giovedì 30 giugno 2011

336 - Pratica la carità senza limiti

Ama e pratica la carità, senza limiti e senza discriminazioni, perché è la virtù che ci caratterizza come discepoli del Maestro. — Tuttavia, la carità non può portarti — non sarebbe più una virtù — ad attenuare la fede, a togliere gli spigoli che la definiscono, ad addolcirla fino a trasformarla, come alcuni pretendono, in qualcosa di amorfo che non ha la forza e il potere di Dio. (Forgia, 456)


Il Signore ha preso l'iniziativa, ci è venuto incontro. Ci ha dato questo esempio, affinché con Lui ci applichiamo al servizio del prossimo, affinché — mi piace ripeterlo — stendiamo generosamente il nostro cuore sul pavimento, per consentire agli altri di camminare sul soffice, e risulti loro più gradevole la lotta ascetica. Dobbiamo comportarci così perché siamo stati resi figli del medesimo Padre, di un Padre che non ha esitato a darci il suo Figlio amatissimo.
La carità non siamo noi a costruirla; ci invade con la grazia di Dio: perché è stato Lui ad amarci per primo [Cfr 1 Gv 4, 10]. È bene lasciarci compenetrare da questa bellissima verità Se possiamo amare Dio, è perché siamo stati amati da Dio [Origene, Commentarii in Epistolam ad Romanos, 4, 9]. Tu e io siamo in grado di riversare affetto su chi ci sta accanto, perché siamo nati alla fede attraverso l'amore del Padre. Domandate audacemente al Signore questo tesoro, la virtù soprannaturale della carità, per esercitarla fin nei più piccoli particolari.
Spesso noi cristiani non abbiamo saputo corrispondere a questo dono; talvolta lo abbiamo deprezzato, limitandolo a un'elemosina fredda, senz'anima; o lo abbiamo ridotto a beneficenza più o meno stereotipata. Riassume molto bene questa aberrazione il rassegnato lamento di una malata: «Qui mi trattano con 'carità', ma mia madre mi curava con affetto». L'amore che nasce dal Cuore di Cristo non può dar spazio a simili distinzioni. (Amici di Dio, nn. 228-229)
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335 - Resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini

Salito su una barca, passò all'altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati». Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa infatti è più facile: dire «Ti sono perdonati i peccati», oppure dire «Àlzati e cammina»? Ma, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati - disse allora al paralitico -, prendi il tuo letto e va' a casa tua». Ed egli si alzò e andò a casa sua. Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.

All’episodio della liberazione degli indemoniati segue il miracolo del perdono e della guarigione del paralitico. Matteo tralascia tutti i particolari dell’avvenimento e va subito all’essenziale: la fede. È sempre e solo la fede che conta. Gesù non ha il potere solo sulle malattie, le forze del creato e i demoni, ma ha anche il potere di perdonare i peccati. La salvezza consiste nella remissione dei peccati (Mt 1,21; Lc 1,77). E Gesù è il salvatore che perdona i peccati.
Il peccato è un’offesa a Dio e quindi solo Dio può perdonarlo. Gesù è Dio diventato uomo che perdona qui in terra i peccati. Lo dice esplicitamente al paralitico: «Ti sono rimessi i tuoi peccati». Gesù è il figlio dell’uomo al quale sono stati dati da Dio «il potere, la gloria e il regno» (Dan 7,14). Egli ha sulla terra il potere di rimettere i peccati. A giudizio degli scribi Gesù bestemmia perché è un uomo che si arroga il potere di Dio.
La capacità di Gesù di conoscere i loro pensieri è una prerogativa divina. Questa sua capacità conferma che egli è Dio e quindi ha il potere di perdonare i peccati. Anche in questa pagina del vangelo si manifesta la bontà misericordiosa di Dio. Le parole di Gesù: «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati » danno al peccatore la certezza di essere già perdonato e la felice sorpresa di essere amato e capito da Dio nell’umiliazione del suo peccato.
A differenza degli scribi, dotti conoscitori della parola di Dio, la gente semplice glorifica Dio che ha dato agli uomini il suo potere di perdonare i peccati. Matteo scrive il suo vangelo quando la Chiesa esercitava già da tempo il potere divino di «legare e sciogliere» (Mt 16-19), il potere di rimettere o di non rimettere i peccati (Gv 20,23). La remissione dei peccati è riammissione del colpevole nella famiglia di Dio, è accoglienza in casa. Il comando di Gesù al paralitico: «Alzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua» è rivolto ad ogni uomo perdonato e guarito perchéì ritorni alla casa del Padre (cfr Lc 15-18).


Padre Lino Pedron
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mercoledì 29 giugno 2011

334 - Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli

Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo

Gesù pone la domanda fondamentale, sulla quale si decide il destino di ogni uomo: «Voi chi dite che io sia?». Dire chi è Gesù è collocare la propria esistenza su un terreno solido, incrollabile.
La risposta di Pietro è decisa e sicura. Ma il suo discernimento non deriva dalla «carne» e dal «sangue», cioè dalle proprie forze, ma dal fatto che ha accolto in sé la fede che il Padre dona.
Gesù costituisce Pietro come roccia della sua Chiesa: la casa fondata sopra la roccia (cfr. 7,24) comincia a prendere il suo vero significato.
Non è fuori luogo chiedersi se Pietro era pienamente cosciente di ciò che gli veniva rivelato e di ciò che diceva. Notiamo il forte contrasto tra questa professione di fede seguita dall’elogio di Gesù: «Beato te, Simone…» e
l’incomprensione del v. 22: «Dio te ne scampi, Signore…» e infine l’aspro rimprovero di Gesù: «Via da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Questo contrasto mette in evidenza la differenza tra la fede apparente e quella vera: non basta professare la messianicità di Gesù. Bisogna credere e accettare che il progetto del Padre si realizza attraverso la morte e la risurrezione del Figlio.
Pietro riceve le chiavi del regno dei cieli. Le chiavi sono segno di sovranità e di potere. Pietro dunque insieme alle chiavi riceve piena autorità sul regno dei cieli. Egli esercita tale autorità sulla terra e non in funzione di portinaio del cielo, come comunemente si pensa. In qualità di trasmettitore e garante della dottrina e dei comandamenti di Gesù, la cui osservanza apre all’uomo il regno dei cieli, egli vincola alla loro osservanza.
Gli scribi e i farisei, in quanto detentori delle chiavi fino a quel momento, avevano esercitato la medesima autorità. Ma, rifiutando il vangelo, essi non fanno altro che chiudere il regno dei cieli agli uomini. Simon Pietro subentra al loro posto. Se si considera attentamente questa contrapposizione, risulta che il compito principale di cui è incaricato Pietro è quello di aprire il regno dei cieli. Il suo incarico va descritto in senso positivo.
Non si potrà identificare la Chiesa con il regno dei cieli. Ma il loro accostamento in quest’unico brano del vangelo offre l’opportunità di riflettere sul loro reciproco rapporto. Alla Chiesa, quale popolo di Dio, è affidato il regno dei cieli (cfr 21,43). In essa vivono gli uomini destinati al Regno. Pietro assolve il proprio servizio nella Chiesa quando invita a ricordarsi della dottrina di Gesù, che permette agli uomini l’ingresso nel Regno. Nel giudaismo, gli equivalenti di legare e sciogliere (‘asar e sherà’) hanno il significato specifico di proibire e permettere, in riferimento ai pronunciamenti dottrinali. Accanto al potere di magistero si pone quello disciplinare. In questo campo i due verbi hanno il senso di scomunicare e togliere la scomunica.
Questo duplice potere viene assegnato a Pietro. Non è il caso di separare il potere di magistero da quello disciplinare e riferire l’uno a 16,19 e l’altro a 18,18. Ma non è possibile negare che in questo versetto 19 il potere dottrinale, specialmente nel senso della fissazione della dottrina, sta in primo piano.
Pietro è presentato come maestro supremo, tuttavia con una differenza non trascurabile rispetto al giudaismo: il ministero di Pietro non è ordinato alla legge, ma alla direttiva e all’insegnamento di Gesù. Il legare e lo sciogliere di Pietro viene riconosciuto in cielo, cioè le decisioni di carattere dottrinale prese da Pietro vengono confermate nel presente da Dio. L’idea del giudizio finale è più lontana, proprio se si includono anche decisioni disciplinari. Nel vangelo di Matteo, Pietro viene presentato come il discepolo che fa da esempio. Ciò che gli è accaduto è trasferibile ad ogni discepolo. Questo vale sia per i suoi pregi sia per le sue deficienze, che vengono impietosamente riferite. Ma a Pietro rimane una funzione esclusiva ed unica: egli è e resta la roccia della Chiesa del Messia Gesù.
Pietro è il garante della tradizione su Cristo com’è presentata dal vangelo di Matteo.
Nel suo ufficio egli subentra agli scribi e ai farisei, che finora hanno portato le chiavi del regno dei cieli. A lui tocca far valere integro l’insegnamento di Gesù in tutta la sua forza. Gesù comanda ai suoi discepoli di non dire che egli era il Cristo, perché la loro concezione del Messia non era ancora adeguata.


