sabato 30 marzo 2013

Oggi la luce ha vinto le tenebre!

Oggi anche noi dobbiamo risorgere con lui, lasciando nella tomba l'uomo vecchio, con tutte le sue cattive inclinazioni e facendo rivivere l'uomo nuovo.
Buona Pasqua a tutti voi che mi siete tanto cari, il più grande augurio che posso fare ad ognuno di voi è che il Risorto faccia crescere nella fede e nell'amore coloro che più amate, in particolare i giovani e i bambini. 
Abbiamo tanto bisogno di pace: pace nelle nazioni, pace nelle famiglie ed in particolare pace nei nostri cuori. 
Maria M.
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Madre Teresa di Calcutta/2

“Non dimentichiamo che l’amore, per poter sopravvivere, deve nutrirsi di sacrifici. 
Le parole cli Gesù: "Amatevi l’un l’altro come io vi ho amati”, non solo devono costituire una luce, ma anche una fiamma che ci consumi interiormente”.

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Madre Teresa di Calcutta/1

“Non dobbiamo giudicare o pronunciare parole che feriscano la gente. 
Forse è una persona che non ha mai sentito parlare di cristianesimo. 
Ma non sappiamo per quali vie Dio stia portando quell'anima, e con quali mezzi la stia traendo a sé.
E allora, chi siamo noi per condannare qualcuno?”.

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Amiamoci gli uni con gli altri

Amiamoci gli uni con gli altri.
Secondo la parabola del Maestro che ci riunisce in armonia senza discussioni litigiose senza ignoranza distruttiva senza perdita di tempo in commenti vaghi e inopportuni.
Aiutandoci reciprocamente con il lavoro, la tolleranza salvatrice la fede viva e incorruttibile. 
Ricordiamo le parole del codice divino per vivergli nell’acustica dell’anima seguendo il Signore nel suo esempio di sacrificio, solidarietà ed amore.
Io sono la via la verità  e la vita nessuno viene al Padre se non per mezzo Mio.
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venerdì 29 marzo 2013

Non turbarti nel riconoscerti come sei

Non ho bisogno di miracoli: per me sono più che sufficienti quelli della Scrittura. —Invece, ho bisogno del tuo compimento del dovere, della tua corrispondenza alla grazia. (Cammino, 362) 

Ripetiamo con le parole e con le opere: Signore, confido in te; mi basta la tua provvidenza ordinaria, il tuo aiuto d'ogni giorno. Non dobbiamo chiedere al Signore grandi miracoli. Dobbiamo piuttosto supplicarlo di aumentare la nostra fede, di illuminare la nostra intelligenza, di fortificare la nostra volontà. Gesù resta sempre vicino a noi e si comporta sempre per quello che è. 
Fin dall'inizio della mia predicazione vi ho messo in guardia contro una falsa deificazione. Non turbarti quindi nel riconoscerti come sei: una creatura di fango. Non preoccuparti. Perché tu e io siamo figli di Dio — ecco la vera deificazione — scelti per chiamata divina fin dall'eternità: Ci ha scelti, il Padre, in Gesù Cristo, prima della fondazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto. Noi, che apparteniamo a Dio in modo peculiare e che, nonostante la nostra miseria, siamo strumenti suoi, saremo efficaci nella misura in cui non perderemo la cognizione della nostra debolezza. Le tentazioni ci segnalano le dimensioni della nostra miseria. 
Se provate tristezza costatando con evidenza la meschinità della vostra condizione, vuoi dire che è giunto il momento dell'abbandono completo e docile nelle mani di Dio. Narrano di un mendicante che un giorno si fece incontro ad Alessandro Magno chiedendo l'elemosina. Alessandro si fermò e diede ordine che lo facessero signore di cinque città. Il poveretto, sconcertato, esclamò: «Io non chiedevo tanto!». E Alessandro, di rimando: «Tu hai chiesto da quel che sei; io ti ho dato da quel che sono». (E' Gesù che passa, 160)
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Preghiera del mattino del 29/III/2013

O Gesù, nell'ultima Cena, che ieri sera abbiamo commemorato, hai pregato perché la tua Chiesa fosse una. 
Donaci di poter dire con cuore ardente: "Sia fatta la tua volontà". 
Fa' che possiamo davvero essere un solo Pane, un solo Corpo, grazie alla forza di questo santo Sacramento dell'unità. 
Attiraci a te, principe della pace e dell'unità. 
Fa' che nell'ultimo giorno di questo mondo, quando non vi saranno più sacramenti, ci presentiamo a te come una cosa sola con tutta la tua Chiesa celeste, una cosa sola con tutti i tuoi santi in un amore senza fine, una cosa sola con la Trinità, nell'unità perfetta. 
Amen.
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giovedì 28 marzo 2013

Epistolario di san Pio/19

81) Ti lascio nel tuo amato e amabile dolore, che è tanto piu' caro quanto e' amaro. 

82) Se ami le ricchezze, qui vi troverai l'oro che i Re magi vi lasciarono, se ami il fumo degli onori, vi troverai quello dell'incenso; e se ami le delicatezze dei sensi, sentirai la mirra odorosa, la quale profuma tutta la grotta. 

83) Gesù non lascerà senza larga ricompensa la squisita e si fiorita carità.
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Li amò sino alla fine

Gv 13,1-15 
Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 

Giovanni apre il racconto della passione e morte di Gesù presentando il gesto profetico della lavanda dei piedi con il quale è simboleggiata la donazione d'amore del Figlio di Dio con il servizio della sua vita, mediante l'umiliazione suprema della croce. 
La lavanda dei piedi raffigura la passione e la morte di Gesù, l'estremo atto d'amore di Gesù per i suoi. 
Questo servizio del lavare i piedi, che poteva essere preteso solo dagli schiavi non ebrei, preannuncia l'annientamento della croce, supplizio riservato agli schiavi. Questa fase finale della manifestazione del Cristo inizia poco prima della festa di Pasqua. 
L'ora di Gesù è il passaggio dalla terra al cielo, il ritorno al Padre dal quale era uscito (v. 3). Con la sua morte Gesù va al Padre (cfr Gv 17,13). Il Cristo è stato inviato nel mondo dall'amore del Padre per salvare l'umanità peccatrice (cfr Gv 3,16-17; 12,47) e per illuminare le tenebre del male (cfr Gv 3,19; 12,46): ora, adempiuta la sua missione, egli lascia il mondo e va dal Padre (cfr Gv 16,28). 
Questo passaggio di Gesù, attraverso la passione e la morte, rappresenta la suprema prova del suo amore per i suoi discepoli (v. 1): l'espressione più alta dell'amore è costituita dal sacrificio della vita per i propri amici (cfr Gv 15,13). Gesù, buon pastore, ha dato la vita per le sue pecore (cfr Gv 10,11.15). Questo significa «amare sino alla fine» (v. 1). 
Sulla croce è stato consumato il sacrificio dell'amore del Figlio di Dio; per questo Gesù, prima di chinare il capo e di consegnare lo Spirito, esclamò: «E' compiuto!» (Gv 19,30). 
Questo verbo (in greco: tetélestai) richiama l'espressione «sino alla fine» (in greco: eis télos) di Gv 13,1 e forma una grande inclusione dei capitoli 13-19 del vangelo di Giovanni. Gli eventi finali della rivelazione suprema dell'amore di Gesù per la sua comunità devono essere visti in questa luce della perfezione dell'amore del Figlio di Dio per i suoi. 
La lavanda dei piedi preannuncia simbolicamente questo servizio supremo di amore del Cristo per la sua Chiesa. Questo gesto profetico avviene durante l'ultima cena. Paolo e gli altri vangeli ci raccontano che in questa occasione Gesù ha istituito l'eucaristia (cfr 1Cor 11,23ss; Mc 14,22ss e par.). Giovanni, nel contesto dell'ultima cena, non fa neppure un cenno a tale avvenimento. Il tema dell'eucaristia l'aveva già trattato ampiamente nel capitolo 6. La lavanda dei piedi simboleggia l'ora del Cristo, cioè il dono supremo della sua vita a favore dei suoi amici con la morte umiliante sulla croce. Il «deporre le vesti» (v. 4) richiama il «deporre l'anima» (cfr Gv 10,11.15.17): il buon Pastore dona la vita a favore delle sue pecore. Simone Pietro rifiuta di ricevere da Gesù il servizio della lavanda dei piedi. Tra gli ebrei questo servizio era riservato agli schiavi pagani; il padrone non poteva esigerlo da una schiavo circonciso. In tale contesto sociale si capisce pienamente l'obiezione di Pietro: è inaudito che il Signore compia un servizio così umiliante. 
La risposta misteriosa di Gesù: «Quello che io faccio... lo capirai in seguito» (v. 7) non è di facile comprensione. Difatti Pietro non si accontenta della risposta di Gesù e si ostina nel suo rifiuto. Gesù gli risponde che tale rifiuto lo esclude dalla partecipazione alla sua vita. L'espressione «avere parte» indica l'eredità della terra promessa (cfr Dt 12,12; 14, 27.29) e la vita di comunione con il Signore (cfr Dt 10,9). 
In questo contesto esprime la vita di amicizia profonda del discepolo con il Figlio di Dio. Gesù fa presente a Pietro che, rifiutando il suo umile servizio, si separa dal suo Signore, perché non accetta il suo sacrificio redentore, simboleggiato dalla lavanda dei piedi. Davanti a questa prospettiva Pietro si ricrede prontamente e si dichiara disposto a farsi lavare anche le altre parti del corpo. Gesù gli risponde che non è necessario il bagno per chi è puro. La risposta di Gesù indica la mondezza del cuore dall'incredulità e dal peccato. In Gv 15,3 la purificazione dei discepoli è presentata in rapporto con la parola rivelata dal Cristo e accolta da essi, quindi fa capire che tale mondezza spirituale è frutto della fede. Questa spiegazione è suggerita dal riferimento al tradimento di Giuda: non tutti gli apostoli sono puri, perché tra loro c'è un incredulo, il traditore (vv.10-11). 
Gesù, al termine della lavanda dei piedi, può esortare, con la forza dell'esempio, i discepoli al servizio vicendevole nella comunità cristiana. Egli fa leva sulla sua condizione divina di Signore e Maestro per invitare i discepoli a imitare il suo esempio di umile servitore dei fratelli (v. 14). Se il Figlio di Dio si è abbassato tanto per amore dei discepoli, a maggior ragione questi devono servirsi reciprocamente. 
Gesù ha dato l'esempio che i suoi discepoli devono imitare: essi devono amarsi come Gesù li ha amati (Gv 13,34; 15,12) e devono prestarsi i più umili servizi a imitazione di Cristo che è venuto per servire (cfr Mc 10,41-45; Lc 22,24-27). 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 28/III/2013

