prima vocazione dell'uomo

Il lavoro è la prima vocazione dell'uomo, è una benedizione di Dio, e si sbagliano, purtroppo, quelli che lo considerano un castigo. (Solco, 482)


Non appena fu creato, l'uomo dovette lavorare. Non sto inventando: basta aprire le prime pagine della Bibbia per leggere che — ancor prima che il peccato entrasse nell'umanità e, come conseguenza della trasgressione, comparissero la morte, le pene e le miserie [Cfr Rm 5, 12] — Dio formò Adamo col fango della terra, e creò per lui e per la sua discendenza questo mondo così bello, ut operaretur et custodiret illum [Gn 2, 15], perché lo lavorasse e lo custodisse.
Dobbiamo convincerci, pertanto, che il lavoro è una realtà meravigliosa che ci viene imposta come una legge inesorabile alla quale tutti, in un modo o nell'altro, siamo sottomessi, anche se qualcuno tenta di sottrarsi. Sappiatelo bene: quest'obbligo non è sorto come conseguenza del peccato originale, e tanto meno è una scoperta moderna. Si tratta di un mezzo necessario che Dio ci affida sulla terra, dando ampiezza ai nostri giorni e facendoci partecipi del suo potere creatore, affinché possiamo guadagnare il nostro sostentamento e, nello stesso tempo, raccogliere frutti per la vita eterna [Gv 4, 36]: l'uomo nasce per lavorare, come gli uccelli per volare [Gb 5, 7].
Potreste farmi osservare che sono passati molti secoli, e che ben pochi la pensano così; che la maggioranza, semmai, si affanna per motivi ben diversi: gli uni, per il denaro; altri, per mantenere la famiglia; altri ancora, per raggiungere una certa posizione sociale, per sviluppare le proprie capacità, per soddisfare passioni disordinate, per contribuire al progresso sociale. In generale, la gente affronta le proprio occupazioni come una necessità da cui non può sfuggire.
Di fronte a questa visione piatta, egoista, gregaria, tu e io dobbiamo ricordarci e ricordare agli altri che siamo figli di Dio, ai quali, come ai personaggi della parabola evangelica, nostro Padre ha rivolto l'invito: Figlio, va' a lavorare nella vigna [Mt 21, 28]. Vi assicuro che, se ci impegniamo tutti i giorni a considerare i nostri doveri personali come una richiesta divina, impareremo a portare a termine il compito con la maggior perfezione umana e soprannaturale di cui siamo capaci. Forse qualche volta ci ribelleremo — come il figlio maggiore che rispose: Non voglio [Mt 21, 29] —, ma poi, pentiti, sapremo reagire, e ci dedicheremo con rinnovato impegno al compimento del dovere. (Amici di Dio, n. 57)
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412 - Vende tutti i suoi averi e compra quel campo

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Le parabole del tesoro e della perla di grande valore ci ricordano che Gesù è il nostro tesoro: per possedere lui bisogna essere disposti a lasciare tutto e tutti. Possiamo rappresentarci questo tesoro come un cassone o un vaso di terracotta pieno di monete d'oro o di argento. Sotterrare tesori nel campo era considerato un deposito sicuro in tempi di guerra o di incertezza. Tesori nascosti potevano essere dimenticati per la morte dei legittimi proprietari che portavano con sé il segreto nella tomba.
L'unico modo possibile per il lavoratore del campo per giungere a un possesso giuridicamente non impugnabile è l'acquisto del campo. Così egli vende tutto ciò che possiede per acquistare il campo e quindi il tesoro.
Il regno di Dio è un tesoro già presente, sperimentabile, trasmissibile nella parola e nell'opera di Gesù. Esso viene incontro all'uomo per suscitare la sua gioia. L'uomo vende tutto ciò che ha perché orienta in modo nuovo la sua vita. Ai tesori della terra sostituisce il tesoro del regno dei cieli.
Il vertice della parabola sta nella decisione dell'uomo davanti alla scoperta del tesoro: egli vende tutto ciò che ha allo scopo di ottenere il campo e di impossessarsi del tesoro.
Esemplari in questa decisione immediata e senza ripensamenti sono i discepoli che, incontrando Gesù, sono disposti a lasciare tutto per seguirlo (Mt 4,18-22; 8,21-22; 9,9; 19,16-29).
Si può immaginare con quale affanno si sia messo all'opera e di quanto ridicolo si sia coperto agli occhi dei benpensanti quest'uomo che vende tutto, casa e averi, per acquistare un pezzo di terra di poco o nessun valore, com'è ordinariamente in Palestina, brulla e infruttuosa.
Alla stessa derisione sono condannati i figli del Regno. Essi hanno sì acquistato un bene di inestimabile valore, ma esteriormente, agli occhi degli altri, appaiono dei falliti, degli illusi. La loro ricchezza è sconfinata ma nascosta, traspare solo dalla grande gioia che trabocca dai loro cuori.
La gioia, segno di ottimismo e di speranza, è il punto culminante del racconto L'espropriazione dei beni non è stata un sacrificio, ma un guadagno.
Anche nella parabola della perla preziosa viene evidenziato il valore straordinario del regno dei cieli in rapporto ad ogni altro bene (cfr Mt 6,33). Anche qui il culmine del racconto sta nella decisione presa dal mercante di vendere tutto quello che possiede per comperarla.
È da notare che nella parabola del tesoro nascosto l'uomo lo trova casualmente, mentre nella parabola della perla preziosa è l'uomo che va in cerca. Nella vita alcuni hanno incontrato Cristo senza averlo cercato (cfr Mt 4,18-22; At, 9,1-9), altri lo hanno cercato, come Nicodemo (Gv 3,1-15). In ogni caso il cuore dell'uomo è inquieto finché non trova il suo tesoro e la sua perla preziosa che è Cristo.
Essere cristiano è la grazia più grande. Di conseguenza la gioia dovrebbe essere il dato esistenziale cristiano, affinché non risulti vero l'amaro sarcasmo di Nietzsche: "Dovrebbero rivolgermi uno sguardo più redento, se vogliono che io creda al loro redentore".