Padre Lino Pedron
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martedì 28 giugno 2011

333 - Amare i nostri nemici

Non siamo buoni fratelli dei nostri fratelli, gli uomini, se non siamo disposti a mantenere una condotta retta, anche quando chi ci sta accanto interpreta male il nostro comportamento, e reagisce in modo spiacevole. (Forgia, 460).


Noi, figli di Dio, ci forgiamo nella pratica del comandamento nuovo, impariamo nella Chiesa a servire e a non farci servire [Cfr Mt 20, 28], e siamo in grado di amare l'umanità in modo nuovo, che tutti scopriranno essere frutto della grazia di Cristo. Il nostro amore non va confuso con il sentimentalismo, neppure con il mero cameratismo, e nemmeno con il desiderio poco chiaro di aiutare gli altri per dimostrare a noi stessi la nostra superiorità. È saper convivere col prossimo, venerare — insisto — l'immagine di Dio insita in ogni uomo, facendo in modo che anche lui la contempli, e così sappia dirigersi a Cristo.
Universalità della carità significa, pertanto, universalità dell'apostolato; capacità nostra di trasformare in opere, e sul serio, il grandioso impegno di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità [1 Tm 2, 4].
Se si devono amare anche i nemici — intendo coloro che ci considerano loro nemici: per quanto mi riguarda, non mi sento nemico di niente e di nessuno — a maggior ragione bisognerà amare coloro che sono semplicemente lontani, coloro che ci sono meno simpatici, coloro che, per motivi di lingua, di cultura, di educazione, sembrano il mio o il tuo opposto. (Amici di Dio, 230)
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332 - Si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia

Salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia. Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

Il diventare discepoli conduce alla piena comunione e alla piena condivisione di vita con Cristo e con i fratelli nella Chiesa: si monta sulla stessa barca. Per affrontare il viaggio della vita cristiana ci vuole tanto coraggio: solo la fede ci fa vincere la paura. La Chiesa attinge la sua fiducia nel Cristo che è sempre con i suoi (Mt 28,20) nella stessa barca e condivide la loro sorte.
Il sonno di Gesù non indica stanchezza, ma tranquillità, piena consapevolezza di sé e fiducia nelle proprie capacità. La tempesta, come il cataclisma che accompagna la morte di Gesù (Mt 27,54) e il terremoto che scuote la sua tomba (Mt 28,2), rappresentano sempre una stessa ondata di forze apparentemente avverse all’uomo, ma che in realtà cooperano all’attuazione del progetto di Dio.
L’agitazione dei discepoli è una reazione normale. Ma l’evangelista sposta l’attenzione dalla barca che sta naufragando sulle acque del lago alla Chiesa che avanza sul mare della storia ed è in preda ad altre simili burrasche nel suo interno e al suo esterno. L’invocazione che egli mette in bocca ai discepoli: «Salvaci, Signore, siamo perduti!» (v. 25).è la preghiera che la Chiesa ripete nei momenti di calamità, cioè sempre.
I discepoli si sentono perduti e non trovano altra via d’uscita che rivolgersi al Signore che è lì presente in mezzo a loro. I discepoli hanno la fede, diversamente non si sarebbero rivolti a Gesù, ma la loro è una fede ancora insufficiente. La fede di chi ha paura è una fede molto vacillante. La fede vera scaccia la paura perché riempie di Dio tutto l’uomo. Essa, infatti, è accogliere Dio nella propria vita.
L’episodio della tempesta sedata ci aiuta ulteriormente a capire cosa significhi essere discepoli di Gesù. Al centro del racconto sta il rimprovero di Gesù: «Perché avete paura, uomini di poca fede?». C’è la poca fede di chi non ha il coraggio di lasciare tutto e tutti per seguire Gesù. Ma c’è anche la poca fede di chi non si sente sicuro quando Gesù dorme.
La meraviglia dei discepoli di fronte al miracolo operato da Gesù («Chi è costui?») è del tutto comprensibile perché il dominio sul mare e sulle tempeste è una prerogativa del Dio della creazione e dell’esodo. I discepoli cominciano a percepire la presenza di Dio in quell’uomo che è lì con loro.


Padre Lino Pedron
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domenica 26 giugno 2011

331 - Richiesta di preghiere 25/2011

70) Alain, dalla Francia, chiede preghiere perché trovi un rimedio alla situazione delicata in cui si trova a causa di una decisione sbagliata che ora potrebbe avere conseguenze negative, dal punto di vista finanziario, sull'intera sua famiglia.
        
Je demande et implore NS Jésus Christ par l'intercession de la Vierge Marie de me porter secours et de remédier à ma situation délicate et désespérée suite à une mauvaise décision prise dans l'urgence en état de stress et sous pression, il y a quelques années qui risque de porter préjudice financièrement à l'ensemble de ma famille.

Seigneur je me suis égaré du bon chemin, accordez -moi la grâce dont j'ai besoin, votre miséricorde et votre pardon. Ayez pitié de moi et faites que ma prière soit exaucée afin d'éviter tout préjudice à ma famille. J'essaierai de changer ce qui doit être changé dans ma vie afin de mieux répondre à vos appels avec un repentir sincère et une vraie contrition de coeur et ainsi retrouver le bon chemin.
Faites que toute ma famille soit protégée et surtout que maman agée de 89 ans ait une fin de vie paisible et honorable.

71) Eleonora: Una preghiera per la mia famiglia divisa...grazie...per l'attività di mio marito che rischia il fallimento...con conseguenze sulla nostra casa ipotecata...grazie di cuore a tutti

72) Jean François ci chiede di continuare a pregare per la salute di sua madre Maria

bonjour, merci de prier en priorité pour la guerison de ma mere madame **** maria pour que ses problemes de vue blespharospasme s ameliore, de douleur de ventre, intercostales, puissent etre enfin soulager et que la sainte vierge puisse la guerir et lui redonner la pleine santé. que dieu protege ma mere contre les dangers visibles et invisibles et qu elle soit heureuse et vive dans le bonheur.
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330 - Festa del SS. Corpo e Sangue di Gesù

Quando entriamo in un edificio ci rendiamo subito conto a quale funzione è adibito. Un’aula scolastica è arredata in modo diverso da un’infermeria e una discoteca da un’officina. È facile riconoscere una chiesa: gli altari e il tabernacolo per custodire l’eucaristia, i dipinti e le statue di santi, il battistero, le suppellettili sacre permettono di identificare subito l’ambiente dedicato alla preghiera, al culto e alle pratiche devozionali.Non sempre però la struttura architettonica e l’arredamento eccessivo di alcune nostre chiese suggeriscono l’idea del luogo in cui la comunità è convocata per essere nutrita alla duplice mensa della parola e del pane.
Questo messaggio lo coglie invece immediatamente chi entra nelle cappelle in uso nelle foreste africane: capanne spoglie e disadorne, costruite con fango e paglia. Le ricordo con nostalgia: pali che fungono da sedili, disposti in cerchio per favorire l’unità dell’assemblea e far sì che i partecipanti si guardino in volto e non si volgano le spalle; al centro è posto l’altare: un tavolo, certo il migliore del villaggio, ma semplice e povero e sull’altare un leggio, con il lezionario aperto alle letture del giorno. Null’altro.
Eccoli, inequivocabilmente raffigurati, i due pani o, se vogliamo, l’unico pane in duplice forma oppure la duplice mensa.
Sono questi i segni: l’altare dell’eucaristia, il lezionario della Parola.
Il Concilio Vaticano II lo ha ricordato: “La Chiesa non ha mai tralasciato di nutrirsi del pane di vita, prendendolo dalla mensa sia della parola di Dio, sia del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli” (DV 21).
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329 - La scelta

La scelta non è fra la gioia e la sofferenza; la sola scelta è tra il dolore aperto dalla Croce e il dolore chiuso dell'infermo.