Ti ringraziamo, Signore, per l'esempio di umiltà e d'amore che ci hai dato lavandoci i piedi. 
Concedici la forza di imitarti nel servire il prossimo, in particolare chi ne ha davvero bisogno, poiché tutti sono nostri fratelli. 
Concedici, Signore, la possibilità di meditare oggi sul mistero del tuo amore che ci mostri nella santa Eucaristia e nel dono sacro del sacerdozio. 
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mercoledì 27 marzo 2013

Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!

Mt 26,14-25 
Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: «Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli»». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito! Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto». 

Giuda, non avendo potuto intascare i soldi del prezzo dell'unguento (Mt 26,8-9), ha rimediato alla meglio vendendo Gesù al prezzo di uno schiavo (cfr Es 21,32): trenta denari. Pessimo commerciante! 
"L'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1Tim 6,10). L'indeterminatezza dell'indicazione: "Andate in città, da un tale..." (v. 18) è voluta certamente da Gesù per non fornire indicazioni al traditore prima del tempo stabilito. 
E' anzitutto nella comunità dei discepoli che si gioca la passione di Gesù: è là che viene "consegnato" e che egli "consegna" se stesso, donando il suo corpo e il suo sangue. 
All'annuncio del tradimento da parte di uno di loro, i discepoli si addolorano profondamente. Ognuno è toccato da questo annuncio perché ognuno si sente capace di tradire, come lo evidenzia la loro domanda: "Sono forse io, Signore?" (v. 22) ripresa come eco da Giuda con una variante significativa: "Rabbì, sono forse io? (v. 25). 
Per gli undici discepoli Gesù è il Signore, per Giuda è un semplice maestro di dottrina. A Giuda Gesù risponde come risponderà al sommo sacerdote (v. 64) e al governatore Pilato (27,11): "Tu l'hai detto" (v. 25). 
E' l'uomo infatti che giudica se stesso attraverso il suo rapporto con il Cristo: "Poiché in base alle tue parole sarai giudicato e in base alle tue parole sarai condannato" (Mt 12,37). 
La lamentazione di Gesù su Giuda (v. 24) non è una profezia sulla dannazione finale del traditore, ma un invito a ciascuno a esaminare la propria coscienza. "Noi tutti, così come siamo, potremmo inserire nel vangelo il nostro nome al posto di quello di Giuda" (J. Green). 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 27/III/2013

Signore! Come tutte le mattine, in questo giorno tu mi rivolgi la parola, per istruirmi. 
Alcuni "maestri" mi offrono le "favole" del mondo, di fronte alla tua verità... 
Per loro, tu avresti dovuto scendere dalla tua croce, invece di restarci. 
Ma tu hai preferito mostrarmi la via. 
Così tu mi istruisci, di modo tale che io possa dare a colui che ne ha bisogno una parola di incoraggiamento. 
Tu sei passato attraverso la prova del dolore...: nel crogiolo l'amore, come l'oro, viene purificato. 
Se ti cerco, non rimarrò sconcertato; e il mio cuore troverà la vita in te.
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martedì 26 marzo 2013

Una Madre che non ci abbandonerà mai

Non sei solo. — Né tu né io possiamo trovarci soli. E meno che mai se andiamo da Gesù attraverso Maria, poiché è una Madre che non ci abbandonerà mai. (Forgia, 249) 

È il momento di ricorrere alla Madonna, tua Madre celeste, perché ti accolga fra le sue braccia e ti ottenga da suo Figlio uno sguardo di misericordia. E cerca subito di formulare propositi concreti: taglia finalmente, anche se fa male, quell'ostacolo piccolo che Dio e tu ben conoscete. La superbia, la sensualità, la mancanza di senso soprannaturale, faranno combutta per sussurrarti: «Proprio quello? Ma se è una sciocchezza, una cosa di poco conto!». Tu rispondi, senza dialogare con la tentazione: «Mi piegherò obbedendo anche a questa richiesta divina». Non te ne mancheranno i motivi: l'amore si dimostra in modo particolare nelle piccole cose. Normalmente, i sacrifici che il Signore ci chiede, i più impegnativi, sono piccoli, ma continui e preziosi come il battito del cuore. 
Quante madri hai tu conosciuto che siano state protagoniste di un episodio eroico, straordinario? Poche, pochissime. Eppure, di madri eroiche, veramente eroiche, che non figurano in nessuna cronaca spettacolare, che non faranno mai notizia — come si dice —, tu e io ne conosciamo molte: vivono in continua abnegazione, sacrificando con gioia i loro gusti e le loro inclinazioni, il loro tempo, le loro possibilità di affermazione o di successo, per tappezzare di felicità i giorni dei loro figli. (Amici di Dio, 134)
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Uno di voi mi tradirà…

Gv 13,21-33.36-38 
Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l'un l'altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte. 