Padre Lino Pedron
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martedì 26 luglio 2011

411 - Il mondo, luogo di incontro con Dio

Hai bisogno di formazione, perché devi avere un profondo senso di responsabilità, che promuova e incoraggi l'azione dei cattolici nella vita pubblica, nel rispetto dovuto alla libertà di ciascuno e ricordando a tutti che devono essere coerenti con la propria fede. (Forgia, 712)


Un uomo consapevole che il mondo - e non solo il tempio - è il luogo del suo incontro con Cristo, ama questo mondo, si sforza di raggiungere una buona preparazione intellettuale e professionale, e va formando - in piena libertà - il proprio criterio sui problemi dell'ambiente in cui opera; e di conseguenza prende le sue decisioni che, essendo decisioni di un cristiano, sono anche frutto di una riflessione personale, umilmente intesa a cogliere la Volontà di Dio in questi particolari piccoli e grandi della vita.
Ma a questo cristiano non viene mai in mente di credere o di dire che lui scende dal tempio al mondo per rappresentare la Chiesa, e che le sue scelte sono le soluzioni cattoliche di quei problemi. Questo non va, figli miei! Un atteggiamento del genere sarebbe clericalismo,cattolicesimo ufficiale o come volete chiamarlo. In ogni caso, vuol dire violentare la natura delle cose. Dovete diffondere dappertutto una vera mentalità laicale, che deve condurre a tre conclusioni:
1-a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità;
2-a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono - nelle materie opinabili - soluzioni diverse da quelle che sostiene ciascuno di noi;
3-e a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane.
Interpretate quindi le mie parole per quello che sono: un appello all'esercizio - tutti i giorni! e non solo nelle situazioni di emergenza - dei vostri diritti; e all'esemplare compimento dei vostri doveri di cittadini - nella vita politica, nella vita economica, nella vita universitaria, nella vita professionale - addossandovi coraggiosamente tutte le conseguenze delle vostre libere decisioni, assumendo la responsabilità dell'indipendenza personale che vi spetta. E questa cristiana mentalità laicale vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia - per dirlo in modo positivo - vi farà convivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale. (Colloqui, 117-118)
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410 - Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.

Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

I discepoli chiedono esplicitamente la spiegazione della parabola. Segue una spiegazione che si presenta singolare nella tradizione evangelica.
Anzitutto viene data, come in una lista, l’identificazione di quasi tutti gli elementi della parabola. Si riconosce già da questa enumerazione che il centro d’interesse della spiegazione è essenzialmente differente da quello della parabola. In questa si trattava della decisione del padrone di lasciare crescere nel tempo presente grano e zizzania. Nella spiegazione invece si tratta della mietitura finale, del destino finale del grano e della zizzania. La spiegazione rende esplicito ciò che nella parabola era implicito: il dramma del giudizio finale.
La spiegazione della parabola ci insegna che il male non trionferà e che il diavolo e tutti gli operatori di iniquità saranno condannati.
Infine la parabola ci pone un problema: discernere se siamo veramente figli del Regno o figli del maligno.


Padre Lino Pedron
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409 - Preghiera a S. Gioacchino

O grande e glorioso Patriarca San Gioacchino, quanto sono felice pensando che fosti eletto, fra tutti i Santi a cooperare ai divini misteri e ad arricchire il mondo della Madre di Dio, Maria Santissima!
Per questo singolare privilegio divenisti potentissimo presso la Madre ed il Figlio, per ottenerci le grazie necessarie.
Con tale fiducia ricorro alla tua protezione e Ti raccomando tutte le necessità mie e della mia famiglia, spirituali e temporali; Ti raccomando inoltre, la grazia particolare che desidero e che attendo dalla tua paterna intercessione.
E poiché fosti modello perfetto di vita interiore, ottienimi il raccoglimento e il distacco da tutti i beni passeggeri di questa terra e un amore vivo e perseverante a Gesù e a Maria.
Ti prego di implorare per me all'Eterno Padre, devozione ed obbedienza sincera alla santa Chiesa e al Sommo Pontefice che la governa e ti prego di chiedere al Signore che io possa vivere e morire nella fede, speranza e carità perfetta, invocando i nomi santissimi di Gesù e di Maria, e salvarmi. Amen.
3 Gloria al Padre...
San Gioacchino, felice padre della Madre di Dio prega per noi.
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408 - Preghiere a S.Anna

1) Prostrato ai piedi del tuo trono o grande e gloriosa S. Anna, vengo ad umiliarti la mia fervida prece, la preghiera del cuore; accoglila benigna rendimi grazie, prega per me.
La terra è veramente la valle del pianto - il cammino della vita è se­minato di spine - il cuore in tempe­sta sente forte i colpi del dolore - aiutami Tu, esaudiscimi Tu. O Ma­dre cara prega per me.
Stanco di piangere, senza una parola di conforto e di speranza; oppresso sotto il peso delle tribo­lazioni solo in Te, che ben intendi il dolore di un'anima, ripongo dopo Dio e la Vergine la speranza mia. O madre cara prega per me.
I miei peccati furon causa di farmi perdere la pace del cuore - l'incertezza del perdono mi rende più triste la vita - impetrami Tu la misericordia divina, l'amore a Ge­sù, la protezione della Figlia Tua O madre S. Anna prega per me.
Guarda la casa mia, la famiglia mia - Vedi quante disgrazie mi op­primono quante tribolazioni mi sono d'intorno...
O Madre cara Ti chiedo la pace e la provvidenza, la pace dell'anima soprattutto. Prega per me.
Ed ora che ho bisogno di grazie non mi abbandonare Tu che sei po­tente presso il trono di Dio. Allon­tana da me la tristezza e la deso­lazione, i pericoli, i flagelli del Si­gnore. Benedici e salva l'anima mia; fa che in vita e in morte io Ti chiami e Ti senta vicina. Prega per me, o dolce consolatrice degli af­flitti. Fa che un giorno sia ai Tuoi piedi nel santo Paradiso. Così sia.
Pater, Ave, Gloria.