Gustave Thibon
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328 - Un grande Amore ti aspetta in Cielo

(Oggi la Chiesa celebra la festa di san Josemaría Escrivá)
Ne sono sempre più persuaso: la felicità del Cielo è per coloro che sanno essere felici sulla terra. (Forgia, 1005)

Scrivevi: “Simile est regnum coelorum” — il Regno dei Cieli è simile a un tesoro... Questo passo del Santo Vangelo mi è caduto nell'anima, e ha messo radici. Lo avevo letto tante volte, senza coglierne il midollo, il sapore divino”.
Tutto..., tutto deve vendere l'uomo avveduto, pur di ottenere il tesoro, la perla preziosa della Gloria! (Forgia, 993)

Pensa quanto è gradito a Dio nostro Signore l'incenso che è bruciato in suo onore; pensa anche a quanto poco valgono le cose della terra, che appena cominciate sono già finite...
Invece, un grande Amore ti aspetta in Cielo: senza tradimenti, senza inganni: tutto l'Amore, tutta la bellezza, tutta la grandezza, tutta la scienza...! E senza stancare: ti sazierà senza saziarti. (Forgia, 995)

Non c'è maggior dignità che sapersi a servizio: al servizio volontario di tutte le anime!
— È così che si conquistano i grandi onori: quelli della terra e quelli del Cielo. (Forgia, 1045)
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327 - Il Dio nella sua essenza

L'uomo non deve accontentarsi di un Dio pensato, perché quando il pensiero svanisce, anche Dio svanisce.
Piuttosto, dobbiamo possedere Dio nella sua essenza...
In tutte le sue opere e in tutte le cose, l'uomo deve cogliere Dio nel modo più sublime possibile.

Meister Eckhart
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sabato 25 giugno 2011

326 - Messaggio Medjugorje del 25/6/2011 (XXX anniversario apparizioni)

"Cari figli, ringraziate con me l’Altissimo per la mia presenza con voi.
Gioioso è il mio cuore guardando l’amore e la gioia che avete nel vivere i miei messaggi. 
In molti avete risposto, ma aspetto e cerco tutti i cuori addormentati affinché si sveglino dal sonno dell’incredulità.
Avvicinatevi ancora di più, figlioli, al mio cuore Immacolato perché possa guidarvi tutti verso l’eternità.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata."
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325 - Messaggio straordinario Medjugorje del 24/6/2011 a Ivan

“Cari figli, anche oggi mi rallegro con voi, anche oggi nella gioia vi invito: accogliete i miei messaggi e vivete i miei messaggi. Che i miei messaggi diventino vita! Incastonateli nelle vostre vite, che questo sia il nutrimento nel vostro cammino di vita.
Sappiate, cari figli, che sono con voi quando attraversate i momenti più difficili, che vi incoraggio e consolo, che intercedo presso mio Figlio per tutti voi. Perciò, cari figli, perseverate nella preghiera e non temete! Seguitemi senza paura. Grazie, cari figli, anche oggi per avermi nuovamente accolto e aver accolto i miei messaggi e perché vivrete i miei messaggi”.
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324 - La messe è molta e pochi gli operai

La messe è molta e pochi gli operai. —“Rogate ergo!” —Pregate, dunque, il Signore della messe perché mandi operai nel suo campo. La preghiera è il mezzo più efficace di proselitismo. (Cammino, 800)

Ancora risuona nel mondo quel grido divino: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e che altro voglio, se non che divampi?”. —Eppure, vedi: è quasi tutto spento... Non ti viene voglia di propagare l'incendio? (Cammino, 801)

Vorresti attrarre al tuo apostolato quell'uomo di scienza, quel personaggio autorevole e quel tale pieno di prudenza e di virtù.
Prega, offri sacrifici e lavòrateli con il tuo esempio e con la tua parola. —Non vengono! —Non perdere la pace: vuol dire che non sono necessari.
Credi che non ci fossero dei contemporanei di Pietro, dotti, e autorevoli, e prudenti, e virtuosi, al di fuori del gruppo dei primi dodici? (Cammino, 802)

Strazia il cuore il grido — sempre attuale! — del Figlio di Dio, che si lamenta perché la messe è molta e gli operai sono pochi.
— Questo grido è uscito dalla bocca di Cristo, perché anche tu possa ascoltarlo: come gli hai risposto fino a ora? preghi, almeno ogni giorno, per questa intenzione? (Forgia, 906)

Per seguire il Signore è necessario darsi una volta per tutte, senza riserve e virilmente: bruciare le navi senza esitare, perché non vi siano possibilità di tornare indietro. (Forgia, 907)
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323 - Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe

Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch'io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va'!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa' questo!», ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». Gesù disse al centurione: «Va', avvenga per te come hai creduto». In quell'istante il suo servo fu guarito. Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva. Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie.
         
Il centurione era il comandante di una centuria, di un gruppo di cento soldati. Egli non chiede nulla per sé, ma prega Gesù per il suo servo gravemente ammalato. Gesù manifesta tutta la sua disponibilità: «Io verrò e lo curerò» (v. 7). Ma il centurione dichiara di non essere degno di ricevere Gesù in casa propria ed è convinto che non occorre che il Signore vada da lui perché lo ritiene capace di comandare anche a distanza sulle potenze del male. Il centurione è un pagano che crede senza esitazione nel potere della parola di Dio. E la fede nella parola di Dio permette al Signore di agire in noi. Il miracolo è un segno dell’amore di Dio che interviene a nostro favore, perché è infinitamente sensibile al nostro
male. Egli vuole donarci tutto e soprattutto se stesso. Aspetta solo che glielo chiediamo con fede. La grande fede del centurione rende manifesta la mancanza di fede in Israele. La semplice appartenenza anagrafica al popolo di Dio non dà a nessuno la certezza di essere salvato: a tutti è richiesta la fede che si manifesta nelle opere. L’incontro con il centurione offre a Gesù l’occasione per annunciare l’entrata di tutti i popoli nel regno di Dio. I pagani prenderanno posto alla tavola dei patriarchi nel regno dei cieli. La Chiesa è costituita da coloro che credono nella parola di Dio e la mettono in pratica. Nel regno di Dio entreranno solo i figli, ossia quelli che sono stati rigenerati «dalla parola di Dio viva ed eterna» (1Pt 1,23), dalla parola del vangelo. Il futuro eterno lo si prepara giorno per giorno accogliendo o rifiutando la parola di Gesù. La nostra libertà si esprime pienamente nella fede o nella mancanza di fede, nel nostro acconsentire alla comunione con Dio o nel rifiutarla.
Solo con il detto minaccioso del v. 12 la provocazione raggiunge il suo culmine. È colpita la generazione dei giudei contemporanea di Matteo, il giudaismo guidato dai farisei. La causa della sua esclusione è il rifiuto della parola di Gesù, che è decisiva ai fini della salvezza. Le tenebre significano il luogo più lontano da Cristo, che è la luce (cfr. Mt 416) e la salvezza. Il pianto e lo stridore di denti indica il furore smisurato (cfr. Sal 3516; 3712; 112,10).
La frase conclusiva del v. 13 ritorna a parlare del servo malato. La precisazione «in quell’istante» significa che la guarigione è avvenuta nel momento in cui Gesù ha pronunciato la sua parola.
In questo brano compare all’orizzonte il pellegrinaggio di tutti i popoli che affluiranno alla casa del Signore, e l’annuncio finale del vangelo di Matteo: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni» (28,19).
I tre miracoli di guarigione del lebbroso, del servo del centurione e della suocera di Pietro ci devono far capire l’importanza della salute fisica. Gesù non si prende cura solo dell’anima dell’uomo, ma di tutto l’uomo, corpo e anima. Ogni malattia e miseria dell’uomo è così importante da meritare tutta l’attenzione e la premura di Gesù. Tale dev’essere anche l’atteggiamento dei suoi discepoli.
Il racconto della guarigione della suocera di Pietro ci insegna quale dev’essere la reazione di ogni credente quando viene raggiunto dalla forza di salvezza del Cristo: mettersi al suo servizio per sempre. La suocera di Pietro è guarita per servire Gesù. Accanto alle pie donne (Mt 27,55), la suocera di Pietro è il simbolo del vero servo di Cristo. Anche se rimane ad accudire alle faccende casalinghe, ella è alle dipendenze del Signore. Ogni cristiano deve passare dalla guarigione liberazione battesimale al perfetto e pieno servizio di Cristo.
Con un resoconto sommario e una citazione di Isaia, Matteo riassume i tre racconti di miracoli. La citazione di Is 53,4 ha lo scopo di svelarci il significato profondo dei gesti di Gesù. Le guarigioni operate da lui sono il segno che è arrivato il tempo della salvezza: è arrivato il Servo di Jahvè che prende su di sé le nostre infermità e si addossa le nostre malattie.

