sabato 31 agosto 2013

Sant'Agostino

Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. 
Se tu desideri sempre, tu preghi sempre. 
Quand'è che la preghiera sonnecchia? 
Quando si raffredda il desiderio
(S. Agostino)
...

Un pizzico di Vangelo/40

Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi. 
Mt. 19,30
------

Un pizzico di Vangelo/39

Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo ! 
Gv.16,33
----

Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone

Mt 25,14-30 
Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». 

Il regno dei cieli è un capitale che Dio ha messo nelle nostre mani: non possiamo lasciarlo improduttivo. Questo racconto ci insegna la vera natura del rapporto che deve intercorrere tra Dio e l’uomo. È tutto il contrario di quel timore servile che cerca rifugio e sicurezza contro Dio stesso in una esatta osservanza dei suoi comandamenti. 
E' invece un rapporto di amore dal quale possono e devono scaturire coraggio, generosità e libertà. Il servo buono e fedele è colui che, superando ogni timore servile e la gretta concezione farisaica del dovere religioso, traduce il vangelo in atti concreti, generosi e coraggiosi. 
Attendere il Signore significa assumere il rischio della propria responsabilità. A coloro che si muovono nell’amore e si assumono il rischio delle proprie decisioni, si aprono prospettive sempre nuove (v. 28). Chi invece resta inerte e inoperoso (v. 25) diventa sterile e improduttivo, e gli sarà tolto anche quello che ha (v. 29). 
Non basta non fare il male, bisogna fare positivamente tutto il bene e a tutti. La paralisi operativa del cristiano è provocata dalla paura nei confronti del suo Signore. 
Il cristiano vero conosce Dio come amore infinito, e questo lo porta ad agire con entusiasmo e dedizione. «Per questo l’amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone il castigo e chi teme non è perfetto nell’amore» (1Gv 4,17-18). 
Il dono dei talenti che Dio ci ha dato è un atto di fiducia nelle nostre reali capacità e nella nostra buona volontà. Egli non vuole che siamo dei semplici dipendenti o esecutori ignari e deresponsabilizzati, ma dei collaboratori coscienti e coscienziosi nella gestione dei suoi beni. L’osservazione maleducata, ingiusta e malvagia che il servo fannullone butta in faccia al suo padrone: «So che sei un uomo duro e mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso» (v. 24) contiene una preziosa informazione sul conto di Dio, perché riconosce la laboriosità e la capacità di questo Signore che sa trarre profitto anche dove gli altri non riescono (Dio sa trarre il bene anche dal male, perfino dal peccato!). E vuole che i suoi servi siano come lui. 
Il servo fannullone non è solo pigro, ma anche stolto. Il suo giudizio sul padrone è falso e malevolo. La sua colpa non è solo la pigrizia, l’infingardaggine, la mancanza di capacità di rischio, ma la disistima e la mancanza d’amore verso il suo padrone: non l’ha compreso, non si è fidato delle sue proposte. Il racconto rappresenta la comunità cristiana impegnata nelle sue varie mansioni. 
La vocazione cristiana è un capitale a rischio: un dono che bisogna far fruttificare con industriosità, saggezza e amore. Ogni fedele deve dare, con responsabilità e coraggio, la propria prestazione. Il premio, espresso nel raddoppiamento dei talenti e nella partecipazione alla gioia del Signore, contiene un richiamo alla comunione di vita con Cristo. La condanna è l’esclusione dal banchetto di questa intimità. Fuori dalla sala delle nozze eterne il servo sarà condannato all’oscurità, al freddo, al pianto. 
Il momento attuale decide la nostra sorte eterna. 
Matteo mette in guardia i suoi lettori contro il rischio del disimpegno che sarà condannato come mancanza di fede e di fiducia nel Signore. 
La paura è il contrario della fede, come la pigrizia è il contrario dell’impegno fruttuoso. 
L’intenzione di Matteo è questa: motivare un serio impegno dei cristiani nella vita presente con la prospettiva del giudizio finale, della ricompensa e del castigo. 
L’esperienza di fede per Matteo è una relazione personale con il Signore, che si esprime e si concretizza nella fedeltà operosa come risposta alla sua iniziativa gratuita. 
L’immagine di Dio è deformata dalla paura. Essa paralizza l’iniziativa dell’uomo, gli impedisce di essere attivo e di rischiare. Il terzo servo, invece di presentare i suoi guadagni, fa leva sulla severità del suo padrone, di cui ha un pessimo concetto, per motivare la sua totale mancanza di intraprendenza nel far fruttare il capitale ricevuto. In altre parole: la colpa è del Signore, non sua (vv. 24-25). 
La risposta del Signore si apre con due appellativi, «malvagio e pigro», che sono l’opposto di quelli usati per i primi due servi laboriosi e intraprendenti, «servo buono e fedele». Il Signore risponde riprendendo le stesse parole del servo: «Sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso». Il dialogo si conclude con l’ordine di cacciare il servo malvagio e pigro. Con tale conclusione il racconto diventa un avvertimento per tutti coloro che nell’attesa della venuta del Signore non si impegnano con costanza e fedeltà. Il terzo servo non ha fatto, apparentemente, nulla di male, ma, in realtà, il non corrispondere alle attese del Signore è il massimo dei mali, se merita tanto castigo. 
La vita non ci è stata donata per non fare del male, ma per fare il bene, diversamente i cadaveri sarebbero migliori di noi: non uccidono, non commettono adulterio, non rubano, non dicono falsa testimonianza... 
La frase: «A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (v. 29) può sembrare un principio ingiusto; in realtà mette in evidenza come nel seguire il Signore ci sia un crescendo di intimità, di senso reciproco di appartenenza, che si intensifica e si approfondisce sempre di più. 
Questo racconto non è una spinta all’imprenditorialismo o all’accumulo di capitali: i talenti sono i «misteri del regno di Dio», non i denari. 
Il seguire Gesù rimane spesso bloccato perché ci si lascia dominare dalla paura, che è esattamente il contrario della fede ardimentosa che sposta le montagne. 
Per concludere, esemplifichiamo: paura di sposarsi, accettando la definitività di questa unione indissolubile per volontà di Dio; paura di fare i preti a vita; paura di consacrarsi definitivamente a Dio nella vita religiosa; paura, paura e sempre paura..., perché abbiamo paura di Dio. 
Padre Lino Pedron
-----