Gesù aveva già parlato in modo enigmatico dell'amico intimo che lo avrebbe tradito (cfr Gv 13,18), ma ora che denuncia chiaramente il traditore è preso da un turbamento profondo. 
Questa denuncia così chiara del traditore provoca grande costernazione nel gruppo dei discepoli: essi ignorano di chi stia parlando Gesù. Il discepolo, "quello che Gesù amava" (v. 23) si trovava a mensa a fianco del Signore. Secondo l'usanza greco-romana, diffusa anche in Palestina, i commensali stavano adagiati sui divani, poggiandosi sopra il gomito sinistro, mentre con il braccio destro prendevano i cibi e le bevande. In questo brano appare per la prima volta sulla scena questo discepolo innominato, del quale si parlerà anche nel seguito del vangelo: nel brano della morte di Gesù (19, 26 ss), nella scoperta della tomba vuota (20,2 ss) e nel brano della pesca miracolosa (21,7). 
Gesù accoglie la richiesta del discepolo e indica il traditore. Satana entrò nel cuore di Giuda dopo che questi ha mangiato il boccone offerto da Gesù. Il nemico di Dio si impossesa del traditore, immergendolo nelle tenebre dell'incredulità e dell'odio, fino alla consumazione del delitto più grande: l'uccisione del Figlio di Dio (19,11). 
Con l'ingresso di satana nel cuore di Giuda, gli eventi precipitano; per questo Gesù esorta il traditore ad affrettarsi nell'attuare il suo disegno criminoso. Il traditore esce dalla luce, abbandona il Cristo luce del mondo (8,12) e si immerge nelle tenebre della notte (v. 30). Nel cuore di Giuda si è spenta la luce della fede; in lui regnano le tenebre dell'incredulità e dell'odio. E' notte! Appena il traditore è uscito, Gesù apre il cuore ai suoi amici che lo circondano. 
Egli è consapevole di essere giunto alla vigilia della sua morte e per questo si premura di spiegare loro il vero significato della sua partenza da questo mondo. 
La sua morte in croce non è la sua sconfitta, ma il suo trionfo, la sua glorificazione e il suo ritorno al Padre. Con la sua passione e morte Gesù esegue con obbedienza eroica il piano di salvezza voluto dal Padre e dimostra fino a che punto ama Dio e gli uomini. 
Attraverso la glorificazione di Gesù si compie anche la glorificazione del Padre. Dio è glorificato per mezzo di Gesù e in Gesù. Il Padre è glorificato dal Figlio con l'esaltazione di Gesù sul trono regale della croce. Da questo trono Gesù manifesta in pienezza la sua divinità (8, 28) e attira tutti a sé (12,32). L'appellativo "figlioli" (v. 33), usato da Gesù, esprime tutto l'amore e la confidenza per i suoi discepoli. 
Gesù avverte i suoi amici che sta per lasciarli. In questo momento essi non possono seguirlo; lo raggiungeranno più tardi. Il ritorno di Gesù al Padre non è un viaggio di piacere, ma di dolore: egli allude alla sua passione e morte. Pietro al momento presente non è in grado di imitare Gesù, nonostante la sua protesta di fedeltà fino al sacrificio della vita; egli lo seguirà con la prigionia e la morte, ma in seguito. 
Data l'insistenza di Pietro nell'affermare la sua fedeltà a Gesù fino al sacrificio della vita. Il Signore gli predice l'imminente rinnegamento. Il riferimento al canto del gallo vuole indicare con chiarezza che Pietro rinnegherà tre volte Gesù proprio in quella stessa notte. 
Padre Lino Pedron 
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Preghiera del mattino del 26/III/2013

Padre, tu hai offerto il tuo Figlio unigenito come vittima del tradimento per operare la nostra redenzione. 
Concedici di identificarci con tutte le vittime, di sperare il perdono di tutti i traditori e di lodarti per la meravigliosa provvidenza per mezzo della quale tutte le cose, per chi ti ama, procedono verso il bene. 
Signore, nella tua passione, tu, che sei l'amore, sei stato tradito dal segno stesso dell'amicizia. 
Liberaci dal vizio; purificaci da una virtù finta, perché, come il ladrone pentito, ci confessiamo a te. 
Ricordati di noi quando verrai nella tua potenza regale.
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lunedì 25 marzo 2013

Messaggio Medjugorje 25/3/2013

Cari figli! 
In questo tempo di grazia vi invito a prendere fra le mani la croce del mio amato Figlio Gesù e a contemplare la Sua passione e morte. 
Le vostre sofferenze siano unite alla Sua sofferenza e l’amore vincerà, perché, Lui che è l’Amore, ha dato se stesso per amore per salvare ciascuno di noi. 
Pregate, pregate, pregate affinché l’amore e la pace comincino a regnare nei vostri cuori. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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Angelo Custode/22

Nella battaglia che tu ingaggi ogni giorno della tua vita, l’avversario è sempre il male, mai un’altra persona. 
Gesù ti chiede continuamente di amarlo, comunque sia. Non servirti mai delle armi di questo mondo nella tua lotta continua: l’invidia, il risentimento, la gelosia, la collera. 
Impugnandole, tu scarti quelle della luce, che sono l’amore e la preghiera, la dolcezza e l’umiltà. Solo queste armi ti daranno la forza per vincere in modo duraturo. 
La tua forza non viene da te, ti è donata dal Signore, gratuitamente. Chiedila ogni mattina per tutta la giornata. “Ad ogni giorno basta la sua pena” (Mt 6,34), ti dice lo stesso Gesù.
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Angelo Custode/21

Seguire Gesù è il cammino verso la felicità. 
Non è un itinerario dove abbondano i piaceri; la gioia, sì, ma non i divertimenti. 
Ricordati delle parole di Gesù: “Se qualcuno mi vuol seguire, che rinunci a se stesso e prenda la sua croce, ogni giorno, per seguirmi” (Lc 9,23). 
Ricordati anche che Egli ha detto: “Venite a me voi tutti che penate e vi curvate sotto il peso dei fardelli” (Mt 11,28), ed ha aggiunto: “Sì, il mio giogo è facile e il mio fardello leggero” (Mt 11,30). 
È il mondo che impone dei gioghi pesanti. 
Passare dal mondo a Gesù vuol dire alleggerire il fardello della propria vita. 
Stringi senza sosta i legami d’amore che ti uniscono a Gesù.
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Epistolario di san Pio/18

75)La carità ha tre parti: l'amore di Dio, l'affetto a se stesso, e la dilezione del prossimo. 

76) Non ti spaventare mai di vederti miserabile e ripiena di cattivi umori, pensa al tuo cuore con gran desiderio di perfezionarlo. 

77) La grazia del divino spirito informi sempre il tuo cuore sino alla completa trasformazione nella celeste carità. 

78) Gesù, sole di giustizia, rifulga sempre nel tuo spirito, si duramente provato dalla paterna bontà. 

79) O Gesù che il mio cuore riposi sul tuo Cuore trafitto nelle prove e nei dolori della vita. 

80)Finché dunque sei esule, non ti lamentare di non poter abbracciare definitivamente il sommo bene.
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Preghiera del mattino del 25/III/2013

Signore, tu sei diventato uomo tra gli uomini. 
Tu hai amato e reclamato l'amore nel nome di Dio, nostro Padre. 
Tu ti sei preso cura di coloro che soffrono, non ti sei sottratto a coloro che sono abbattuti, sei diventato l'amico dei poveri. 
Ti sei caricato del fardello del rifiuto, del tradimento, della sofferenza e della morte. 
Tu vai fino in fondo al cammino, affinché noi non perdiamo coraggio. 
Voglio seguirti, giorno dopo giorno.
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domenica 24 marzo 2013

Amare significa ricominciare ogni giorno a servire, con segni operativi di affetto

Questi giorni mi dicevi sono trascorsi più felici che mai. E ti ho risposto senza esitazione: perché «hai vissuto» un po' più donato del solito. (Solco, 7) 