Padre Lino Pedron
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venerdì 24 giugno 2011

322 - 30.mo anniversario delle apparizioni di Maria a Medjugorje

La Vergine Maria apparve per la prima volta a sei bambini di Medjugorje il 24 giugno 1981. Alcuni di loro continuano ad avere visioni della Madonna ancora oggi. Sono decine di milioni i fedeli che in questi trent'anni hanno visitato Medjugorje.Si, oggi 24 giugno 2011 sono esattamente 30 anni che la Regina della Pace dal Cielo scende sulla terra di Medjugorje per portare i suoi Messaggi di pace, di amore e di riconciliazione con Dio... Messaggi da trasmettere a tutta l'umanità. Ormai da 30 anni la Regina della pace sta lanciando a Medjugorje un ultimo appello di conversione e di riconciliazione con Dio. Si, perché più giorni passano e più si avvicina il momento in cui cominceranno a essere svelati i dieci segreti che la Madonna ha confidato alla veggente Mirjana sin dal 1982.
Vi trascrivo uno degli ultimi messaggi ricevuti da Mirjana alla Croce Blu, messaggio del 2 maggio 2011 che racchiude tutta la missione della Regina della Pace verso l'umanità:
"Cari figli, Dio Padre mi manda affinché vi mostri la via della salvezza, perché Egli, figli miei, desidera salvarvi e non condannarvi. Perciò io come Madre vi raduno attorno a me, perché col mio materno amore desidero aiutarvi a liberarvi dalla sporcizia del passato, a ricominciare a vivere e a vivere diversamente. Vi invito a risorgere in mio Figlio. Con la confessione dei peccati rinunciate a tutto ciò che vi ha allontanato da mio Figlio ed ha reso la vostra vita vuota e infruttuosa. Dite col cuore "sì" al Padre ed incamminatevi sulla strada della salvezza su cui Egli vi chiama per mezzo dello Spirito Santo. Vi ringrazio! Io prego particolarmente per i pastori, perché Dio li aiuti ad essere accanto a voi con tutto il cuore."
Regina della Pace, noi ti amiamo e preghiamo con te, aiutaci a far fiorire ancora tantissime consacrazioni al tuo Santissimo Cuore e quello del tuo Figlio Gesù. Prega con noi Mamma, affinché tanti ancora possono promuovere l'Amore di Gesù nell'Eucaristia. Amen
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321 - Sei figlio di Dio

Il battesimo ci rende “fideles” — fedeli, parola che, come l'altra, “sancti” — santi, i primi seguaci di Gesù usavano per indicarsi tra di loro, e che ancor oggi è in uso: si parla dei “fedeli” della Chiesa. — Pensaci! (Forgia, 622)

In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui [...]. Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3, 13.17).
Con il Battesimo, Dio nostro Padre ha preso possesso della nostra vita, ci ha incorporati alla vita di Cristo e ci ha mandato lo Spirito Santo.
La forza e il potere di Dio illuminano la faccia della terra.
Faremo ardere il mondo, nelle fiamme del fuoco che sei venuto a portare sulla terra!... E la luce della tua verità, Gesù nostro, illuminerà le intelligenze, in un giorno senza fine.
Io ti sento esclamare, mio Re, con voce viva, tuttora vibrante. «Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi un accendatur?» (Lc 12, 49). – E rispondo – con tutto me stesso – con in miei sensi e le mie facoltà: «Ecce ego: quia vocasti me!» (1 Sam 3, 9).
Il Signore ha posto nella tua anima un sigillo indelebile, per mezzo del Battesimo: sei figlio di Dio. Bambino: non ardi dal desiderio di far sì che tutti lo amino? (Santo Rosario, Iº mistero luminoso)

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320 - Giovanni è il suo nome

Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
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L'attuazione della salvezza comincia con la nascita di Giovanni. Essa riempie gli animi di gioia e li spinge ad elevare un canto di ringraziamento a Dio e a ricolmare di felicitazioni la madre del bambino. Il centro di questo racconto è la questione del nome da dare al bambino. Il nome indica la natura della persona, la sua missione, il suo valore unico e irripetibile. Giovanni significa "Dio fa grazia"; significa dono, grazia, amore di Dio. Il rito della circoncisione è movimentato. Tutto serve per mettere in rilievo la vocazione e la missione di Giovanni. Nel suo nome, che significa "Dio fa grazia", c'è tutto il programma che è chiamato a realizzare. Esso indica che Dio sta per dare una prova inaudita della sua misericordia verso gli uomini. L'uso ebraico di imporre al neonato il nome del genitore o di un antenato voleva indicare la continuità con il passato. Qui viene interrotto perché questo bambino ha un cammino proprio da percorrere indipendentemente dalla parentela o discendenza carnale. Ogni vita, ogni nascita è dono di Dio. La nascita di un uomo non è mai un caso, è sempre il compimento di un disegno d'amore di Dio. Il Signore mi ha disegnato con amore sul palmo della sua mano (Is 49,16), fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49,1), è lui che ha creato le mie viscere e mi ha tessuto nel grembo di mia madre (Sal 139,13).
L'uomo è il prodigio dell'amore di Dio: "Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio" (Sal 139,14). Dio dice ad ogni uomo: "Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e ti amo" (Is 43,4). La nostra dignità si comprende solo se guardiamo a Colui dal quale abbiamo avuto inizio e al quale ritorniamo: alla fine Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28).
Ogni nascita è una dilatazione dell'amore e della misericordia del Signore, la cui tenerezza si espande su tutte le creature (Sal 145,9). Solo se si capisce così una nascita, si può comprendere il vero valore e il vero spessore di una vita.
I vicini e i parenti si rallegrano con Elisabetta perché il Signore ha manifestato in lei la sua grande misericordia. Il credente è colui che vede l'azione di Dio dove il non credente vede solo l'azione dell'uomo. Il nome di Giovanni viene da Dio (Lc 1,13). Il nome di ogni figlio, il suo essere, la sua vocazione, il suo destino vengono da Dio. La meraviglia di tutti (v.63) sta nella scoperta che Dio è grazia, misericordia e tenerezza. Il v. 66 ci presenta un tema caro a Luca: l'ascolto della parola di Dio deve mettere radice nel cuore, crescere e fruttificare (cfr Lc 8,12ss). Nel bambino Giovanni si manifestano la potenza e la mano di Dio per portare avanti la sua crescita e così prepararlo convenientemente ai suoi compiti futuri. Nel v.80 ci viene presentato il Battista che si forma e cresce come gli antichi profeti.


Padre Lino Pedron
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mercoledì 22 giugno 2011

319 - Se noi cristiani sapessimo servire!

Quando ti parlo del “buon esempio”, intendo anche indicarti che devi comprendere e scusare, che devi riempire il mondo di pace e di amore. (Forgia, 560)

        Se noi cristiani sapessimo servire! Andiamo dal Signore e confidiamogli la nostra decisione di voler imparare a servire, perché soltanto così potremo non solo conoscere e amare Cristo, ma farlo conoscere e farlo amare dagli altri.
Come lo faremo conoscere alle anime? Con l'esempio, come suoi testimoni, offrendoci a Lui in volontaria servitù in tutte le nostre opere, perché Egli è il Signore di tutta la nostra vita, perché è l'unica e definitiva ragione della nostra esistenza. Poi, dopo aver offerto la testimonianza dell'esempio, saremo idonei a istruire con la parola, con la dottrina. Gesù fece così: Coepit facere et docere, prima insegnò con le opere, poi con la sua predicazione divina.
Per servire gli altri nel nome di Cristo, è necessario essere molto umani. Se la nostra vita fosse disumana, Dio non vi edificherebbe nulla, perché di solito non costruisce sul disordine, sull'egoismo, sulla prepotenza. È necessario comprendere tutti, convivere con tutti, scusare tutti, perdonare tutti. Non si tratta di dire che è giusto ciò che non lo è, o che l'offesa a Dio non è offesa a Dio, o che il male è bene. Però, non risponderemo al male con il male, ma con dottrina chiara e buone opere, affogando il male nell'abbondanza di bene. Cristo allora regnerà nella nostra anima e in quelle di coloro che ci sono vicini.
C'è chi cerca di costruire la pace nel mondo senza mettere nel suo cuore l'amore di Dio, senza servire le creature per amore di Dio. Come è possibile realizzare una simile missione di pace? La pace di Cristo è quella del suo regno; e il regno di nostro Signore si fonda sul desiderio di santità, sull'umile disponibilità a ricevere la grazia, su una vigorosa opera di giustizia, su una divina effusione d'amore. (E' Gesù che passa, 182).
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318 - Dai loro frutti li riconoscerete

Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete.
             