Preghiera del mattino del 31/VIII/2013

O Dio Padre nostro, per mezzo di tuo figlio Gesù Cristo tu hai dato la salvezza al mondo. 
Fa' che io riconosca il bene che, oggi, si trova davanti a me come un compito da portare a termine. 
La luce dello Spirito Santo mi permetta di essere vigile, al servizio del tuo amore, tu che vivi e regni nei secoli.
----

venerdì 30 agosto 2013

Un pizzico di Vangelo/38

Perchè molti sono chiamati, ma pochi eletti. 
Mt.22,14
----

Un pizzico di Vangelo/37

Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti. 
Mc.9,35
-----

Ecco lo sposo! Andategli incontro!

Mt 25,1-13 
Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l'olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: «Ecco lo sposo! Andategli incontro!». Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: «Dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono». Le sagge risposero: «No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene». Ora, mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, signore, aprici!». Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco». Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora. 

La storia raccontata in questo pezzo di vangelo ci presenta dieci ragazze che attendono lo sposo. Chi è lo sposo e chi sono le dieci ragazze? Lo sposo è Cristo, le dieci ragazze sono la comunità cristiana. La storia non parla della sposa, perché le dieci ragazze sono la sposa e attendono l’arrivo non di uno sposo, ma del loro sposo. Queste dieci ragazze sono la sposa di Cristo, la Chiesa (cf. Ef 5,22-32). Queste dieci ragazze si dividono in due categorie: cinque sono sagge e cinque sono stolte. 
In che cosa si manifesta la saggezza delle prime cinque? 
Hanno calcolato che l’attesa dello sposo sarebbe andata per le lunghe: per questo «insieme con le lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi» (v. 4). Avevano capito che la vita ha una durata troppo lunga per poter conservare sempre la stessa carica di fede e di carità senza fare rifornimento. Le lampade accese significano la costante vigilanza che occorre per non perdersi nella notte della dimenticanza e dell’infedeltà in questo mondo. 
Tema di questo racconto è l’attesa del Signore che viene. 
Ciò non significa che la vita presente sia una sala d’attesa della vita eterna, ma che deve essere vissuta come vita responsabilizzata in vista del Signore che viene. L’attendere Dio presuppone la fede. L’olio delle lampade è la fede con le opere. Le cinque ragazze sagge, che rappresentano i buoni cristiani, non sembrano poi tanto buone, anzi, sembrano decisamente scostanti e cattivelle. Alle amiche stolte che le supplicano: «Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono rispondono: «No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene» (vv. 8-9). 
Le ragazze sagge non possono dare il loro olio alle stolte perché nessuno può essere vigilante al posto di un altro, nessuno può amare Cristo al posto di un altro: è un affare personale, è un assegno «non trasferibile». 
Questo racconto istruttivo ha lo scopo di esortare a tenersi pronti all’arrivo del Signore: un arrivo di cui non conosciamo né il giorno né l’ora, ma che non è lontano ed è certissimo e inevitabile. 
Queste ragazze stolte che chiamano Gesù: «Signore, Signore» (v. 11) hanno dimenticato l’insegnamento che egli aveva già impartito al capitolo 7, 22-23 di questo vangelo: «Molti mi diranno in quel giorno (il giorno del giudizio finale): Signore, Signore ... Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità». Queste parole non condannano la preghiera, non proibiscono di invocare Cristo come «Signore», ma ci insegnano che la preghiera deve essere congiunta alla pratica della vita cristiana. 
Bisogna fare la volontà del Padre, diversamente la preghiera non serve. Nell’attesa del grande giorno della venuta del Signore bisogna vegliare e non comportarsi come i cristiani di Tessalonica che nel prolungarsi dell’attesa della venuta del Signore cominciarono a darsi all’ozio e al vagabondaggio (1Ts 4,11; 2Ts 3,6-12). 
Così le ragazze del racconto evangelico (cioè noi cristiani!) devono essere impegnate, operose e diligenti. Matteo ha dato a questo racconto edificante una conclusione che concorda con la finale del discorso della montagna (Matteo,5-6-7). Anche là troviamo la contrapposizione tra il saggio e lo stolto. 
Nel discorso della montagna essere saggio significa: non limitarsi ad ascoltare le parole di Gesù, ma metterle anche in pratica. Questa disposizione viene trasferita anche al presente racconto delle dieci ragazze che rappresentano la comunità cristiana. Sono pronti ad andare incontro al Signore quei cristiani che fanno la volontà di Dio come l’ha insegnata Gesù nel discorso della montagna. Vigilare nell’attesa del Signore che viene in maniera improvvisa, vuol dire essere pronti; ed essere pronti significa essere fedeli alla volontà del Padre, facendo quelle opere di amore sulla base delle quali verrà fatto il giudizio finale. 
Questa è la vera «saggezza» cristiana: attuare con perseveranza la volontà del Padre che il Signore Gesù ha definitivamente rivelato. Nella parabola del giudizio finale (Matteo 25,31-46) il Signore ci indicherà dettagliatamente quali sono le opere buone che dobbiamo fare nell’attesa della sua venuta. 
Padre Lino Pedron
-----

Preghiera del mattino del 30/VIII/2013

Ti ringrazio, Dio di bontà, del fatto che posso di nuovo, al mio risveglio, contemplare il mondo alla luce del sole, che tu hai creato. 
Signore, sii allo stesso modo la luce che spazza la nebbia dal mio spirito e dalla mia anima. 
A coloro che sono morti la notte scorsa concedi, Gesù misericordioso, la grazia di dimorare nella luce eterna che è la tua esistenza, che non ha né inizio né fine. 
Amen.
-----

giovedì 29 agosto 2013

Un pizzico di Vangelo/36

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 
Mt.11,30
------

Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista

Mc 6,17-29 
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l'aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell'esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista ». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. 