Ricordate la parabola dei talenti. Il servo che ne aveva ricevuto uno, poteva — come i suoi compagni — impiegarlo bene, farlo fruttare, applicando le sue capacità. Invece che cosa decide? Ha paura di perderlo, e va bene. Ma poi? Lo sotterra! [Cfr Mt 25, 18], Così non dà frutto. 
Deve farci riflettere questo esempio di timore malsano di mettere a frutto onestamente le capacità di lavoro, l'intelligenza, la volontà, tutto l'uomo. «Lo sotterro — pensa tra se quell'infelice — ma la mia libertà è salva!». No. La libertà ha aderito a qualcosa di molto concreto, all'aridità più povera e più sterile. Ha preso una decisione, perché non poteva non scegliere: e ha scelto male. 
Niente di più falso che opporre la libertà al dono di se, perché tale dono è conseguenza della libertà. Ascoltate bene: una madre che si sacrifica per amore dei suoi figli, ha fatto una scelta; e la misura del suo amore esprimerà quella della sua libertà. Se l'amore è grande, la libertà sarà feconda, e il bene dei figli deriva da questa benedetta libertà, che comporta il dono di se, e deriva da questo benedetto dono, che è appunto libertà. 
Ma, mi direte, quando abbiamo raggiunto ciò che amiamo con tutta l'anima, smettiamo di cercare. La libertà, in tal caso, è scomparsa? Vi assicuro che proprio allora la libertà è più operativa che mai, perché l'amore non si accontenta di adempimenti abitudinari, e non è compatibile con il tedio o l'apatia. Amare significa ricominciare ogni giorno a servire, con segni operativi di affetto. 
Insisto, vorrei inciderlo a fuoco in tutti: la libertà e il dono di se non sono contraddittori; si sostengono a vicenda. La libertà si può cedere soltanto per amore; non riesco a concepire altro genere di concessione. Non è un gioco di parole, più o meno felice. Nel dono di se volontario, in ogni istante della dedicazione, la libertà rinnova l'amore, e rinnovarsi significa essere sempre giovane, generoso, capace di grandi ideali e di grandi sacrifici. (Amici di Dio, 30-31)
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Preghiera del mattino del 24/III/2013

"Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme". 
Signore, tu ti metti in cammino per salvarmi. 
Ti metti in cammino tra le grida di gioia: "Osanna! Sia benedetto il Re!". 
E all'orizzonte si profila il Golgota... 
Entro in un nuovo giorno e, con te, entro nella settimana santa. 
Entro nella tua passione e nella tua morte, al mio posto e per me.
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sabato 23 marzo 2013

Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi

Gv 11,45-56 
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 

Questo brano illustra la reazione opposta al segno della risurrezione di Làzzaro: molti spettatori del miracolo credono in Gesù, i capi del popolo decretano la sua morte, ostinandosi nella loro cecità volontaria. Gv 11,45-57 prepara la passione e la crocifissione del Cristo. 
Questo brano ha un profondo significato teologico. Non solo determina che Gesù deve morire, ma stabilisce anche lo scopo e l'effetto di questa morte: egli muore "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (v. 52). Questo è uno dei pochi brani del vangelo di Giovanni che parla del valore salvifico della morte di Gesù. 
Il prodigio della risurrezione di Làzzaro ha favorito la fede di molti giudei venuti da Maria. I segni operati da Gesù devono favorire la fede (cfr Gv 20,30-31). Bisogna credere nel Figlio di Dio almeno per i segni eccezionali da lui operati (cfr Gv 14,11). Tuttavia la fede profonda deve prescindere dal vedere, per cui Gesù proclama beati i discepoli che credono senza aver visto (cfr Gv 20,29). Non tutti i giudei presenti a Betània hanno creduto, anzi alcuni andarono subito ad informare i sommi sacerdoti e i farisei i quali prendono occasione da questa notizia per radunare d'urgenza il consiglio supremo. I sommi sacerdoti e i farisei mostrano la loro preoccupazione per il comportamento di Gesù e implicitamente riconoscono la loro impotenza dinanzi ai segni operati da lui. L'ammissione che Gesù compie molti prodigi non stimola i giudei a credere, ma al contrario li spinge a prendere misure repressive nei suoi confronti. 
La preoccupazione maggiore dei capi religiosi degli ebrei è di carattere politico: essi temono di perdere il potere. Quando Giovanni scriveva il suo vangelo, la deportazione degli ebrei e la distruzione di Gerusalemme operata dai romani era un fatto compiuto. I capi del popolo che temevano dei disastri sociali a motivo della fede in Cristo, non previdero che questi mali sarebbero stati una conseguenza della loro incredulità, un castigo per aver rifiutati il loro Messia (cfr Lc 19,41-44). Caifa nel suo intervento dichiara che è conveniente sacrificare un uomo per evitare la rovina dell'intera nazione. Per l'evangelista queste espressioni di Caifa acquistano un significato molto profondo. Gesù muore a favore dell'intera umanità, per donare la vita al mondo (cfr Gv 6,51), per salvare il gregge di Dio (cfr Gv 10,11.15), per santificare i discepoli nella verità (cfr Gv 17,19). 
I figli di Dio sono i discepoli di Gesù, generati da Dio (cfr Gv 1,12-13). Il loro distintivo è la fede e l'amore. Questo popolo che è stato acquistato dal Signore (cfr 1Pt 1,19) è la Chiesa, la sposa santa e immacolata di Cristo (cfr Ef 5,25-27). La morte di Cristo ha una finalità salvifica perché raduna in unità i dispersi figli di Dio. 
Il peccato è divisione, la salvezza è vita in unità con Dio e con i fratelli. La morte di Gesù realizza l'oracolo di Ezechiele 34,12-13 che prediceva la riunione delle pecore del Signore, radunandole da tutte le regioni nelle quali erano state disperse, per formare un solo gregge condotto da un solo pastore. Dopo la decisione del sinedrio Gesù si ritira ai margini del deserto di Giuda. Questi avvenimenti si verificarono a pochi giorni dalla Pasqua. 
I giudei che abitavano in campagna salivano qualche giorno prima della solennità per purificarsi secondo le prescrizioni della legge, sottoponendosi ai riti di aspersione con il sangue degli agnelli (cfr 2Cr 30,15 ss). Questi pellegrini cercano Gesù. La loro ricerca era sincera. Questi pii campagnoli osanneranno Gesù in occasione del suo ingresso trionfale in Gerusalemme (cfr Gv 12,12). 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 23/III/2013

Signore Gesù, rafforza la nostra fede, nel momento in cui entriamo con te nel mistero pasquale. 
Fa' che non ci scandalizziamo della croce. 
Tutti i nostri sforzi mirino alla stessa direzione, perché i figli di Dio siano riuniti. 
Signore, concedici questa grazia, affinché possiamo invitarti, con cuore accogliente, a vivere con noi la festa della risurrezione.
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venerdì 22 marzo 2013

Per te, studiare è un obbligo grave


Preghi, ti mortifichi, lavori in mille cose d'apostolato..., ma non studi. —E allora non servi, se non cambi. Lo studio, la formazione professionale quale che sia, è obbligo grave fra noi. (Cammino, 334)

Un'ora di studio, per un apostolo moderno, è un'ora d'orazione. (Cammino, 335)

Se devi servire Dio con la tua intelligenza, per te lo studio è un obbligo grave. (Cammino, 336)

Frequenti i Sacramenti, fai orazione, sei casto... e non studi... —Non dirmi che sei buono: sei soltanto bonaccione. (Cammino, 337)

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Preghiera di consolazione al Cuore Immacolato di Maria

Cuore Immacolato di Maria, colmo di bontà,
mostra il tuo amore verso di noi.
La fiamma del tuo Cuore, o Maria,
scenda su tutti gli uomini.
Noi ti amiamo sconfinatamente.
Imprimi nei nostri cuori il vero amore,
così da avere una continua nostalgia di Te!
O Maria, mite ed umile di cuore,
ricordati di noi quando pecchiamo.
Tu sai che tutti gli uomini peccano.
Donaci, per mezzo del tuo Cuore lmmacolato e materno,
la guarigione da ogni malattia spirituale.
Fa' che sempre possiamo guardare
alla bontà del tuo Cuore materno, e che ci convertiamo
per mezzo della fiamma del tuo Cuore. 

Amen.
(Preghiera dettata dalla Madonna alla veggente Jelena Vasilj di Medjugorje il 28 novembre 1983)
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Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.

Gv 10,31-42 
Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio - e la Scrittura non può essere annullata -, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: «Tu bestemmi», perché ho detto: «Sono Figlio di Dio»? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui. 