2) O benedetta fra le madri, gloriosa Sant'Anna, che aveste per figlia a voi sogget­ta ed obbediente la Madre di Dio, ammiro l'al­tezza della vostra elezione e le grazie di cui vi adornò l'Altissimo!
Mi unisco a Maria Santissima sempre Vergine nell'onorarvi, nel­l'amarvi, nell'affidarmi alla vostra tutela.
A Gesù, a Maria e a Voi, consacro tutta la mia vita come un'umile offerta della mia devozione.
Voi ottenetemi la grazia di essere degno del Paradiso. Così sia.
3 Gloria al Padre...
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407 - Preghiera del mattino

Un nuovo giorno di semina, o Signore, tu concedi alla mia vita.
Anche oggi infatti tu mi chiami a collaborare con te nel seminare il bene ovunque il lavoro mi attende, come campo privilegiato della mia missione di uomo e di cristiano.
Che io vinca, o Signore, il male che è in me, perché possa impedirlo negli altri. E cresca in me il bene seminato da te, perché cresca nella Chiesa e nel mondo.
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lunedì 25 luglio 2011

406 - Messaggio di Medjugorje del 25/7/2011

Cari figli, questo tempo sia per voi tempo di preghiera e di silenzio.
Riposate il vostro corpo e il vostro spirito, che siano nell’amore di Dio.
Permettetemi figlioli di guidarvi, aprite i vostri cuori allo Spirito Santo perchè tutto il bene che è in voi fiorisca e fruttifichi il centuplo.
Iniziate e terminate la giornata con la preghiera del cuore.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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405 - Il Signore - dicono! - li abbandona: che cosa fanno, loro, con Dio?

C'è una notevolissima quantità di cristiani che sarebbero apostoli..., se non avessero paura. Sono gli stessi che poi si lamentano, perché il Signore - dicono! - li abbandona: che cosa fanno, loro, con Dio? (Solco, 103)


La nostra missione di cristiani è di proclamare la regalità di Cristo, annunciandola con le nostre parole e le nostre opere. Il Signore vuole che i suoi fedeli raggiungano ogni angolo della terra. Ne chiama alcuni nel deserto, lontano dalle preoccupazioni della società umana, per ricordare agli altri, con la loro testimonianza, che Dio esiste. Ad altri affida il ministero sacerdotale. Ma i più li vuole in mezzo al mondo, nelle occupazioni terrene. Pertanto, questi cristiani devono portare Cristo in tutti gli ambienti in cui gli uomini agiscono: nelle fabbriche, nei laboratori, nei campi, nelle botteghe degli artigiani, nelle strade delle grandi città e nei sentieri di montagna.
Mi piace ricordare a questo proposito la scena della conversazione di Cristo coi discepoli di Emmaus. Gesù cammina insieme a due uomini che hanno perso quasi ogni speranza, tanto che la vita comincia a sembrar loro priva di significato. Ne comprende il dolore, entra nel loro cuore, comunica loro qualcosa della vita che palpita in Lui. Quando arrivano al villaggio e Gesù fa mostra di proseguire, quei due discepoli lo trattengono e quasi lo costringono a restare con loro. Lo riconoscono più tardi, quando spezza il pane: « Il Signore — esclamano — è stato con noi ». Ed essi si dissero l'un l'altro: « Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture? ». Ogni cristiano deve rendere presente Cristo fra gli uomini; deve agire in modo tale che quelli che lo avvicinano riconoscano il bonus odor Christi, il profumo di Cristo; deve comportarsi in modo che nelle azioni del discepolo si scorga il volto del maestro. (E' Gesù che passa, 15)
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404 - Il mio calice, lo berrete

Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Il brano è un contrappunto tra due glorie: quella del Figlio dell'uomo e quella degli uomini. La prima consiste nel consegnarsi, nel servire e dare la vita; la seconda consiste nel possedere, nell'asservire e dare la morte. È una lotta tra l'egoismo e l'amore, dove l'amore vince con la propria sconfitta, e l'egoismo perde con la propria vittoria. Il racconto è un dialogo di equivoci tra Gesù e i discepoli. Ciò che la madre dei figli di Zebedeo vuole da Gesù non è la Gloria, cioè Dio, ma la vanagloria, cioè l'avere, il potere e l'apparire. Questo testo ci prepara al successivo, con il quale fa un tutt'uno: l'illuminazione dei ciechi di Gerico sarà la caduta della vanagloria, che ci impedisce di ricevere la Gloria.
La rivelazione del Figlio dell'uomo che sale a Gerusalemme è la luce che squarcia violentemente le nostre tenebre e svela ad ogni uomo la vera identità di Dio, la cui gloria è amare, servire e dare la vita.
In questo brano si confrontano e si scontrano il modo di pensare e di agire del mondo e quello di Gesù. L'uno è presentato nel comportamento dei grandi, nella loro volontà di oppressione e di dominio; l'altro è caratterizzato dalla condotta di Gesù, che è venuto per servire e dare la vita per l'umanità.
L'esempio di Gesù deve indurre a un cambiamento di mentalità. L'atteggiamento richiesto da Gesù non nasce spontaneo, non è congeniale all'uomo: richiede una conversione. S. Kierkegaard ha scritto: "Non hai la minima partecipazione a lui (a Cristo), né la più lontana comunione con lui, se non ti sei posto in sintonia con lui nel suo abbassamento".
"Diventare piccoli" è l'atteggiamento contrario a quello degli uomini, assetati di potenza e di grandezza. Gesù si è fatto piccolo fino alla morte di croce (cfr Fil 2, 5-11). Tutti ci saremmo aspettati che il Figlio di Dio sarebbe venuto per essere servito e per far morire i peccatori. E invece no. È venuto per servire e per dare la vita in riscatto per tutti. Le nazioni si organizzano come società, la Chiesa invece è una famiglia in cui non ci sono superiori e sudditi, padroni e subalterni, ma solamente fratelli (cfr Mt 18,15.21.35). Lo spirito di supremazia o di egemonia sui propri simili non è cristiano, ma diabolico (cfr Mt 4,1-11).
Qualunque forma di autorità nella Chiesa non deve essere un dominio, una signoria, un potere, ma un servizio. Il Signore lo dice inequivocabilmente: "Chi vuol essere il più grande tra voi, deve essere il vostro servo; e chi vuol essere il primo, deve essere il vostro schiavo" (vv.26-27). C'è un tale rovesciamento nel modo di intendere le funzioni del governo che la comunità cristiana non sembra ancora averne preso del tutto coscienza.
Il "servizio" è un concetto teologico prima ancora di essere un atteggiamento pratico. Non riguarda prima di tutto un modo umile di esercitare il potere, ma di concepirlo. Il servo non è il responsabile della casa, non ha nessun potere, tanto meno quello di sostituirsi al padrone, prendendo decisioni al suo posto, avocando a sé la responsabilità degli altri. Egli è solo un inserviente che coopera al buon andamento della casa, che non è sua, e per questo non deve considerarla tale.
La Chiesa è di Dio, di Cristo (cfr Mt 16,18) che la governa direttamente (cfr Mt 28,18-20), prima che tramite particolari incaricati. In quanto Dio, Gesù avrebbe potuto pretendere (secondo noi!) un trattamento da "signore", facendosi servire. Ma invece di far valere i suoi diritti sovrani vi ha rinunciato a favore delle moltitudini facendosi loro servo e donando la vita per il loro riscatto, ossia per la loro liberazione da assoggettamenti e schiavitù di qualsiasi genere. Scegliendo la condizione servile si è proposto di essere più vicino a quanti vivevano in schiavitù e ridare ad essi la coscienza della loro dignità e libertà. Il testo ribadisce l'inno della Lettera ai Filippesi 2, 5-7: pur essendo Dio è diventato servo, realizzando con la sua morte in croce il suo servizio. Pur essendo ricco, è diventato povero per arricchire noi (cfr 2Cor 8,9). La vera grandezza e la libertà autentica è nell'umiltà del servire. Gesù è in mezzo a noi come colui che serve (cfr Lc 22,27; Gv 13,1-17).