I profeti cristiani sono i missionari e i predicatori itineranti (Mt 10,41), ma sono, ugualmente, i maestri e le guide della comunità. Criterio pratico per verificare la loro autenticità è la coerenza tra quello che annunciano e quello che vivono.
Il cristiano dev’essere santamente critico anche nei confronti dei maestri e delle guide della comunità. Vera guida è colui che «fa frutti degni di conversione» (Mt 3,8), colui che vive il comandamento di Gesù: «Convertitevi» (Mt 4,17). Se alla sua parola non si accompagna la testimonianza della vita, è un falso profeta. Falsi profeti sono però anche tutti quei membri della comunità che riducono la fede alle belle parole, ma non vivono una vita coerente col vangelo. L’accusa di lupo rapace indica la sete di denaro: «i suoi capi in mezzo ad essa erano come lupi che dilaniano la preda…, per ottenere un ingiusto guadagno» (Ez 22,27).

Padre Lino Pedron
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317 - Consacrazione della famiglia a Maria

O Maria, pellegrina di bontà, Tu hai camminato accanto a Gesù e sei stata gioiosamente Madre e serva del progetto di Dio.
Affidiamo a Te la nostra vita con la fiducia serena che attira ogni figlio tra le braccia della sua Madre.

Vigila, o Maria, sulla crescita di Cristo in noi e nelle nostre famiglie: ogni nostra casa sia una Santa Casa e ogni nostra famiglia sia una Santa Famiglia abitata dalla pace e dall'amore.

II sì che ti rese Madre di Dio e di tutti i figli di Dio risuoni in ciascuno di noi.
Insegnaci ogni giorno il tuo si, o Maria, per amare i1 Cielo restando sulla terra,
per stare nel mondo senza appartenergli, per vivere operosi e sereni nell'attesa arrivare a casa con Te.
Amen.
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Giovanni Paolo II
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316 - Portate gli uni il peso degli altri

Dice il Signore: “Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno che siete miei discepoli”. —E San Paolo: “Portate gli uni il peso degli altri, e così compirete la legge di Cristo”. —Io non ti dico niente. (Cammino, 385)
             
Se ci guardiamo intorno, forse avremmo motivo di ritenere che la carità sia una virtù illusoria. Ma, se consideri le cose con senso soprannaturale, scoprirai la radice di tanta sterilità: la mancanza di un rapporto intenso e continuo: a tu per Tu, con Gesù Cristo, nostro Signore; e il misconoscimento dell'opera dello Spirito Santo nell'anima, il cui primo frutto è appunto la carità.
Accogliendo un'esortazione dell'Apostolo — Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo [Gal 6, 2], un Padre della Chiesa aggiunge: Amando Cristo sopporteremo con facilità la debolezza degli altri, anche di chi ancora non amiamo perché non ha opere buone[Sant'Agostino, De diversis questionibus, LXXXIII, 71, 7].
Da qui si inerpica il sentiero che ci fa crescere nella carità. Se pensassimo che la prima cosa da fare sia esercitarci in attività umanitarie, in lavori di assistenza, escludendo l'amore di Dio, saremmo in errore. Non trascuriamo Cristo per preoccuparci della malattia del nostro prossimo, giacché dobbiamo amare il malato a motivo di Cristo [Sant'Agostino, Ibidem].
Mantenete sempre lo sguardo su Gesù che, senza lasciare di essere Dio, umiliò se stesso prendendo la forma di servo [Cfr Fil 2, 6-7], per poterci servire, perché soltanto in questa direzione si dischiudono gli ideali che vale la pena alimentare. L'amore cerca l'unione, I'identificazione con la persona amata: e, unendoci a Cristo, saremo attratti dall'anelito di imitare la sua vita di dedizione, di amore incommensurabile, di sacrificio fino alla morte. Cristo ci mette davanti al dilemma definitivo: o consumare la propria esistenza in modo egoistico e solitario, o dedicarsi con tutte le forze a un compito di servizio. (Amici di Dio, 236)
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martedì 21 giugno 2011

315 - Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro

Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi. Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti. Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!
        
Il comando del v. 6 è rivolto a tutti coloro che annunciano la parola di Dio. I discepoli devono avere sempre presenti queste due cose: il dovere di predicare il vangelo e il dovere di non esporre alla profanazione la parola di Dio. I cani e i porci sono gli ignoranti, gli empi, i pagani. Le cose sante e le perle sono l’annuncio del regno di Dio. Il vangelo va annunciato a tutti, ma va anche difeso da coloro che lo rifiutano e lo deridono. Nel discorso missionario Gesù dirà ai suoi inviati: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe: Guardatevi dagli uomini perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe… Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra» (Mt 10,16-23).
Il significato di questo testo è evidente, ma le immagini usate non sono chiare. Le cose sacre (to haghion) sono i doni sacri, le carni dei sacrifici, i pani dell’offerta, ecc. (cfr. J. Jeremias, Matteo 7,6a, in Abraham unser Vater, Fest.
O.Michel, Leidel-Koeln 1963, pp. 271-275 ). Non si comprende perciò come queste cose provochino la reazione rabbiosa dei cani, quando vengono poste loro davanti. Ugualmente difficile è spiegare le perle date ai porci al posto del cibo. Sarebbe stato più logico parlare anche nella seconda parte di alimenti o anche nella prima di ornamenti. È probabile che alla base di queste incongruenze ci sia un’errata traduzione dell’originale aramaico. Il termine corrispondente a «ciò che è santo» (qadissah) ha le stesse consonanti di qedasha (anello, orecchino, pendente). Dato che le parole si scrivevano senza vocali, una parola poteva essere letta per l’altra. Anzi, è probabile che lo stesso vocabolo qadissah avesse il duplice significato di cosa sacra e di perla (cfr. E. Zolli in Il Nazareno, pp. 135-
147; G. M. Castellini, Struttura Letteraria di Matteo 7,6, in RivBibl 2 (1954), 310-317). Se questa ipotesi di traduzionefosse vera, il consiglio di Gesù sarebbe quello di non legare catenine preziose al collo dei cani affinché, nell’inutile tentativo di raggiungerle per levarsele di dosso, non si rivoltino contro coloro che ve le hanno appese. Nella seconda parte si presenta un fatto ugualmente sorprendente. Chi getta le perle davanti ai porci? Anche qui si potrebbe avere una traduzione inesatta del testo primitivo. La preposizione (emprosthen) nel corrispondente aramaico non significa solo ‘davanti’ ma anche ‘naso’. I verbi ‘dare’ e ‘gettare’ possono ugualmente significare ‘appendere’ e ‘ornare’ (cfr. M. Blak, An Aramaic Approach to the Gospels and Acts, Oxford 1954; J. Jeremias art.cit., p. 273). In base a questo sottofondo aramaico il tenore della frase è maggiormente in armonia col senso proposto sopra. Come lì veniva sconsigliato di appendere catenine al collo dei cani, qui si sconsiglia di ornare di perle il muso dei porci. Abbiamo una conferma di questo nel Libro dei Proverbi: «Un anello d’oro al naso di un porco, tale è la donna bella ma priva di senno» (11,22). Gesù raccomanda il discernimento nell’annuncio del suo Vangelo, diversamente gli ascoltatori, invece di convertirsi, combattono la buona novella. Questo versetto insegna la moderazione, la discrezione, la cautela. Il Vangelo non può essere imposto con la violenza, perché otterrebbe l’effetto contrario.
Il v. 12 è chiamato solitamente «la regola d’oro». Gesù afferma che la perfezione cristiana consiste nella perfezione dell’amore del prossimo. Tutto l’insegnamento evangelico si riassume nel servizio prestato all’altro, anche a prezzo del proprio interesse, perché l’altro è il proprio fratello. L’imperativo «fate» richiede un amore concreto e operoso. L’amore cristiano è più di una semplice comprensione o benevolenza verso i bisognosi e i deboli: è considerarel’altro come parte integrante del proprio essere. Per questo il peccato più grande è l’egocentrismo, e la virtù più importante è l’impegno sociale e comunitario.
La «regola d’oro» consiste soprattutto nella «regola dell’immedesimazione» o, più prosaicamente, «nel sapersi mettere nei panni degli altri», nella capacità di trasferirsi con amore e fantasia nella situazione dell’altro (anche del nemico). La mancanza di fantasia è mancanza d’amore.
Nel processo di Majdanek risultò evidente che questa mancanza di immedesimazione negli altri può avere conseguenze disastrose. Gli accusati di questo orribile campo di concentramento dimostrarono la quasi totale incapacità di trasferirsi nella situazione delle loro vittime.
La regola d’oro del v. 12 ci spinge verso un’operosità libera e creativa per il bene del prossimo. Essa è espressa in forma positiva e ci sprona a fare tutto il bene possibile a tutti. Ci invita a trasferirci con amore e fantasia nella situazione degli altri, nei panni degli altri. La mancanza di fantasia e di inventiva è mancanza d’amore. Il verbo «fare» indica un amore concreto e tangibile, come ci insegna anche la 1Gv 3,16-18: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità».
La novità del vangelo sta nella concentrazione di tutta la volontà di Dio nel comandamento dell’amore. Questo amore, manifestato a noi in Cristo, ha la sua sorgente e il suo modello nel Padre (Mt 5,43-48).
La «via» (v. 13) è il simbolo del cammino morale dell’uomo. La «via che conduce alla vita» è quella del vangelo, è Gesù in persona (Gv 14,6). La porta stretta e la via angusta significano le rinunce e le persecuzioni connesse con la scelta di vita cristiana. L’ingresso attraverso la porta stretta è l’ingresso nel regno di Dio (Mt 5,20; 18,1; ecc.), nella vita (Mt 18,8-9; 19,17), nella sala delle nozze (Mt 25,10) e nella gioia del Signore (Mt 25,21.23). In questo contesto del discorso della montagna, l’imperativo «entrate» significa: fate la volontà del Padre. Solo facendo la volontà del Padre si entra nel regno di Dio (Mt 7, 21). Il discorso sui «molti» e sui «pochi» si riferisce alla situazione presente e non a quella definitiva dopo il giudizio. La via comoda della mediocrità, del peccato e dell’egoismo è molto affollata. Il sentiero stretto e ripido che porta a Dio, tracciato dal discorso della montagna, sembra poco battuto. Gesù quindi ci esorta: «Entrate per la porta stretta». Il tema della salvezza sarà ripreso in Mt 19,16-26. Alla domanda dei discepoli: «Chi si potrà dunque salvare?»
Gesù risponde: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile». Qui, come in 22,14, Matteo recepisce la concezione pessimistica dell’apocalittica extra-biblica: «L’Altissimo ha creato questo mondo per molti, ma quello futuro per pochi» (4 Esd 8,1) non per ragguagliarci sul numero dei salvati,ma per spronarci all’impegno. Gesù offre la salvezza a tutti (Mt 26,28), ma tocca ai singoli accoglierla con decisione libera e responsabile.