Il dialogo con i giudei, riportato nei capitoli 7 e 8 aveva avuto come epilogo il tentativo di uccidere Gesù a sassate. Qui tentano ancora una volta di lapidarlo. Le parole di Gesù di essere una cosa sola con Dio si rivelano scandalose agli orecchi degli increduli giudei. Gesù dimostra di essere il Figlio di Dio con una duplice argomentazione, quella della Scrittura e quella delle opere straordinarie compiute nel nome del Padre. 
Gesù reagisce in modo pacato al gesto violento dei suoi avversari: "Vi ho mostrato molte opere buone da parte del Padre; per quale di queste opere mi lapidate?" (v. 32). I giudei replicano che lo vogliono lapidare per la bestemmia pronunciata, perché si proclama Dio. 
Gesù argomenta dal Sal 81, di valore incontestabile per i giudei, che se dei semplici uomini sono chiamati dei e figli dell'Altissimo, quanto più è Figlio di Dio colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo per essere il rivelatore definitivo e il salvatore universale. La seconda argomentazione di Gesù a prova della sua divinità è costituita dalle opere eccezionali compiute nel nome del Padre (cfr Gv 10,37-38). E' il Padre che, nel Figlio, compie le sue opere (cfr Gv 14,10-11). 
I giudei sarebbero senza colpa se Gesù non avesse compiuto opere che nessun altro al mondo ha mai fatto; ma ora non sono scusabili per questo peccato (cfr Gv 15,23-25). Le opere eccezionali compiute da Gesù hanno una finalità ben precisa: favorire la fede nella sua divinità: "Credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io sono nel Padre (Gv 10,38). Gesù si ritira a Betània, non il villaggio di Lazzaro, ma una località situata sulla sinistra del Giordano dove il Battista aveva svolto il suo primo ministero (cfr Gv 1,28). 
Questo ritorno di Gesù nel luogo dove aveva avuto inizio la sua rivelazione pubblica forma un'inclusione solenne tra Gv 1,28ss e 10,40ss. Forse l'evangelista vuole insinuare che la sua manifestazione davanti al mondo iniziata a Betània si conclude, dopo essersi infranta contro il muro dell'incredulità dei giudei. 
Queste persone che vanno da Gesù (v. 41) indicano il movimento della fede. 
I nuovi discepoli constatano che le cose dette da Giovanni Battista sul conto di Gesù erano vere. Queste persone che credono esistenzialmente nel Figlio di Dio si rivelano come pecore di Cristo: ascoltano la sua voce e lo seguono (cfr Gv 10,27). 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 22/III/2013

Noi crediamo in te, Signore Gesù, che sei venuto dal Padre per mostrarci il suo amore. 
Dio ha tanto amato il mondo che ha mandato il suo unico Figlio a salvarlo.
Gesù, noi crediamo che tutto quello che tu hai fatto e detto aveva per scopo la nostra salvezza. 
Padre, sii onorato per l'opera di tuo Figlio che ci fai conoscere per mezzo dello Spirito Santo.
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giovedì 21 marzo 2013

In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte

Dal Vangelo secondo Giovanni 8,51-59. 
Gli dissero i Giudei: «Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: "Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte". Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "E' nostro Dio!", e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò». Gli dissero allora i Giudei: «Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio. 

Gesù riprende la tematica dell'immortalità derivante dall'osservanza della sua parola. In 5, 24 aveva assicurato il passaggio dalla morte alla vita per chi ascolta la sua parola, cioè crede nella sua rivelazione e vive secondo essa. Cristo è la risurrezione e la vita, perciò chi crede in lui, anche se sperimenterà la morte temporale, eviterà la morte eterna, cioè l'inferno (cf. Gv 11,25-26). Gesù fa dipendere la vita eterna e l'immortalità dall'ascolto della sua parola, dall'adesione esistenziale e pratica al suo messaggio. 
In antitesi con il diavolo menzognero che ingannò i nostri progenitori con la sua parola falsa (cf. Gen 2,17; 3,2ss) e portò nel mondo la morte (cf. Sap 2,24), Gesù, con la sua parola divina, è fonte di vita e di immortalità. La reazione dei giudei è scomposta e oltraggiosa. L'affermazione di Gesù è veramente inaudita per un semplice uomo, perché anche i personaggi più grandi della storia della salvezza sono morti. 
Se Gesù non fosse il Figlio di Dio, la sua pretesa di donare l'immortalità sarebbe assurda. La risposta pacata di Gesù fa vedere la sua grandezza eccezionale. Nella frase finale di questo dialogo drammatico (v. 58), Gesù proclama esplicitamente la sua divinità e quindi anche la sua superiorità anche di fronte al più grande patriarca del popolo ebraico, Abramo.
L'affermazione dei giudei che ritengono Dio loro padre è falsa. Essi ignorano del tutto Dio perché non osservano la sua parola. 
La conoscenza di Dio infatti non si riduce alla sfera speculativa, ma si acquista e si dimostra osservando i suoi comandamenti. 
La conoscenza vera di Dio e del suo Figlio si riduce all'amore concreto e operativo. Alla domanda dei giudei: "Sei tu forse più grande del nostro padre Abramo?", Gesù risponde che il padre del popolo ebraico era completamente orientato verso il tempo del Messia e visse in funzione di lui. 
La nascita dl suo figlio Isacco fu motivo di gioia (cf. Gen 18,1-15; 21,1-7) perché in lui si realizzavano le promesse messianiche. All'annuncio di questo lieto evento il patriarca rise (cf. Gen 17,17), ossia si rallegrò e gioì, perché nella nascita di suo figlio previde la discendenza dalla quale sarebbe nato il Cristo. 
Abramo vide il giorno di Gesù, come Isaia vide la sua gloria (cf. Gv 12,41) e Mosè scrisse di lui (cf. Gv 5,46): tutto l'Antico Testamento è in funzione di Gesù. "Gli dissero allora i giudei: 'Non hai ancora quarant'anni e hai visto Abramo?'". Questo intervento finale dei giudei prepara la solenne proclamazione della divinità di Gesù. 
Notiamo che essi deformano e capovolgono l'affermazione di Gesù. Egli ha detto che Abramo vide il suo giorno. Essi rovesciano il soggetto e l'oggetto e fanno dire a Gesù di aver visto Abramo. Per gli increduli giudei è inconcepibile che Gesù sia oggetto della contemplazione di Abramo, tanto sono lontani dal comprendere la vera identità del Figlio di Dio. "In verità in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono". 
La risposta di Gesù è il vertice di tutto il dialogo drammatico del capitolo 8. Essa contiene la proclamazione esplicita della divinità di Gesù. Contrapponendosi al più grande patriarca dell'Antico Testamento, del quale la Scrittura descrive la vita e la morte, Gesù si presenta come l'"Io sono", il Vivente, il vero Dio, Jahvé in persona. 
 La reazione dei giudei conferma il significato divino dell'espressione usata da Gesù. Per loro è un bestemmiatore, perché si è proclamato Dio e quindi merita la lapidazione come prescrive la legge di Mosè (cf. Lv 24,16). 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 21/III/2013

Infondi in noi, Signore, lo Spirito Santo perché sappiamo scoprire le Sacre Scritture e vivere ogni giorno secondo questo spirito. 
Permettici, Signore, di vedere tutta la prospettiva di salvezza che tu ci mostri dai tempi della creazione dell'uomo, perché possiamo giungere alla tua dimora senza l'ombra di un dubbio.
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mercoledì 20 marzo 2013

Angelo Custode/20

Tieni sempre come riserva dell’olio per la tua lampada; potrai così accenderla quando arriverà lo sposo. 
Assomiglia alle giovani vergini sagge della parabola di Gesù (cfr. Mt 25,1-13). 
Tu non conosci né il giorno né l’ora del suo passaggio nel Regno eterno del Padre dei Cieli.
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Angelo Custode/19

Tu ricerchi la perfezione e scopri le tue debolezze. 
Il Signore vede soprattutto la tua fede e la tua fedeltà. 
Non rattristarti per le tue debolezze; offrile al Signore.
Dì con l’apostolo: “È quando sono debole che sono forte” (2 Cor 12,10). La tua forza non risiede in te. 