Padre Lino Pedron
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domenica 24 luglio 2011

403 - Richieste di preghiere 28/2011

81) Luisa da Catania:
Prego per la conversione di 4 regazze. Che nei loro cuori risplenda la luce di Dio.
La benedizione scenda su di noi e sul mondo intero. Grazie.

82) Lucio dalla Sicilia:
Vorrei che il Signore mi donasse il suo Santo Spirito con la manifestazione dei suoi Doni e Carismi in modo che possa essere usato da Lui come Suo strumento di salvezza, di amore e di benedizione per il bene di tutto il mio prossimo, per glorificare ed edificare il suo regno e il suo Divino nome.

83) Marie, da Santo Domingo, ci chiede di pregare San Giuseppe perché interceda presso il Signore per la grazia di un bambino e per tutti i bisogni spirituali e materiali della sua vita.
J’aimerais que St Joseph intercede pour moi afin que Dieu me fasses la grace de me donner un enfant, un visa ,un travail,ma residence et le plus important de demander a Dieu la grace d'agir et la morale de St Joseph et la foi en Dieu

84) Luigi dalla Lombardia:
Cari amici,vi chedo preghiere per le mie intenzioni e per Giovanna, grazie.

85) Cristina da Roma:
chiedo preghiere per la liberazione dalla maledizione che ha colpito la mia famiglia

86) Giuseppe dalla Campania:
vi supplico di pregare per i miei gravi problemi di salute, famiglia, lavoro. grazie

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402 - Mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane

Qualsiasi attività — umanamente importante o no — deve trasformarsi per te in un mezzo per servire il Signore e gli uomini: è questa la vera misura della sua importanza. (Forgia, 684)


Lavora sempre, e in tutto, con sacrificio, per mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane. (Forgia, 685)


La corrispondenza alla grazia sta anche nelle piccole cose della giornata, che sembrano senza importanza e, invece, hanno la trascendenza dell'Amore. (Forgia, 686)


Non bisogna dimenticare che il lavoro umanamente degno, nobile e onesto, può — e deve! — essere elevato all'ordine soprannaturale, e diventare un'occupazione divina. (Forgia, 687)


Gesù, nostro Signore e Modello, crescendo e vivendo come uno di noi, ci rivela che l'esistenza umana — la tua —, le occupazioni comuni e ordinarie, hanno un senso divino, di eternità. (Forgia, 688)
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401 - Commento al Vangelo di domenica 24/7/2011, XVII t.ord.

Dal Vangelo secondo Matteo (13,44-52)
Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.
Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete capito tutte queste cose?”. Gli risposero: “Sì”. Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.