Padre Lino Pedron
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lunedì 20 giugno 2011

314 - Togli prima la trave dal tuo occhio

Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: «Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio», mentre nel tuo occhio c'è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
 
L'imperativo "Non giudicate, per non essere giudicati da Dio" suona come un principio assoluto. Solo Dio può decidere del destino di ogni uomo. Anche la doverosa correzione fraterna può essere fatta solo nella consapevolezza del proprio peccato. Per natura siamo più portati a giudicare i difetti degli altri che a correggere i nostri. Dio pronuncerà su di noi lo stesso giudizio che noi pronunceremo sul prossimo e ci misurerà con la stessa misura con cui noi misuriamo gli altri. Il rigore e lo zelo sono spesso il contrario della compassione e della misericordia, che sono le virtù tipiche del cristiano, e quindi possono essere manifestazioni di mancanza d'amore ed espressioni di cattiveria.
La psicologia ci insegna che i difetti altrui che più ci irritano sono normalmente proprio i nostri difetti che detestiamo negli altri invece che in noi stessi.
Il fariseo ipocrita che sale al tempio a pregare non solo si vanta di essere pio e osservante, ma si sente in dovere di disprezzare tutti gli altri uomini che egli giudica ladri, ingiusti e adulteri (Lc 18,9-14).
Nessuno deve giudicare l'altro, perché deve ritenerlo superiore a sé (Fil 2,3). Il giudizio appartiene solo al Signore perché a lui appartengono tutti gli uomini. L'apostolo Paolo ha scritto: "Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare" (Rm 14,4).

Padre Lino Pedron
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domenica 19 giugno 2011

313 - Gloria al Padre al Figlio e allo Spiritio Santo

Oggi la Chiesa celebra il mistero della Trinità, mistero infinitamente distante da noi, povere creature, la Trinità ha voluto chinarsi su di noi per redimerci, per santificarci e renderci partecipi della Sua natura divina e della Sua beatitudine. Il Padre e lo Spirito Santo ci hanno tanto amati da darci il Verbo; il Padre e il Verbo con il loro amore incommensurabile ci hanno dato lo Spirito Santo. Amore grande, unico che inizia con il Battesimo e viene rinnovato con la Cresima (confermazione), non è passeggero ma perdura nella nostra anima (Gv 14,23-31) .Amatissimi, si, noi crediamo in un Dio che si presenta come comunione di amore per dire che ci ama e ci esorta ad imitarlo.
Lui ci ama, ci ha creati, ci ha plasmati e preparati alla missione che ognuno di noi deve compiere per Lui nel tempo. Apriamo il nostro cuore e lasciamo entrare quel Fuoco che brucia come roveto ardente ma non consuma, anzi ci farà riposare e ci illuminerà diventando il centro della nostra vita. Anche le croci diventano leggeri perché il nostro cuore è ricolmo di felicità. Il cuore è talmente ricolmo che diventa come un vaso che sta per traboccare. In Te Signore, mio adorato trovo tutto... la delizia del creato, la pace, la serenità, la gioia... mi sento appagata di tutto... la mia anima non cerca altro. Credetemi, vorrei che ogni anima provasse le mie stesse sensazioni e vivere in questo Amore. Signore mio, Padre, Figlio e Spirito Santo, manda le Tue grazie su tutti coloro che non Ti conoscono, per coloro che il nemico ha distratto e sedotto conducendoli sulla via della perdizione... fa o mio Dio che le coscienze si risveglino e volino nel Tuo Cuore ansiose di ricongiungersi a restare sempre con Te.
Tu mio Signore, ci hai creati anime libere consapevoli di dire si oppure dire no al proprio destino. Siamo esseri liberi di volare verso il Cielo oppure restare ad infangarci nel fango del mondo e perderci.
La vita cristiana è proprio questa riconoscere l' Amore di Dio e credervi.
Benedetto XVI nella sua enciclica Deus charitas est ha detto: "Davanti alla Trinità le nostre parole sono sempre povere e nascono tante domande. Eppure è un mistero di cui abbiamo esperienza: nell'amore umano succede qualcosa di simile esempio: due che si amano diventano una cosa nuova pur rimanendo se stessi, scaturisce una realtà che prima non esisteva, come una scheggia di Dio che penetra nel nostro profondo della nostra anima che giorno dopo giorno viene plasmata fino ad essere una cosa sola.
O Santissima Trinità, mistero sconfinato e inesauribile di amore e di bontà che col Santo Battesimo hai posto la Tua Dimora nel mio cuore fa che ogni giorno io possa adorarti e vivere in piena comunione con TE.
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312 - Richiesta di preghiere 24/2011

66 - Luigi dalla lombardia: Cari amici,pregate per tutte le mie intenzioni e per il posto di lavoro di Giovanna ,affinchè venga assunta al piu presto,grazie

67 - Grazia: per favore, pregate per Manuela e Annamaria

68 - Roberto dall'emilia-romagna: chiedo vostre urgenti preghiere per Carlo, un uomo di 43 anni, di Milano, al quale [...] verrà asportato un intero polmone causa tumore; affinchè Dio tramite l'intercessione della Madonna e del beato Giovanni Paolo II gli conceda la grazia della sopravvivenza.
Grazie infinite


69 - Roberto: chiedo Vostre urgenti preghiere per Filippo, un ragazzo con forti tendenze al suicidio, perché la Madonna (con l'intercessione del beato Giovanni Paolo II) possa liberarlo e guarirlo nello spirito. Grazie infinite.
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sabato 18 giugno 2011