È il Cristo Gesù che te la dona. 
Anche se sei debole, la tua fede è sufficiente per il Signore. 
Non perdere mai di vista che i valori del Regno di Dio non sono quelli di questo mondo. 
Approfondisci senza sosta la tua fede; essa ti svela i valori del Regno.
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Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero

Gv 8,31-42 
Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: «Diventerete liberi»?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il adre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l'ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 

La fede autentica non si riduce a un'adesione momentanea al Cristo, ma esige perseveranza e fedeltà con Gesù, Parola vivente del Padre. 
Il vero discepolo di Cristo si riconosce da questa permanenza continua e intima in Gesù. 
Solo allora si conosce la verità che libera da ogni schiavitù. Si tratta di una conoscenza esistenziale e vitale, di una comunione intima con il Figlio di Dio. La conoscenza della verità non è dunque qualcosa di speculativo. La verità è Gesù in persona (cfr Gv 14,6). La verità, ossia Cristo stesso, in quanto manifestazione della vita divina, opererà la liberazione dell'uomo, come è chiarito in 8,36. 
Quindi la libertà piena si vive nella fede, credendo esistenzialmente in Gesù. Le parole di Gesù provocano la reazione dei suoi interlocutori, offesi per le affermazioni sulla liberazione operata dalla verità. I giudei si proclamano persone libere e figli di Abramo. Essi protestano di non essere mai stati schiavi di nessuno. 
Per Gesù la libertà e la schiavitù sono di ordine morale, mentre i suoi interlocutori intendono questi termini in chiave politica. Gesù parla della schiavitù e della libertà morale in relazione al peccato. 
Egli insegna che la vera schiavitù è quella di ordine religioso: è schiavo chi fa il peccato. In questi testi di Giovanni il peccato indica l'opzione fondamentale contro la luce, ossia l'incredulità. La frase "lo schiavo non rimane nella casa per sempre" contiene una velata minaccia di espulsione dei giudei dalla casa di Dio, dal regno e dall'amicizia con il Padre. 
Nel v. 35 il termine "figlio" è preso in senso generico, per essere applicato a tutti gli uomini; esso però è aperto al significato specifico divino, per indicare il Figlio unigenito del Padre. In realtà nel v. 36 abbiamo questo passaggio. Qui si parla del Figlio liberatore. Gesù è il Logos incarnato, la verità personificata, che sola può liberare l'uomo dalla schiavitù del peccato. Egli è il Figlio di Dio che rimane per sempre nella casa del Padre. Dopo aver sviluppato la tematica della vera schiavitù e della vera libertà, Gesù contesta l'affermazione dei giudei di essere discendenza di Abramo e dimostra loro che sono figli di un altro padre. 
E' un linguaggio misterioso che sarà chiarito nella scena successiva (v. 44). Per discendenza naturale gli ebrei sono figli di Abramo, ma per l'animo e i comportamenti sono figli del diavolo. Tentando di uccidere Gesù fanno un'opera diabolica perché il diavolo è omicida fin dal principio. I giudei, con la loro incredulità, rinnegano la loro origine da Abramo, uomo di grande fede. Il loro intento omicida si spiega con il rifiuto della rivelazione divina del Cristo: "La mia parola non penetra in voi". 
L'opposizione tra Gesù e i giudei sta nell'influsso dei rispettivi padri. 
Il Logos incarnato rivela ciò che ha visto e continua a vedere nel Padre. I giudei rivelano ciò che ispira loro il demonio. I giudei, con gli atteggiamenti pratici, rinnegano la loro discendenza da Abramo. Essi non solo non compiono le opere del patriarca, caratterizzate da una fede profonda in Dio e dall'adesione incondizionata alla sua parola (cfr Gen 12,1ss; 15,1-7), ma addirittura si oppongono all'inviato del Padre e cercano di ucciderlo. 
L'allusione finale di Gesù sulla vera paternità dei giudei suscita la loro protesta. La fornicazione indica l'infedeltà idolatrica. 
I giudei quindi protestano la loro fedeltà all'alleanza mosaica e proclamano di non aver tradito il patto con Dio adorando altre divinità: "Abbiamo un solo padre, Dio". 
Questa espressione richiama l'inizio dello shemà: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo" (Dt 6,4). Nell'Antico Testamento Jahvé è presentato spesso come padre d'Israele. 
Se i giudei avessero un solo padre, Dio, essi dovrebbero amare Gesù perché è stato mandato dal Padre. Gesù vuole dimostrare che i giudei non sono figli di Dio, perché non amano l'inviato di Dio che è uscito dal Padre. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 20/III/2013

Dio onnipotente, concedici una fede salda come quella di Abramo. 
Oggi, vogliamo perseverare nel tuo insegnamento per diventare tuoi veri discepoli. 
Non vogliamo essere schiavi del peccato. 
Guidaci, o Signore, alla casa del Padre, dove nella libertà ti ameremo per sempre.
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martedì 19 marzo 2013

Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore

Mt 1,16.18-21.24 
Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 

Questa genealogia [di Gesù] si ispira al primo libro delle Cronache 1,34; 2,1-15; 3,1-18; e al libro di Rut 4,18 Per l'ebreo la storia si esprime in termini di genesi, di generazione. 
Nella Bibbia c'è una sola storia, quella di una promessa fatta da Dio ad Abramo, padre dei credenti (cf. Is 51,1- 2), manifestatasi nel re Davide (cf. Is 9,6; 11,1-9) e adempiuta in Gesù (cfr Gal 3,28-29). 
Il primo versetto di questo brano è il titolo della genealogia, ma può essere contemporaneamente il titolo di tutto il vangelo. 
L'espressione "libro della genesi" richiama il titolo del primo libro della Bibbia e suggerisce che il vangelo è il racconto della nuova creazione. L'evangelista Giovanni si pone sulla stessa linea mettendo all'inizio del suo vangelo le parole "in principio", riprese direttamente dal libro della Genesi 1,1. 
Come figlio di Davide, Gesù porta a pieno compimento le promesse che Dio aveva fatto per mezzo dei profeti (2Sam 7,1ss; Is 7,14ss). Come figlio di Abramo realizza perfettamente la promessa fatta al capostipite del popolo di Dio: "In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra... Ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re" (Gen 17,6; cf. Gal 3,8-29). 
La genealogia mette in evidenza la continuità tra la storia d'Israele e la missione di Gesù e ci prepara a capire il vangelo, secondo il quale la Chiesa fondata da Gesù (Mt 16,18) è il vero Israele di Dio e l'erede di tutte le sue promesse. Al versetto 16 la struttura dell'albero genealogico bruscamente si spezza. Stando al susseguirsi delle generazioni precedenti, avremmo dovuto leggere: Giacobbe generò Giuseppe e Giuseppe generò Gesù. Leggiamo invece:" Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale fu generato (da Dio) Gesù chiamato il Cristo". Questo verbo in forma passiva "fu generato" (in greco eghennethe) esprime l'azione di Dio, che verrà richiamata esplicitamente nel brano seguente:" Quel che è generato in lei viene dallo Spirito santo" (Mt 1,20). 
Nel versetto 17 Matteo attribuisce una grande importanza al numero 14. Questo numero è la somma di valori numerici delle tre lettere dell'alfabeto ebraico che formano il nome di Davide (daleth, waw,daleth = 4+6+4). Questo versetto esprime una tesi teologica: sottolineando la cifra di Davide moltiplicata per tre (la cifra tre è simbolica: esprime la realtà dell'uomo nella sua continuità, nel suo permanere nell'essere), Matteo pone l'accento su Davide e sulla continuità della sua discendenza, argomento che svilupperà nel brano seguente. 
Nella genealogia di Gesù Cristo, Matteo ci ha dato una visione teologica del susseguirsi delle generazioni. Ora prosegue questa sua concezione presentando il ruolo e la missione di Giuseppe dal punto di vista di Dio. Giuseppe è un uomo giusto (v. 19). Il suo problema non è principalmente la situazione nuova che si è creata con la sua promessa sposa Maria, ma il suo rapporto con questo bambino che sta per nascere e la responsabilità che egli sente verso di lui. Giuseppe è detto giusto perché sintetizza nella sua persona l'atteggiamento dei giusti dell'Antico Testamento e in particolare quello di Abramo (cf. Mt 1,20-21 con Gen 17,19). 
La giustizia di Giuseppe non è quella "secondo la legge" che autorizza a ripudiare la propria moglie, ma quella "secondo la fede" che chiede a Giuseppe di accettare in Maria l'opera di Dio e del suo Spirito e gli impedisce di attribuirsi i meriti dell'azione di Dio. Di sua iniziativa Giuseppe non ritiene di poter prendere con sé una persona che Dio si è riservata. Egli si ritira di fronte a Dio, senza contendere, e rinuncia a diventare lo sposo di Maria e il padre del bambino che sta per nascere; per questo decide di rinviare segretamente Maria alla sua famiglia. Giuseppe è giusto di una giustizia che scopriremo nel seguito del vangelo, quella che si esprime nell'amore dato senza discriminazioni a chi lo merita e a chi non lo merita (Mt 5,44-48) ed è riassunto nella "regola d'oro": "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,12). 
L'uomo giusto è misericordioso come Dio è misericordioso. 
La crisi di Giuseppe ha lo stesso significato dell'obiezione di Maria in Luca 1,29. Maria era turbata perché non sapeva che cosa significasse il saluto dell'angelo. Giuseppe è incerto perché non sa spiegarsi ciò che è avvenuto in Maria. Maria può chiedere la spiegazione all'angelo, ma Giuseppe non sa a chi rivolgersi; per questo decide di mettersi in disparte aspettando che qualcuno venga a liberarlo dalle sue perplessità. Matteo mette in rilievo l'identità messianica di Gesù affermando la sua discendenza da Davide, al quale Dio aveva promesso un discendente che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe (cf. Lc 1,33; 2Sam 7,16). Quindi, secondo la genealogia, Gesù è il discendente di Davide non in virtù di Maria, ma di Giuseppe (v. 16). E' per questo che Matteo presenta Giuseppe come destinatario dell'annuncio con il quale gli viene dato l'ordine di prendere Maria con sé e di dare il nome a Gesù. Giuseppe, riconoscendo legalmente Gesù come figlio, lo rende a tutti gli effetti discendente di Davide. 
Gesù verrà così riconosciuto come figlio di Davide (Mt 1,1; 9,27; 20,30-31; 21,9; 22,42). Il nome di Gesù significa "Dio salva". La promessa di salvezza contenuta nel nome di Gesù viene presentata in termini spirituali come salvezza dai peccati (v. 21). Anche per Luca la salvezza portata da Gesù consiste nella remissione dei peccati (Lc 1,17). In queste parole c'è il netto rifiuto di un messianismo terreno: Gesù non è venuto a conquistare il regno d'Israele o a liberare la sua nazione dalla dominazione straniera. 
La singolarità dell'apparizione dell'angelo consiste nel fatto che essa avviene in sogno. Matteo forse presenta Giuseppe secondo il modello del patriarca Giuseppe, viceré d'Egitto (Gen 37,5ss). La cosa importante è che l'apparizione dell'angelo chiarisce con sicurezza che la direttiva viene da Dio. Nel versetto 22 troviamo la prima citazione dell'Antico Testamento. Questa è preceduta dalla formula introduttiva: "Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta". 
Con questa espressione Matteo vuol darci l'idea del compimento delle intenzioni di Dio contenute nella Scrittura. E' importante notare che attraverso il profeta ha parlato Dio. Con la citazione di Isaia 7,14 Matteo presenta la generazione di Gesù come un parto verginale. Gesù quale Emmanuele, Dio con noi, costituisce un motivo centrale del vangelo di Matteo. 
Questa citazione di Isaia forma un'inclusione con l'ultima frase del vangelo: "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Giuseppe, uomo giusto, si desta dal sonno e agisce. 
L'esecuzione descrive la sua obbedienza. Pur prendendo con sé Maria, egli non la conosce. Il conoscere indica già in Gen 4,1 il rapporto sessuale. L'imposizione del nome di Gesù ad opera di Giuseppe assicura di fronte alla legge la discendenza davìdica del figlio di Maria. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 19/III/2013

Caro san Giuseppe, sii per noi un padre. 
Proteggi la nostra santa madre Chiesa, il corpo di Cristo, come un tempo hai protetto la santa Madre di Dio e il suo Figlio divino. 
Sostienici in tutte le prove con le tue preghiere. 
Per i meriti che ti sei guadagnato prendendoti cura, in Egitto, di Maria e di suo Figlio, intercedi per tutti i rifugiati di oggi, che sono stati banditi dalla loro terra natale. 
Durante il nostro esilio spirituale, mantieni il nostro cuore nella gioia; aiutaci a fare la volontà di Dio e ad accettare il suo insegnamento, facendo tacere, con spirito sottomesso, la nostra volontà, fino alla nostra ultima ora. 
Caro padre, rimani al nostro fianco fino alla fine (che è una rinascita); implora per noi il dono della perseveranza finale, perché, una volta pagato il debito dei nostri peccati, possiamo (in compagnia della Madonna e di te stesso, con gli angeli e con i santi) condividere eternamente la gloria del tuo figlio adottivo che, dopo la sua morte sulla croce e la sua discesa agli inferi, ha voluto farti uscire dal limbo e dalla dimora di schiavitù.
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lunedì 18 marzo 2013

Epistolario di san Pio/17

71-Chi mi darà la forza di uscire da si dura prigione, dove l'uomo lasciato in se stesso, non va sperimentando altro se non i rigori della giustizia di un Dio giustamente sdegnato. 

72-Questa vita e' una lotta continua e non vi è chi possa dire " Io non sono assalito". La quiete è riservata al cielo. 

73-In terra bisogna sempre combattere tra la speranza e il timore con patto pero' che la speranza sia sempre più forte. 

74-Povera Mammina, quanto bene mi vuole. L'ho costatato di nuovo allo spuntar di questo giorno. Con quanta cura mi ha accompagnato all'altare questa mattina. Mi é sembrato ch'ella non avesse altro a pensare se non a me solo col riempirmi il cuore tutto di santi affetti.
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Io sono la luce del mondo

Gv 8,12-20 
Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». 1li dissero allora: «Dov'è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio». Gesù pronunciòqueste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora. 

Il dialogo tra Gesù e i giudei si apre con la solenne proclamazione: "Io sono la luce del mondo". Per fare questa affermazione, Gesù prende lo spunto dalle luminarie della Festa delle Capanne, nella quale si illuminava il tempio di Gerusalemme con tanta profusione di luci. 
Superando l'orizzonte giudaico, Gesù si proclama la luce non solo di Gerusalemme, ma di tutta l'umanità. Egli, per la prima volta, si proclama, in modo solenne ed esplicito, la luce del mondo, cioè la rivelazione divina che porta vita e salvezza. 
Per non camminare nelle tenebre, bisogna seguire Gesù, diventare suoi discepoli. 
Cammina nelle tenebre chi rifiuta l'adesione personale al Figlio di Dio (cfr Gv 12,35.46) e chi odia il proprio fratello (cfr 1Gv 2,9.11). I giudei accusano Gesù di vanagloria perché rende testimonianza a se stesso e perciò concludono che la sua testimonianza non è verace. 
In 5,32-37 Gesù aveva già portato a suo favore la testimonianza del Battista, delle opere compiute e del Padre. Ora afferma che la sua testimonianza è attendibile perché egli è una persona divina. In 5,31 Gesù aveva detto: "Se fossi io a rendere testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera". Ora qui sembra dire il contrario: "Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado" (v. 14). 
Nel primo caso Gesù parlava della sua testimonianza umana, nel secondo si appella alla sua natura divina. Gesù conosce per scienza divina il mistero della sua origine. I farisei ignorano completamente la vera identità di Gesù e la sua origine divina perché giudicano secondo la carne, a differenza del Figlio che vive in sintonia e in comunione con il Padre che l'ha mandato. 
Gesù che è pieno della grazia della verità (cfr Gv 1,14. 17) non solo è la rivelazione vivente del Padre, ma con il suo giudizio mostra lo stato reale degli uomini. La ragione della veracità del giudizio di Cristo sta nella sua intima unione con il Padre. In tal modo è rispettata anche l'esigenza della legge mosaica, che esige la testimonianza di due persone, perché Gesù non è solo, perché il Padre è sempre con lui (cfr Gv 8,29; 16,32). "Gli dissero allora: ?Dov'è tuo padre?'. Rispose Gesù: ?Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio' ". Questa risposta di Gesù insinua implicitamente la sua divinità. Egli dichiara che uno solo è suo Padre, Dio, e che per conoscere il Padre bisogna conoscere lui che è suo Figlio. I giudei ignorano la vera identità di Gesù, non sanno che egli è il Figlio di Dio e tanto meno immaginano che per giungere alla vera conoscenza del Padre occorra passare per la persona del Cristo. Gesù dichiara che nessuno può andare al Padre se non per mezzo di lui che è via, verità e vita; che per conoscere il Padre bisogna conoscere il Figlio; che vedendo Gesù si vede il Padre, perché l'uno vive nell'altro (cfr Gv 14,6-11). 
Gesù attacca il giudaismo e gli nega ciò di cui è più fiero: la conoscenza di Dio. 
Gli ebrei in realtà non conoscono Dio, perché rifiutano il Figlio di Dio. 
Questa sublime rivelazione della vita trinitaria fu proclamata presso la camera del tesoro nel tempio. Tale precisazione forse vuol dare alla testimonianza un carattere più ufficiale e più solenne. 
La frase finale "E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora" è un ritornello che ricorre varie volte nel vangelo. Esso vuol mettere in evidenza l'impossibilità, per i nemici, di impedire a Gesù di compiere la sua missione secondo il disegno del Padre. 
Padre Lino Pedron
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Preghiera del mattino del 18/III/2013