Capita spesso agli archeologi di rinvenire, sotto i pavimenti delle abitazioni, casse o vasi contenenti monete. Sono stati probabilmente collocati là dai proprietari prima di darsi a una precipitosa fuga. Nell’imminenza di una guerra o di un’invasione nemica, tutti cercavano di nascondere in fretta ciò che avevano di prezioso e non potevano portare con sé, sperando di poterlo ricuperare un giorno, non appena fosse passato il pericolo. I veri padroni però molte volte non tornavano e la casa veniva occupata da altri che non avevano alcun sospetto della ricchezza che giaceva sotto i loro piedi.
Al tempo di Gesù si favoleggiava molto su tesori scoperti per caso. Si raccontava di poveri braccianti che, intenti a dissodare con l’aratro un campo non loro, accidentalmente urtavano contro un ostacolo, si chinavano per controllare ed ecco apparire un contenitore traboccante di monili, gemme, gioielli, pietre preziose. La fantasia popolare amava cullarsi con questi sogni di inattesi colpi di fortuna.
La prima parabola del vangelo di oggi (v. 44) riprende una di queste storie: per puro caso un uomo scopre, nel campo in cui sta lavorando, un tesoro; lo nasconde di nuovo, poi va, vende tutto ciò che possiede e compera quel campo.
Molti si sono soffermati a disquisire sul comportamento morale di quest’uomo e sulla liceità dell’operazione finanziaria da lui compiuta, ma non è questo il punto. Ha incuriosito i commentatori anche il fatto che il tesoro, dopo il ritrovamento, viene di nuovo nascosto. Apparentemente illogico e superfluo, questo dettaglio è invece prezioso: porta a supporre che il bracciante, attratto dall’inconfondibile sfavillio di un oggetto d’oro che affiorava dal terreno, abbia subito intuito che, sotto le zolle, poteva celarsi una ricchezza immensa e, per non perderne neppure una briciola, abbia deciso di comperare tutto il campo.
Siamo così introdotti nella parabola: il tesoro di cui Gesù parla è il regno dei cieli, la condizione nuova in cui entra chi accoglie la proposta delle beatitudini. Ha un valore incalcolabile e, solo progressivamente, viene scoperto da chi è deciso a puntare su di esso la propria vita.
Il fatto che questo tesoro sia trovato per caso indica la sua gratuità: Dio lo offre agli uomini senza alcun loro merito; non è un premio per le loro opere buone.
C’è però un comportamento da assumere di fronte a questo dono. Chi lo scopre non può avere esitazioni, perplessità, dubbi. Se tentenna, perde tempo prezioso, l’occasione favorevole può sfuggirgli e non ripresentarsi più. La decisione va presa con urgenza, la scelta non è dilazionabile. Non si può mancare all’appuntamento con il Signore.
Poi bisogna puntare tutto. Non si chiede di rinunciare a qualcosa, ma di spostare tutti i propri pensieri, le proprie attenzioni, i propri interessi, i propri sforzi sul nuovo obiettivo.
Il tesoro – come avverrà anche con la perla – non è acquistato per essere rivenduto e tornare in possesso dei beni di prima, ma per tenerlo in sostituzione di quanto, fino a quel momento, aveva dato senso alla vita. La scoperta del regno di Dio comporta un cambiamento radicale. È questo il significato della decisione di “vendere tutti i propri averi per comperare il campo”.
È quanto è accaduto a Paolo, il giudeo irreprensibile e fanatico, convinto che la Toràhera il tesoro che gli avrebbe dato la salvezza. Un giorno, sulla via di Damasco, ha incontrato Cristo, e tutto quello che per lui poteva costituire un guadagno fu considerato una perdita. “Di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore – dichiara – ho lasciato perdere tutto e tutto considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (Fil 3,7-8).
Un simile cambiamento provoca sorpresa, meraviglia, stupore. Chi non ha scoperto lo stesso tesoro non riesce a capacitarsi, non trova una spiegazione che giustifichi la novità di vita di chi è entrato nel regno di Dio.
Chi ha visto il contadino vendere tutto per comperare il campo deve aver pensato che era impazzito: la terra brulla e sassosa della Palestina non giustificava simili sacrifici. Egli solo era cosciente della sua scelta: stava concludendo l’affare della sua vita.
Chi conosceva Paolo – il rabbino scrupoloso osservante della legge – e improvvisamente l’ha visto abbandonare le sue sicurezze per puntare tutto su un uomo giustiziato l’ha considerato un folle: “Sei pazzo, Paolo – gli dice il procuratore Festo – la troppa scienza ti ha dato al cervello!” (At 26,24). Invece egli aveva trovato il bene più prezioso, “Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani” (1 Cor 1,23).
Da un segno, però, tutti – i vicini del contadino e i correligionari di Paolo – avrebbero dovuto capire che stava agendo con lucidità e a ragion veduta: la gioia. Chi ha capito di avere tra le mani un inatteso e insperato tesoro non può che essere colmo di gioia: “Sono pervaso di gioia” (2 Cor 7,4) – assicura l’Apostolo – “ho provato grande gioia nel Signore” (Fil 4,10); “il regno di Dio è gioia” (Rm 14,17).
Insomma, chi osserva il volto raggiante di chi ha scoperto il regno di Dio dovrebbe intuire che ha intravisto, come l’archeologo Carter, “cose meravigliose”.
La seconda parabola (vv. 15-16) è detta gemella della precedente e contiene lo stesso messaggio. Si diversifica per alcuni dettagli significativi: il protagonista anzitutto non è un povero bracciante, ma un ricco mercante che gira il mondo con un obiettivo ben preciso: trovare perle.
Nell’antichità le perle erano pregiate quanto lo sono oggi i diamanti. Venivano pescate nel mar Rosso, nel golfo Persico e nell’oceano Indiano e, nell’epoca imperiale, erano considerate la cosa più preziosa, tanto da divenire proverbiali. Afrodite, la dea dell’amore e della bellezza, era venerata come la dea delle perle; un bambino molto amato era detto “perla”; di un uomo saggio si diceva che aveva una bocca da cui uscivano perle; le dodici porte del cielo – scrive il veggente dell’Apocalisse – “sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla” colossale, meravigliosa (Ap 21,21).
Essendo ritenute di gran pregio, Gesù le ha scelte come immagine del tesoro inestimabile che egli offriva: il regno di Dio.
A differenza del contadino che s’imbatte per caso in un tesoro, il mercante trova la perla dopo un’estenuante ricerca. Le due scoperte sono frutto una della fortuna, l’altra del proprio impegno.
Il comportamento del mercante è l’immagine dell’uomo che cerca appassionatamente ciò che può dare senso alla sua vita e riempire di gioia i suoi giorni
Le due parabole si completano: il regno di Dio, da un lato è dono gratuito di Dio, dall’altro è anche frutto dell’impegno dell’uomo.
La terza parabola (vv. 47-50) riprende il tema introdotto domenica scorsa dalla parabola del grano e della zizzania. L’immagine è presa dalla pesca sul lago di Tiberiade dove erano impiegate grandi reti a strascico che catturavano pesci buoni, ma anche pesci non commestibili o impuri (Lv 11,10-11). Sulla spiaggia i pescatori procedevano alla separazione. Così – dice Gesù – avviene nel regno dei cieli.
Secondo la concezione degli antichi il mare era il regno delle forze diaboliche, nemiche della vita. Ai discepoli è affidata la missione di “pescare uomini”, sottraendoli al potere del male. Passioni incontenibili, egoismi, cupidigie li avviluppano come onde impetuose che, come un vortice, li trascinano verso l’abisso. Il regno dei cieli è una rete che li tira fuori, li fa respirare, li porta verso la luce, verso la salvezza.
In questa rete non vengono accolti soltanto i buoni e i bravi, ma tutti, senza distinzione. Il regno di Dio non si presenta oggi allo stato puro; nella comunità cristiana va serenamente ammessa, accanto al bene, la presenza del male e del peccato. Nessuno, anche se impuro, deve sentirsi escluso o essere emarginato. Questo è il tempo della misericordia e della pazienza di Dio che “non vuole che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2 Pt 3,9).
Certo, giungerà il momento della separazione e Matteo, com’è solito fare, ne parla servendosi del linguaggio drammatico dei predicatori del suo tempo; impiega le immagini con cui nella Bibbia è descritta la distruzione dei nemici del popolo d’Israele (Ez 30; 38-39): i giusti entreranno nella pace e i malvagi saranno puniti in una prigione infuocata.
Nella letteratura rabbinica si parla spesso di questo giudizio di Dio, non per minacciare la punizione eterna ai peccatori, ma per mettere in risalto l’importanza del tempo presente e l’urgenza delle decisioni da prendere oggi: ogni attimo sprecato è definitivamente perso e gli errori commessi in questo mondo avranno conseguenze eterne. L’eventualità di dissipare, di sperperare la propria esistenza puntandola su “tesori” sbagliati è tutt’altro che remota. Tuttavia, alla fine, la separazione non sarà tra buoni e cattivi, ma tra bene e male: solo il bene entrerà in cielo, tutte le negatività verranno annientate prima… dal fuoco dell’amore di Dio.
Il discorso di Gesù si conclude con la domanda: “Avete capito?” e con il richiamo all’opera dello scriba (vv. 51-52). La domanda è rivolta ai discepoli, a coloro che hanno trovato il tesoro e la perla preziosa. Il regno dei cieli che ora possiedono è stato preparato attraverso l’AT (le cose vecchie) e realizzato in Cristo (le cose nuove). I cristiani sono invitati a rendersi conto, a prendere coscienza, attraverso lo studio delle sacre Scritture, dell’immenso dono che hanno ricevuto da Dio.