Questo brano del vangelo ci dà la versione "religiosa" della morte del Battista. Flavio Giuseppe ci dà quella "politica". Leggiamo in Antichità giudaiche 18,119: "Erode, temendo che egli con la sua grande influenza potesse spingere i sudditi alla ribellione (sembrando in effetti disposti a fare qualsiasi cosa che egli suggerisse loro), pensò che era meglio toglierlo di mezzo prima che sorgesse qualche complicazione per causa sua, anziché rischiare di non potere poi affrontare la situazione. E così, per questo sospetto di Erode, egli fu fatto prigioniero, inviato nella fortezza di Macheronte e qui decapitato". Quando i profeti mettono il dito sulla piaga e arrivano al nocciolo della questione, vengono tolti di mezzo senza scrupoli. 
La testa di Giovanni Battista su un vassoio, nel pieno svolgimento di un banchetto, può sembrare una "portata" insolita. A pensarci bene, non è poi un "piatto" tanto raro: quante decapitazioni durante pranzi, cene…! Questo brano, posto dopo l’invio in missione dei Dodici, indica il destino del missionario, del testimone di Cristo. 
In greco, testimone si dice "martire". La morte di Giovanni prelude la morte di Gesù e di quanti saranno inviati. Ciò può sembrare poco confortante, ma l’uomo deve comunque morire. La differenza della morte per cause naturali e martirio sta nel fatto che la prima è la fine, il secondo è il fine della vita. Il martire infatti testimonia fin dentro ed oltre la morte, l’amore che sta a principio della vita. 
Il banchetto di Erode nel suo palazzo fa da contrappunto a quello imbandito da Gesù nel deserto, descritto immediatamente di seguito (Mc 6,30-44). Il primo ricorda una nascita festeggiata con una morte; il secondo prefigura il memoriale della morte del Signore, festeggiato come dono della vita. 
Gli ingredienti del banchetto di Erode sono ricchezza, potere, orgoglio, falso punto d’onore, lussuria, intrigo, rancore e ingiustizia e, infine, il macabro piatto di una testa mozzata. La storia mondana non è altro che una variazione, monotona fino alla nausea, di queste vivande velenose. 
Il banchetto di Gesù invece ha la semplice fragranza del pane, dell’amore che si dona e germina in condivisione e fraternità. 
Padre Lino Pedron
-----

mercoledì 28 agosto 2013

Un pizzico di Vangelo/35

Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo 
Lc. 14,27
----

Un pizzico di Vangelo/34

Chiedete e otterrete perché la vostra gioia sia piena. 
Gv.16,24
----

Un pizzico di Vangelo/33

Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime . 
Lc.21,19
----

Preghiera del mattino del 18/VIII/2013

Padre, tu ci hai dato tuo Figlio perché fosse la misura della nostra relazione con te e fra noi. 
Niente e nessuno deformi questa vera e propria misura del nostro amore! 
Concedici degli affetti puri in vista della venuta del tuo regno, cosicché l'umanità possa essere fin d'ora una comunità di pace e di giustizia vera. 
Padre, Figlio e Spirito Santo, Santissima Trinità, sii il modello e la fonte della nostra vita comune!
-----

Siete figli di chi uccise i profeti

Mt 23,27-32 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all'esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all'esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: «Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti». Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri. 