311 - Fatima, l'Angelo apparve ai tre pastorelli

A Fatima la seconda apparizione dell’Angelo avvenne durante l’estate del 1916. Mentre i bambini stavano giocando nei pressi del loro pozzo favorito, l’Angelo apparve improvvisamente. “Che fate?” disse. “Pregate!
Pregate molto! I Cuori santissimi di Gesù e di Maria hanno su di voi disegni di misericordia. Offrite costantemente all'Altissimo preghiere e sacrifici.”
Lucia chiese all’Angelo in qual modo avrebbero potuto offrire i sacrifici.
L’Angelo rispose: “In tutti i modi possibili, offrite a Dio un sacrificio in atto di riparazione per i peccati con cui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori. Attirate così sulla vostra patria la pace. Io sono il suo angelo custode, l'Angelo del Portogallo. Soprattutto accettate e sopportate con sottomissione la sofferenza che il Signore vi manderà.”
Lucia commenta così: “Queste parole dell'Angelo si incisero nel nostro spirito, come una luce che ci faceva comprendere chi era Dio: come ci amava e voleva essere amato; il valore del sacrificio, e come gli era gradito; come, per riguardo a esso, convertiva i peccatori”. Il tema dominante in questa seconda apparizione dell’Angelo è stata l’importanza di compiere offerte a Dio in tutti i modi possibili, in opere e sacrifici, anche i più piccoli; tali atti di sacrificio andavano compiuti con intenzioni speciali, soprattutto per le conversioni dei peccatori.
Nell’autunno di quello stesso anno, i bambini portarono il loro gregge nello stesso luogo dove era avvenuta la prima apparizione. Li, nel luogo benedetto chiamato Cabeço, cominciarono a recitare la preghiera che l’Angelo gli aveva insegnato, quando sopra di loro apparve una luce sconosciuta. Lucia afferma: “Ci alzammo per vedere cosa succedeva e vedemmo l'Angelo con un calice nella mano sinistra e sospesa su di esso un'Ostia, dalla quale cadevano nel calice alcune gocce di sangue.”
Lasciando il calice e l'Ostia sospesi in aria, si prostrò a terra vicino a noi e ripeté tre volte la preghiera:
Trinità Santissima, Padre, Figliolo e Spirito Santo Vi adoro profondamente e Vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze con cui è offeso. E per i meriti infiniti del Suo Santissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, Vi chiedo la conversione dei poveri peccatori.
Poi, sollevandosi, prese di nuovo in mano il calice e l'Ostia, e diede l'Ostia a me e ciò che conteneva il calice lo diede da bere a Giacinta e a Francesco, dicendo nello stesso tempo:
“Prendete e bevete il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro delitti e consolate il vostro Dio”. Di nuovo si prostrò a terra e ripeté con noi altre tre volte la stessa preghiera: "Trinità santissima ecc." e scomparve.
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310 - Lo hai sempre accanto

Com'è stupenda l'efficacia della Sacra Eucaristia, nell'azione — e ancor prima nello spirito — delle persone che la ricevono con frequenza e devozione. (Forgia, 303)
Se quegli uomini, per un pezzo di pane — per quanto il miracolo della moltiplicazione sia molto grande — si entusiasmano e ti acclamano, che cosa dovremo fare noi per i molti doni che ci hai concesso e specialmente perché ti dai a noi senza riserve nell'Eucaristia? (Forgia, 304)

Bambino buono: gli innamorati, su questa terra, come baciano i fiori, la lettera, il ricordo di chi amano!...
— E tu, potrai forse dimenticarti che lo hai sempre accanto... Lui!? — Ti dimenticherai... che lo puoi mangiare? (Forgia, 305)

Affàcciati molte volte in oratorio, per dire a Gesù:... mi abbandono nelle tue braccia.
— Lascia ai suoi piedi ciò che hai: le tue miserie!
— In questo modo, nonostante il turbinìo di cose che ti porti dietro, non mi perderai mai la pace. (Forgia, 306)
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309 - Non preoccupatevi del domani

Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete,né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, néraccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E peril vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Dio vuole per sé tutto l’uomo e non tollera compromessi: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37). Dietro tutte le forme di idolatria si nasconde il maligno. Egli si nasconde dietro il mammona, che è l’insieme delle cose che possediamo. Chi adora il mammona, adora satana. Il detto intende provocare nell’ascoltatore una decisione chiara: o Dio o il possesso. Quando si cerca di accumulare ricchezza, questa diventa un idolo e Dio viene dimenticato.
Questo detto trova una clamorosa dimostrazione nel racconto di Mt 19,16-30. Il ricco che non accoglie la chiamata di Gesù indica l’impossibilità di vivere secondo il vangelo e di restare contemporaneamente attaccati alle proprie ricchezze. La conquista del mondo è il comando dato da Dio agli uomini (Gen 1,28). L’uso delle cose è legittimo, ma esse devono restare al nostro servizio e non noi al loro. Quando il possesso delle cose impedisce o
ritarda il cammino verso Dio e il prossimo, allora abbiamo la riprova che il mammona è più importante di Dio e dei fratelli. Il peccato è amare le creature al posto del Creatore. Tutto deve essere sacrificato per il raggiungimento del fine ultimo che è Dio (Mt 5,29-30).
Chi vive totalmente orientato a Dio, come ci ha insegnato il vangelo fino a questo punto, deve evitare l’affanno per le necessità materiali. Dio che ci ha già dato il più (la vita) ci darà anche il meno (il cibo e il vestito). Affannarsi è mancanza di fede nell’amore infinito e provvidente del Padre. In queste preoccupazioni inutili possono cadere ugualmente, anche se per motivi opposti, il povero e il ricco.
Il senso della vita non può ridursi alla sola ricerca dei beni materiali e all’appagamento dei bisogni fisici. Gesù ci ha già insegnato in Mt 4,4: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
I motivi per cui dobbiamo liberarci dai desideri di possedere e dalle preoccupazioni materiali sono due: la conoscenza del vero Dio, nostro Padre, provvidente e buono, e il compito prioritario che Dio ci ha affidato di cercare il suo regno e la sua giustizia.
I pagani sono tutti coloro che non conoscono Dio come loro Padre provvidente e salvatore e di conseguenza si agitano come se fossero degli orfani che devono confidare esclusivamente nelle proprie forze.
Gesù non vuole assolutamente distogliere l’uomo dal lavoro. Sta scritto infatti: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). Egli vuole insegnarci a vivere bene, come persone intelligenti e illuminate dalla fede.
Infatti affannarsi è inutile e dannoso. L’affanno guasta l’uomo e gli accorcia la vita: «Quale profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica e in tutto l’affanno del suo cuore in cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questa è vanità» (Qo 2,22-23).
Dopo averci ripetutamente comandato di non affannarci per l’oggi, Gesù ci comanda di non affannarci neppure per il domani perché è un atteggiamento sciocco: «E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?» (Mt 6,27).
Il Padre nostro celeste, che ha cura del nostro presente, avrà cura anche del nostro domani.

Padre Lino Pedron
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venerdì 17 giugno 2011

308 - Costanza, che nulla faccia vacillare

Lo scoraggiamento è nemico della tua perseveranza. —Se non lotti contro lo scoraggiamento, giungerai dapprima al pessimismo, e poi alla tiepidezza. —Sii ottimista. (Cammino, 988)
Costanza, che nulla faccia vacillare. —Ne hai bisogno. Chiedila al Signore e fa' quanto puoi per ottenerla: perché è un gran mezzo per non separarti dal fecondo cammino che hai intrapreso. (Cammino, 990)

Non puoi “salire”. —Non è strano: quella caduta!...
Persevera e “salirai”. —Ricorda ciò che dice un autore spirituale: la tua povera anima è un uccello con le ali imbrattate di fango. C'è bisogno di molto sole del cielo e di sforzi personali, piccoli e costanti, per strappare quelle inclinazioni, quelle immaginazioni, quell'abbattimento: quel fango appiccicoso delle tue ali.
E ti troverai libero. —Se perseveri, “salirai”. (Cammino, 991)

Ringrazia Dio che ti ha aiutato e rallegrati della tua vittoria. —Che gioia profonda sente la tua anima, dopo aver corrisposto! (Cammino, 992)
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307 - Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore

Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggineconsumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. La lampada del corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la
luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