Padre Fernando Armellini biblista
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400 - Preghiera del mattino

Signore, il mio desiderio di felicità è insaziabile. La mia felicità dipende dal trovare te, lo so.
Ho fatto mia la frase del grande sant'Agostino: "Il nostro cuore non trova pace fino a quando non riposa in te, o Dio".
Una nuova giornata mi aspetta.
Ti prego, Signore, non lasciarmi affondare nell'indifferenza, ma tienimi sveglio. Fa' che io sia sempre alla ricerca e sempre in cammino.
Fammi trovare il tesoro che mi hai destinato, e che riconoscerei come il mio bene più personale.
Mostrami la perla che vale che le si sacrifichi tutto.
Aiutami a non accontentarmi di sognarla, ma a decidere per lei quando sarà giunto il momento.
Amen.
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sabato 23 luglio 2011

399 - Santa Brigida di Svezia

Santa Brigida, nata a Finstad in Svezia nel 1303 da una famiglia aristocratica e molto religiosa, madre di otto figli, fu impegnata nella vita familiare e fu oggetto di straordinarie visioni e rivelazioni. Gesù stesso le apparve in diverse occasioni e le consegnò dei messaggi che Brigida trascrisse fedelmente.
Si dedicò con il marito ad opere di carità, fondando un piccolo ospedale per servire i poveri.
Nel 1344, alla morte del suo sposo, Brigida iniziò una vita di ascesi dedicandosi completamente a Dio. Il Signore le affidò una nuova missione e la guidò passo passo con una serie di Grazie mistiche straordinarie.
Lasciata la Svezia, nel 1349, si recò a Roma, sede del papato, dove poté ampliare ancora di più i suoi orizzonti spirituali e fondò l’ordine del SS. Salvatore (detto delle brigidine), la cui prima badessa fu la figlia, S. Caterina di Svezia.
Compì molti pellegrinaggi in Italia e in Europa, nei luoghi che costituivano le sorgenti del cristianesimo e non ultimo in Terra Santa. Grazie al suo senso profondo del mistero di Cristo e della Chiesa, S. Brigida si fece partecipe della costruzione della comunità ecclesiale in un momento critico della sua storia. Le sue esperienze di Fede la resero un punto di riferimento per molte persone della Chiesa del suo tempo.
Ebbe contatti con Principi e Pontefici e non risparmiò ammonizioni severe sulla condotta morale del popolo cristiano e del clero.
Morì a Roma il 23 luglio 1373. Venne canonizzata il 7 ottobre 1391.
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398 - Orazioni di S.Brigida (da recitarsi per 12 anni)

Attraverso S. Brigida, Gesù ha fatto meravigliose promesse alle anime che reciteranno queste orazioni per 12 anni. In particolare, Gesù promette:
1. L'ANIMA CHE LE RECITA NON ANDRA' IN PURGATORIO.
2. L'ANIMA CHE LE RECITA SARA' ACCETTATA TRA I MARTIRI COME SE AVESSE VERSATO IL SUO SANGUE PER LA FEDE.
3. L'ANIMA CHE LE RECITA PUO' SCEGLIERE ALTRE TRE PERSONE CHE GESU' MANTERRA IN UNO STATO DI GRAZIA SUFFICIENTE PER DIVENTARE SANTE.
4. NESSUNO DELLE QUATTRO GENERAZIONI SUCCESSIVE ALL'ANIMA CHE LE RECITA SI DANNERA'.
5. L'ANIMA CHE LE RECITA SARA' RESA EDOTTA DELLA PROPRIA MORTE UN MESE PRIMA.

Qualcuno può pensare che gli potrebbe capitare di concludere la sua vita terrena prima del termine dei 12 anni di preghiere. In questo caso Gesù ha assicurato, sempre attraverso Santa Brigida, che le riterrebbe valide come se le avesse completate. Se invece si dovesse saltare uno o più giorni per qualche motivo, è possibile recuperare le preghiere mancanti in seguito. E' palese che coloro che si assumono questo impegno non devono pensare che queste preghiere siano il lasciapassare automatico per il Paradiso e di poter quindi continuare a vivere secondo i propri desideri. Sappiamo che dobbiamo vivere con Dio in tutta coerenza e sincerità non solo quando si recitano queste preghiere, ma durante tutta la vita. Sono però certo che se una persona riceve la Grazia di perseverare per 12 anni in questo tipo di orazione, sicuramente vive già in un buon grado di comunione con Gesù e Maria e sa come deve comportarsi.