In questo brano Gesù smaschera l’ipocrisia, o meglio gli ipocriti. L’ipocrita è un uomo che recita. Ama la pubblicità. Ogni suo gesto ha il solo scopo di attirare l’attenzione su di sé (cfr Mt 6,1-6). 
La radice profonda dell’ipocrisia è la ricerca di sé, il fare tutto per sé, non per gli altri o per Dio: è l’egoismo, l’esatto contrario dell’amore (cfr 1Cor 13,1-7). Il sesto "guai" paragona gli scribi e i farisei a sepolcri imbiancati. Per una comprensione precisa del paragone occorre ricordare le usanze giudaiche relative alla sepoltura. Il defunto, avvolto in un lenzuolo, veniva deposto in una tomba costituita da una grotta o da una roccia scavata. Dopo circa un anno, le sue ossa venivano raccolte in un contenitore e definitivamente sepolte in campi o grotte, chiamati "case delle ossa". Questi luoghi di sepoltura erano dipinti con calce perché si potessero facilmente riconoscere. La tinta era rinnovata ogni anno, dopo il tempo delle piogge. In questo modo si voleva evitare che qualcuno si avvicinasse alle tombe e contraesse una contaminazione prevista dalla legge. Qui si parla di queste "case delle ossa". Come nel caso dei sepolcri il colore bianco è solo una tinta che nasconde penosamente le ossa dei morti, così la giustizia degli scribi e dei farisei è soltanto esteriore. Dicendo che il loro interno è pieno di ipocrisia e di iniquità si riprendono vocaboli particolarmente cari al vangelo di Matteo, che designano la lontananza da Dio. È possibile anche che il confronto con le tombe imbiancate, accostandosi alle quali ci si può contaminare, intenda suggerire l’idea che nel rapporto con gli scribi e i farisei occorre stare attenti a non contaminarsi. 
Il settimo "guai" riguarda la venerazione dei profeti e dei giusti, che gli scribi e i farisei esprimono edificando ad essi sepolcri e monumenti. Facendo riferimento alla continuità tra padri e figli, questo testo getta uno sguardo d’insieme sulla storia d’Israele. Per capire il testo bisogna rifarsi al v. 30 secondo il quale gli scribi e i farisei si dichiarano innocenti del male di cui si sono resi colpevoli i loro padri spargendo il sangue dei profeti, perché essi non si sarebbero comportati come i loro antenati. 
L’edificazione dei monumenti sepolcrali vorrebbe dimostrare il loro cambiamento di mentalità e la riparazione del male commesso dai loro padri. Ma i versetti immediatamente successivi intendono dimostrare che essi, rifiutando la conversione, si comportano nei confronti dei profeti inviati a loro, alla stessa maniera dei loro padri. Per quanto ci riguarda, noi possiamo leggere questo testo come invito all’autocritica. Matteo ce lo fa capire mettendo il rimprovero ai farisei in un discorso che è rivolto alla folla e ai discepoli (23,1), cioè alla comunità cristiana. Se applichiamo queste invettive, o meglio, queste lamentazioni di Cristo, a noi stessi e alla Chiesa dei nostri giorni, dobbiamo verificare se la nostra vita di fede è soltanto esteriorità, attivismo religioso e legalismo. 
S. Girolamo ha scritto ai cristiani del suo tempo: "Guai a noi, i vizi dei farisei sono passati a voi!". 
Padre Lino Pedron
------