Signore Dio, tu mi hai creato, in modo miracoloso, a tua immagine e somiglianza. 
Ma quanto spesso perdiamo questa somiglianza a causa del peccato! 
Oggi, siamo riconfortati e felici, perché abbiamo saputo da Cristo che egli non condanna, ma ci chiama ad una vita degna dei figli di Dio. 
Mostraci di nuovo, o Dio, il tuo volto e noi saremo salvi.
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domenica 17 marzo 2013

Sapendomi pescatore di uomini… non pesco?

Il Signore vuole da te un apostolato concreto, come quello della pesca di quei centocinquantatré grossi pesci e non altri, presi alla destra della barca. E mi domandi: come mai, pur sapendomi pescatore di uomini, vivendo a contatto con molti compagni, e pur potendo capire verso chi deve essere diretto il mio apostolato specifico, non pesco?... Mi manca Amore? Mi manca vita interiore? Ascolta la risposta dalle labbra di Pietro, nell'altra pesca miracolosa: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla; tuttavia, sulla tua parola, getterò la rete». In nome di Cristo, ricomincia di nuovo. Rinvigorito: via quella fiacchezza! (Solco 377) 

L'apostolato, ansia che consuma interiormente il cristiano della strada, non è qualcosa di diverso dal compito di ogni giorno: si confonde col lavoro quotidiano, quando esso è trasformato in occasione di incontro personale con Cristo. In questo lavoro, impegnandoci gomito a gomito negli stessi problemi dei nostri compagni, dei nostri amici, dei nostri parenti, potremo aiutarli a raggiungere Cristo, che ci attende presso la riva del lago. Come Pietro prima di essere apostolo, pescatore; dopo essere stato eletto apostolo, pescatore. Prima e dopo la stessa professione. 
Passa accanto agli apostoli, accanto ad anime che si sono date a Lui: ed essi non se ne rendono conto. Quante volte c'è Cristo, e non accanto a noi, ma in noi; eppure viviamo una vita tanto umana! Cristo è vicino, ma i suoi figli non gli rivolgono uno sguardo d'affetto, né una parola d'amore, né gli dedicano un'opera di zelo. 
Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontano da terra se non un centinaio di metri [Gv 21, 8]. Subito mettono la pesca ai piedi del Signore, perché è sua. Così noi impariamo che le anime sono di Dio, che nessuno su questa terra può attribuirsene la proprietà, e che l'apostolato della Chiesa — che è annuncio e realtà di salvezza — non si fonda sul prestigio di qualcuno, ma sulla grazia divina. (Amici di Dio, 264-267)
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Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei

Gv 8,1-11 
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più». 

L'inserzione di questo brano interrompe l'unità dei due atti drammatici, incentrati l'uno sulla messianicità di Gesù (Gv 7) e l'altro sulla sua divinità (Gv 8,12-57). Il Cristo di Gv 8,1-11 appare molto più simile a quello dei sinottici, e in modo particolare al Gesù di Luca, che a quello del vangelo di Giovanni. Gli scribi e i farisei nel loro cuore hanno già condannato la povera donna colta in fallo. La conducono da Gesù solo per tendergli un tranello. La legge giudaica è molto esplicita su questa materia: l'adultera deve morire. 
Ora, se Gesù assolve la peccatrice si mette contro la Legge e quindi si condanna da solo; se si mostra giudice severo si scredita davanti a tutti, rinnegando la sua dottrina su Dio clemente e misericordioso. La domanda degli scribi e dei farisei si rivela molto abile e astuta. Gesù però non abbocca, ma, chinatosi, scriveva sulla terra col dito. 
Secondo alcuni esegeti, Gesù voleva ricordare simbolicamente Geremia 17,13: "Quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore". Forse Gesù, con il gesto di scrivere, ha voluto manifestare il suo desiderio di non intervenire o di non mostrare la sua indignazione per la loro ipocrisia. 
"Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". Questa risposta degna del Figlio di Dio per la saggezza, la semplicità e la profondità toglie agli avversari ogni argomento per condannare sia l'adultera, sia Gesù. Come può un peccatore infierire contro un altro peccatore? L'espressione "scagli la prima pietra" ricorda Dt 13,10 dove si ordina che i testimoni oculari devono dare inizio all'esecuzione della condanna a morte. 
Dopo una risposta tanto saggia, Gesù si china di nuovo per scrivere sulla terra. Questo gesto vuol porre i giudici dinanzi alle loro responsabilità e invitarli a una decisione sincera e libera. I presenti riconoscono di essere peccatori e se ne vanno. L'accenno ai più anziani vuole insinuare che costoro erano più assennati e capirono per primi la lezione. Forse c'è una constatazione salace: col crescere degli anni si accumulano anche i peccati. 
In questo racconto c'è un'eco della storia di Susanna (Dn 13), nella quale gli anziani che tentarono di sedurre la donna sono presentati come uomini perversi, invecchiati nel male, pieni di peccati e di iniquità. Eclissatisi gli accusatori, sulla scena rimangono solo Gesù e la donna. Ma il Figlio dell'uomo non è venuto per condannare, ma per salvare (cfr Gv 3,17). Dio non vuole la morte del peccatore, ma la sua conversione, perché viva felice (Ez 18,23; 33,11; Sap 11,23.26). L'esortazione a non peccare più era già stata rivolta anche all'infermo guarito presso la piscina di Betzaetà (cfr Gv 5,14): la misericordia e il perdono non minimizzano la gravità del peccato. 
Questo brano contiene un dramma di squisita bellezza, nel quale sono posti a confronto una fragile creatura e l'unico uomo senza peccato. La povera peccatrice appare in tutta la miseria della sua colpa: non solo ha perso pubblicamente l'onore, ma sta per perdere anche la vita. 
La drammaticità della scena è data soprattutto dal confronto tra la miseria della creatura e la santità del Cristo, che si manifesta misericordia infinita. In antitesi con gli scribi e i farisei, spietati nell'applicare la legge di Mosè contro l'adultera, Gesù si manifesta come la misericordia incarnata e pronuncia un giudizio di assoluzione piena: "Neppure io ti condanno". 
Sant'Agostino ha commentato la scena con una frase lapidaria: "Relicti sunt duo, misera et misericordia", "rimasero in due, la misera (donna) e la misericordia (Cristo). Gesù non giudica nessuno (cfr Gv 8,15) perché è venuto a salvare l'umanità peccatrice (cfr Gv 3,17; 12,47). Egli è l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr Gv 1,29; 4,42; 1Gv 4,14). 
Padre Lino Pedron
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