In questo brano Gesù ci dà due comandamenti: «Non accumulatevi tesori sulla terra... Accumulatevi invece tesori nel cielo». L’accumulare tesori, il diventare ricco è l’aspirazione di ogni uomo. Nella ricchezza egli cerca di manifestare la sua potenza, la sua superiorità, la sua vanagloria, la sua superbia, ma soprattutto in essa cerca la sicurezza contro tutti i pericoli, compresa la morte, e la possibilità di avere tutte le soddisfazioni che il benessere economico può dare. La ricerca egoistica dei beni materiali sottrae tempo ed energie all’acquisizione dei beni del cielo e rende l’uomo schiavo delle cose che possiede e desidera. Inoltre, tignola, tarli e ladri minacciano in ogni momento la proprietà terrena.
Ognuno deve avere qualcosa o qualcuno a cui dedicare le sue attenzioni e le sue forze. Il problema è la scelta di questo tesoro a cui attaccare il cuore. L’uomo diventa ciò che ama. Se ama le cose diventa come le cose, se ama Dio diventa come Dio.
L’uso delle cose è buono fino a quando non diventa ostacolo per seguire Cristo e amare i fratelli. Il cristiano non può essere schiavo di nulla e di nessuno perché «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi» (Gal 5,1).
Praticare la misericordia è un tema dominante del Vangelo secondo Matteo: «Vendi quello che possiedi e dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli» (19,21). Il cristiano dona l’avere per ottenere l’essere: essere come il Padre.
Il detto evangelico della lucerna del corpo ci presenta la necessità della chiarezza nell’orientamento della vita. La vera luce è Gesù (Mt 4,16; Gv 1,9; 8,12; ecc.). L’occhio buono è quello che accoglie la luce della rivelazione di Gesù; l’occhio cattivo, quello che la rifiuta. L’occhio che lascia entrare questa luce immerge tutta la persona nella luce, l’occhio che non lascia entrare questa luce immerge tutta la persona nelle tenebre.
L’occhio viene presentato come il simbolo del cuore, della mente. Il cuore dell’uomo dev’essere orientato a Dio e vivere nella ricerca dei tesori del cielo, allora tutto l’uomo è nella luce. Se invece si perde nella ricerca dei beni materiali diventa cieco e tutta la sua persona è immersa nelle tenebre.
Nella Bibbia l’occhio esprime l’orientamento spirituale della persona. L’occhio buono esprime la giusta relazione con Dio, dal quale l’uomo viene totalmente illuminato (Sal 4,7; 36,10). L’occhio cattivo esprime l’opposizione dello spirito dell’uomo nei confronti di Dio.
Nel vangelo di Matteo l’occhio cattivo è simbolo dell’invidia, dell’avarizia, dell’egoismo (20,15). L’occhio che non accoglie la luce della rivelazione di Gesù diventa ottenebrato. La tenebra totale e definitiva è la perdizione eterna.

Padre Lino Pedron
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giovedì 16 giugno 2011

306 - Novena alla santissima Trinità

Il “mistero” della Santissima Trinità (un unico Dio in tre persone) non è ancora stato spiegato da nessuno. Il mistero della Trinità, è il cuore della Rivelazione cristiana, il cui punto di avvio è l’evento storico-salvifico di Gesù Cristo, la sua incarnazione, la morte in croce e la risurrezione. La struttura fondamentale della Rivelazione è trinitaria: sia nel rivelarsi e comunicarsi di Dio agli uomini (l’evento), sia nella modalità del suo coinvolgere la libertà degli uomini (l’esistenza cristiana). Nell’evento della Pasqua, nella morte e risurrezione del Figlio, si rivela il mistero di Dio così come è in se stesso, e non solo una nuova informazione su Dio; contemporaneamente, si afferma che la libertà degli uomini è accolta e trasformata mediante il dono dello Spirito, che li fa partecipare alla vita divina offerta nel gesto pasquale di Gesù. Pertanto il luogo per accedere al volto trinitario di Dio è l’evento della Pasqua di Cristo, come comunicazione di Dio e pienezza della storia e dell’uomo.

- Eterno Padre, ti ringrazio di avermi crea­to con il tuo amore e ti prego di salvar­mi con la tua misericordia infinita per i meriti di Gesù Cristo.
Gloria al Padre
- Eterno Figlio, ti ringrazio di avermi reden­to con il tuo Sangue Preziosissimo e ti prego di santificarmi con i tuoi meriti infiniti.
Gloria al Padre
- Eterno Spirito Santo, ti ringrazio di aver­mi adottato con la tua grazia divina e ti prego di perfezionarmi con la tua carità infinita.
Gloria al Padre

«Mio Dio io credo, adoro, spero e ti amo, ti chiedo perdono per coloro che non credono, non ado­rano, non sperano e non ti amano". (L'Angelo della Pace ai tre bambini di Fatima, primavera 1916)
«Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, io ti adoro profondamente e ti offro il Pre­ziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione degli oltraggi, dei sacrile­gi, delle indifferenze con le quali Egli è offeso e per i meriti infiniti del Cuore Sacratissimo di Gesù e per l'intercessione del Cuore Immacolato di Maria ti chiedo la conversione dei poveri pec­catori» (L'Angelo della Pace ai tre bambini di Fatima )
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305 - Voi dunque pregate così

Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così:Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Gesù ci insegna la preghiera cristiana, che si contrappone alla preghiera dei farisei e dei pagani: il Padre nostro. È un testo di grande importanza che ci aiuta a comprendere chi è il cristiano. Il Padre nostro è una parola di Dio rivolta a noi, più che una nostra preghiera rivolta a lui. È il riassunto di tutto il vangelo. Non è Dio che deve convertirsi, sollecitato dalle nostre preghiere: siamo noi che dobbiamo convertirci a lui.
Il contenuto di questa preghiera è unico: il regno di Dio. Ciò è in perfetta consonanza con l’insegnamento di Gesù: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33).
Padre nostro. Il discepolo ha diritto di pregare come figlio. E sta in questo nuovo rapporto l’originalità cristiana (cfr. Gal 4,6; Rm 8,15). La familiarità nel rapporto con Dio, che nasce dalla consapevolezza di essere figli amati dal Padre, è espressa nel Nuovo Testamento con il termine parresía che può essere tradotto familiarità disinvolta e confidente (cfr. Ef 3,11-12). L’aggettivo nostro esprime l’aspetto comunitario della preghiera. Quando uno prega il Padre, tutti pregano in lui e con lui.
L’espressioneche sei nei cieli richiama la trascendenza e la signoria di Dio: egli è vicino e lontano, come noi e diverso da noi, Padre e Signore. Il sapere che Dio è Padre porta alla fiducia, all’ottimismo, al senso della provvidenza (cfr. Mt 6,26-33).
Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. Il verbo della prima invocazione è al passivo: ciò significa che il protagonista è Dio, non l’uomo. La santificazione del nome è opera di Dio. La preghiera è semplicemente un atteggiamento che fa spazio all’azione di Dio, una disponibilità. L’espressione santificare il nome dev’essere intesa alla luce dell’Antico Testamento, in particolare di Ez 36,22-29. Essa indica un permettere a Dio di svelare il suo volto nella storia della salvezza e nella comunità credente. Il discepolo prega perché la comunità diventi un involucro trasparente che lasci intravedere la presenza del Padre.
La venuta del Regno comprende la vittoria definitiva sul male, sulla divisione, sul disordine e sulla morte. Il discepolo chiede e attende tutto questo. Ma la sua preghiera implica contemporaneamente un’assunzione di responsabilità: egli attende il Regno come un dono e insieme chiede il coraggio per costruirlo. La volontà di Dio è il disegno di salvezza che deve realizzarsi nella storia.
Come in cielo, così in terra. Bisogna anticipare qui in terra la vita del mondo che verrà. La città terrestre deve costruirsi a imitazione della città di Dio.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Il nostro pane è frutto della terra e del lavoro dell’uomo, ma è anche, e soprattutto, dono del Padre. Nell’espressione c’è il senso della comunitarietà (il nostro pane) e un senso di sobrietà (il pane per oggi). Il Regno è al primo posto: il resto in funzione del Regno.
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Anche queste tre ultime domande riguardano il regno di Dio, ma dentro di noi. Il Regno è innanzitutto l’avvento della misericordia.
Questa preghiera si apre con il Padre e termina con il maligno. L’uomo è nel mezzo, conteso e sollecitato da entrambi. Nessun pessimismo, però. Il discepolo sa che niente e nessuno lo può separare dall’amore di Dio e strappare dalle mani del Padre.
Matteo commenta il Padre nostro su un solo punto, rimetti a noi i nostri debiti…. Ecco il commento: «Se voi,infatti, perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi...». Nel capitolo precedente Matteo aveva messo in luce l’amore per tutti. Ora mette in luce la sua concreta anifestazione: il perdono.

Padre Lino Pedron
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