Preghiera del mattino del 28/VIII/2013

Ti lodo, Signore, per il lavoro dell'uomo, che, essendo partecipazione alla tua opera continua di creazione, porta a compimento il mondo che tu costruisci come una cattedrale. 
Non lasciare che i tuoi figli siano oppressi dal peso di un lavoro divenuto disumano, o peggio, in cui ci si adopera per la morte. 
Abbi pietà dell'alterazione dell'immagine di Dio nei tuoi figli quando il lavoro non è più originato nell'amore e non mira più alla realizzazione di ogni tuo figlio, ma piuttosto alla tirannia, quando il denaro è Dio. 
Signore, ascolta i tuoi figli e le loro grida, come già li ascoltasti un tempo in Egitto. 
Posa la tua mano di Salvatore sulla terra, continuamente in fase di creazione.
-----

martedì 27 agosto 2013

Un pizzico di Vangelo/32

Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli. 
Mt.18,13
----

Un pizzico di Vangelo/31

Perdonate e vi sarà perdonato. 
Lc.6,37
----

Queste erano le cose da fare, senza tralasciare quelle

Mt 23,23-26 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull'anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma all'interno sono pieni di avidità e d'intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi pulito! 

In questo brano Gesù continua a smascherare l’ipocrisia, o meglio gli ipocriti. L’ipocrita è un uomo che recita. Ama la pubblicità. Ogni suo gesto ha il solo scopo di attirare l’attenzione su di sé (cfr Mt 6,1-6). La radice profonda dell’ipocrisia è la ricerca di sé, il fare tutto per sé, non per gli altri o per Dio. È l’egoismo, l’esatto contrario dell’amore (cfr 1Cor 13,1-7). 
Il quarto "guai" è rivolto contro il capovolgimento dell’ordine dei valori. Gli scribi e i farisei ritenevano più importanti le prescrizioni esterne che i doveri morali fondamentali. Il pagamento della decima della menta, dell’aneto e del cumino, le erbe aromatiche più in uso, pare un’esagerazione. Nella legge era previsto solo il pagamento della decima per l’olio, il mosto, i cereali, che poi fu esteso al raccolto in genere (cfr Nm 18,22; Dt 14,22-23; Lv 27,30). 
Le cose più importanti nella legge sono il diritto, la misericordia, la fede. 
Il quinto "guai" riguarda quelli che non tengono in debito conto il nesso inscindibile tra interno ed esterno. In termini concreti si parla di pulire il bicchiere e la scodella, come prevedevano le prescrizioni farisaiche sulla purità. Ma lo scopo del discorso è la pulizia della coscienza piena di rapina e di iniquità. La cura della pulizia del bicchiere viene utilizzata per evidenziare la discutibilità di un comportamento morale che si preoccupa solamente dell’apparenza esterna e non della realtà interiore. 
L’esortazione rivolta al fariseo cieco, a pulire anzitutto l’interno del bicchiere, è ora un invito ad allontanare dal cuore e dalla vita ogni malvagità. 
Padre Lino Pedron
----