PREGHIERA INIZIALE
O Gesù, desidero rivolgere al Padre questa tua orazione unendomi all'Amore con cui la santificasti nel tuo Cuore. Portala dalle mie labbra nel tuo Cuore. Migliorala e completala in modo perfetto così che possa portare alla Santissima Trinità tutto l'onore e la gioia che Tu Le tributasti quando elevasti questa orazione sulla terra; possano l'onore e la gioia scorrere sulla tua Sacra Umanità in glorificazione delle tue dolorosissime Piaghe e del Preziosissimo Sangue che da esse sgorgò.


1. La circoncisione di Gesù
Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro le prime ferite, i primi dolori e il primo sangue che Egli ha versato in espiazione di tutti i giovani, quale protezione contro il primo peccato mortale, in particolare dei miei consanguinei. Pater...Ave...


2. Le sofferenze di Gesù sul Monte degli Ulivi
Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro le terribili sofferenze del Cuore Divino di Gesù sul Monte degli Ulivi e Ti offro ogni goccia del suo sudore di Sangue in espiazione di tutti i miei peccati del cuore e di tutti quelli dell'umanità, quale protezione contro tali peccati e per la diffusione dell'Amore divino e fraterno. Pater...Ave...


3. La flagellazione di Gesù
Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro i mille e mille colpi, i dolori atroci e il Prezioso Sangue della Flagellazione in espiazione di tutti i miei peccati della carne e di tutti quelli dell'umanità, quale protezione contro di essi e per la salvaguardia dell'innocenza, in particolare tra i miei consanguinei. Pater... Ave...


4. La coronazione di spine di Gesù
Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro le ferite, i dolori e il Preziosissimo Sangue sceso dal Capo di Gesù quando fu coronato di spine, in espiazione dei miei peccati dello spirito e di quelli di tutta l'umanità, quale protezione contro di essi e per la costruzione del Regno di Dio su questa terra. Pater... Ave...


5. La salita di Gesù al calvario sotto il peso della croce
Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro le sofferenze patite da Gesù lungo la salita al monte Calvario e, in particolare, la Santa Piaga della Spalla e il Prezioso Sangue che da essa uscì, in espiazione dei miei ed altrui peccati di ribellione alla croce, di rifiuto dei tuoi santi disegni e di ogni altro peccato della lingua, quale protezione contro di essi e per un amore autentico alla Santa Croce. Pater... Ave...


6. La crocifissione di Gesù
Eterno Padre, per le mani purissime di Maria e per il Cuore Divino di Gesù, Ti offro tuo Figlio inchiodato sulla Croce e innalzato su di essa, le sue ferite alle mani e ai piedi e il Prezioso Sangue che da essa uscì per noi, i suoi terribili tormenti del Corpo e dello Spirito, la sua preziosa Morte e l'incruento suo rinnovarsi in tutte le Sante Messe celebrate sulla Terra. Ti offro tutto questo in espiazione di tutte le mancanze fatte ai voti e alle regole negli Ordini religiosi, in riparazione di tutti i miei e altrui peccati, per i malati e i moribondi, per i sacerdoti e per i laici, per le intenzioni del Santo Padre riguardanti la ricostruzione della famiglia cristiana, il rafforzamento della Fede, il nostro Paese, l'unità in Cristo fra le nazioni e all'interno della sua Chiesa, e per la Diaspora. Pater... Ave...


7. La ferita del costato di Gesù
Eterno Padre, accetta, per le necessità della Santa Chiesa e in espiazione dei peccati di tutta l'umanità, l'Acqua e il Sangue Preziosissimi usciti dalla ferita inflitta al Cuore Divino di Gesù e gli infiniti meriti che essi effondono. Ti supplichiamo, sii buono e misericordioso verso di noi! Sangue di Cristo, ultimo prezioso contenuto del Sacro Cuore di Gesù, purificami e purifica tutti i fratelli da ogni colpa! Acqua di Cristo, liberami da ogni pena meritata per i miei peccati e spegni le fiamme del Purgatorio per me e per tutte le anime purganti. Amen.
Pater... Ave... Angelo di Dio... Gloria al Padre...
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397 - Preghiera del mattino

Padre Santo, all'inizio di questo giorno, rendimi consapevole del momento opportuno che è questa nuova giornata.
Tu mi doni il tempo perché il seme, che cadde in un luogo solo e risuscitò nel mondo intero, sia oggi accolto nella mia persona.
Donami il tuo Santo Spirito che irrighi il terreno arido e porti molto frutto.
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396 - Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto

«Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

In questo brano Gesù scongiura i suoi amici di rimanere in lui, nel suo amore, per portare molto frutto e per godere la gioia in pienezza. L'espressione dominante di questo testo è "rimanere in", che ricorre sette volte. Gesù si presenta come la vite della verità: in questo modo afferma di essere il Cristo, il profeta definitivo atteso dagli ebrei e la fonte della rivelazione piena e perfetta. Nell'Antico Testamento la vite ha simboleggiato il popolo d'Israele. Il salmo 80 canta la storia del popolo di Dio utilizzando l'immagine della vite che Dio ha divelto dall'Egitto per trapiantarla in Palestina, dopo averle preparato il terreno. La presentazione del Padre, come l'agricoltore che coltiva la vita identificata con Gesù, richiama il canto d'amore di Isaia 5,1-7 nel quale il Signore è descritto come il vignaiolo che cura la casa d'Israele. La vite-Gesù produce numerosi tralci; non tutti però danno frutto. Il portare frutto dipende dal rapporto personale del discepolo con Gesù, dall'unione intima con il Cristo. L'opera purificatrice di Dio nei discepoli di Gesù ha come scopo una fecondità maggiore.
Dio purifica i discepoli dal male e dal peccato per mezzo della parola di Gesù. Per Giovanni la purificazione è legata alla parola di Cristo, cioè all'adesione, per mezzo della fede, alla sua rivelazione.
Gesù parla della mutua immanenza tra lui e i suoi amici. Nel passo finale del discorso di Cafàrnao, egli aveva fatto dipendere questa comunione perfetta tra lui e i suoi discepoli dal mangiare la sua carne e dal bere il suo sangue (Gv 6,56). La finalità della comunione intima con Gesù, il frutto che ogni tralcio deve portare è la salvezza.
L'uomo separato da Cristo, che è la fonte della vita, si trova nell'incapacità di vivere e operare nella vita divina. Senza l'azione dello Spirito Santo è impossibile entrare nel regno di Dio (Gv 3,5); senza l'attrazione del Padre, nessuno può andare verso il Cristo e credere in lui (Gv 6,44. 65). Come il mondo incredulo si trova nell'incapacità totale di credere (Gv 12,39) e di ricevere la Spirito della verità (Gv 14,17), così i discepoli, se non rimangono uniti al Cristo, non possono operare nulla sul piano della fede e della grazia (v.5). Chi non rimane in Cristo, vite della verità, non solo è sterile, ma subirà la condanna del giudizio finale (v.6). Una conseguenza benefica del rimanere in Gesù è l'esaudimento delle preghiere dei discepoli da parte del Padre. L'unione intima e profonda con Gesù rende molto fecondi nella vita di fede e capaci di glorificare Dio Padre (v.8)


Padre Lino Pedron
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venerdì 22 luglio 2011

395 - Preghiera del mattino

Concedi, o Signore, a ciascuno di noi di potere sperimentare durante questa giornata la nuova nascita che abbiamo ricevuto in dono il giorno del battesimo.
Amen.
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394 - Ho visto il Signore e mi ha detto queste cose

Maria invece stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Maria Maddalena si reca al sepolcro per rimanere presso la tomba di Gesù, come una persona che non vuole separarsi da colui che ama intensamente neppure dopo la morte. Questa discepola è animata da un forte amore umano per Gesù come dimostra eloquentemente il suo pianto inconsolabile presso il sepolcro del Signore.
L'annotazione "mentre era ancora buio" potrebbe avere un significato simbolico, per indicare le tenebre provocate dall'assenza di Gesù. Ma ben presto apparirà il Cristo-luce che illumina il mondo e sarà contemplato per prima proprio da Maria Maddalena.
La Maddalena, giunta al sepolcro, constata che la pietra della tomba di Gesù è stata rimossa e, pensando a una manomissione del sepolcro, corre da Simone Pietro e dal discepolo che Gesù amava.
Dopo aver costatato la tomba vuota, Pietro e l'altro discepolo ritornano nel cenacolo: là li troverà Gesù la sera di quello stesso giorno. I due discepoli lasciano il luogo della tomba, invece Maria rimane presso il sepolcro e piange. Agli angeli che le chiedono la ragione del suo pianto, essa risponde: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto" (v.13).
A questo punto entra in scena Gesù, fuori dal sepolcro, in piedi, ma Maria non lo riconosce. Non solo qui, ma anche nel brano della pesca miracolosa il Risorto non è conosciuto immediatamente. Gesù si fa conoscere da Maria chiamandola per nome: egli è il buon pastore che conosce le sue pecore e le chiama per nome (cfr Gv 10,3-4.27). Maria, appena sentito il suo nome, riconosce subito Gesù e gli dice: "Rabbunì" che significa "Maestro mio".
Matteo narra che le pie donne abbracciarono i piedi di Gesù, appena lo incontrarono (Mt 28,9). Giovanni fa intendere un gesto simile da parte della Maddalena, perché il Risorto le dice: "Non trattenermi, infatti non sono ancora salito al Padre" (v.17). Quindi Gesù affida alla discepola una missione per i suoi discepoli: annunziare loro che sta per ascendere al Padre. I discepoli sono fratelli di Gesù, perciò Dio è il Padre dei credenti in Cristo.
Maria Maddalena esegue l'ordine affidatole dal Risorto, annunziando ai discepoli: "Ho visto il Signore" e raccontando quello che le aveva detto (v.18). Questo lieto messaggio costituisce il vertice di tutto il brano Gv 20, 1-18. Esso si è aperto con l'esclamazione dolorosa: "Hanno portato via il Signore" (v.2) e si chiude con l'esplosione gioiosa: "Ho visto il Signore" (v.18).
L'incontro di Gesù con la Maddalena e l'annuncio fatto dalla donna ai fratelli contengono un grande messaggio per il discepolo di ogni tempo: il Signore è vivo e ognuno deve cercarlo in un cammino di fede, sicuro che se farà la sua parte, il Signore non tarderà a venirgli incontro e a farsi conoscere.
Un monaco del XIII secolo descrive questo incontro tra Cristo e Maria, mettendo sulla bocca di Gesù queste parole: "Donna, perché piangi? Chi cerchi? Colui che tu cerchi, già lo possiedi e non lo sai? Tu hai la vera ed eterna gioia e ancora tu piangi? Questa gioia è nel più intimo del tuo essere e tu ancora la cerchi al di fuori? Tu sei là, fuori, a piangere presso la tomba: Il tuo cuore è la mia tomba. E lì io non sto morto, ma riposo vivo per sempre. La tua anima è il mio giardino. Avevi ragione di pensare che io fossi il giardiniere. Io sono il nuovo Adamo. Lavoro nel mio paradiso e sorveglio tutto ciò che qui accade. Le tue lacrime, il tuo amore, il tuo desiderio, tutte queste cose sono opera mia. Tu mi possiedi nel più intimo di te stessa senza saperlo ed è per questo che tu mi cerchi fuori. È dunque anche fuori che io ti apparirò, e così ti farò ritornare in te stessa, per farti trovare nell'intimo del tuo essere colui che tu cerchi altrove" (Anonimo, Meditazione sulla passione e risurrezione di Cristo, 38: PL 184, 766).


Padre Lino Pedron
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