Preghiera del mattino del 27/VIII/2013

Come il tuo apostolo Paolo che, "in mezzo a grandi lotte", ha proclamato il Vangelo e non dottrine false, senza "torbidi motivi", senza "frode alcuna", aiutaci a parlare di te, con grande chiarezza, senza vergogna e senza raggiri umani, aiutaci a annunciarti in ogni momento, opportuno e importuno. 
"Guai a me se non evangelizzassi". 
Che nessuno scoglio faccia fallire la missione che ci affidi. 
Concedici di essere fedeli, di non svignarcela, di darci da fare invece con perseveranza, come un vignaiuolo nella sua vigna, senza indugi e con determinazione, perché tu ci hai infiammati col fuoco della tua Parola. 
Se questa prova ci distrugge, facci restare in piedi, dandoci sempre conforto e speranza.
-----

lunedì 26 agosto 2013

Guai a voi, guide cieche

Mt 23,13-22 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi, guide cieche, che dite: «Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l'oro del tempio, resta obbligato». Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l'oro o il tempio che rende sacro l'oro? E dite ancora: «Se uno giura per l'altare, non conta nulla; se invece uno giura per l'offerta che vi sta sopra, resta obbligato». Ciechi! Che cosa è più grande: l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso. 

Attraverso i «guai» rivolti agli scribi e ai farisei, Gesù istruisce la folla e i discepoli. Egli mette in guardia i discepoli dai cattivi comportamenti che vengono segnalati, perché anch’essi vi potrebbero incappare. Il senso del «guai a voi!» è «ahimè per voi!»: non esprime una minaccia, ma il dolore per la situazione dell’altro. 
È un’espressione di sincero amore, non di aggressività né tanto meno di cattiveria. È un lamento. L’ipocrisia è la differenza tra l’essere e l’apparire, il non riconoscere l’ordine dei valori, ciò che è più importante e ciò che lo è meno, ciò che è centrale e ciò che è periferico. L’immagine del chiudere presuppone che essi siano i detentori del potere delle chiavi, ossia che possiedano l’autorità dell’insegnamento. 
Essi, servendosi della propria autorità, sbarrano agli uomini loro sottomessi l’accesso al regno dei cieli. Le autorità giudaiche impediscono l’accettazione del vangelo di Gesù. Viene messa in discussione anche la loro attività missionaria. Flavio Giuseppe in Ap. 2,10.39 attesta i successi dell’attività missionaria dei giudei della diaspora dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. L’appellativo «guide cieche» evidenzia nuovamente la loro smania di fare proseliti. Probabilmente Matteo si riferisce all’attributo onorifico «guide di ciechi» che si dava ai missionari giudei (cf. Rm 2,19). Il «guai» del v. 16 riguarda anche l’abuso del giuramento. 
La situazione era questa: si usavano diverse formule di giuramento. 
Questo avveniva per rispetto verso il nome santo di Dio. Per non pronunciarlo si giurava per il cielo, per Gerusalemme o per altro (cf. Mt 5,34-35). Probabilmente ne derivò la triste conseguenza che coloro che giuravano il falso, quando erano scoperti, replicavano di non aver giurato per Dio e quindi non erano tenuti a mantenere il giuramento. 
Gesù non approva le cautele casuistiche adottate nel giuramento. Esse sono espressione di stoltezza e di cecità. I vv. 21-22 sottolineano l’unità di tempio, cielo e Dio. Il tempio e il cielo appartengono a Dio, sono la sua casa e il suo trono (cf. 1Re 8,13; Sal 26,8; Is 66,1; Mt 5,34). 
Ogni giuramento è chiamare Dio come testimone, quindi l’abuso del giuramento è contro Dio. 
Padre Lino Pedron
----

Preghiera del mattino del 26/VIII/2013

O mio Signore, concedimi oggi una fede attiva, una carità operosa e una speranza costante. 
Perché aspettare ancora a proclamare il tuo nome? 
È una grazia infinita l'essere scelti ad annunciare il tuo Vangelo a quelli che hanno fatto naufragio, annunciarlo agli oppressi, ai cuori insicuri che potranno essere consolati solo da una parola d'amore che venga da te. Acconsenti al mio desiderio: che io divenga l'amore all'interno della madre Chiesa. 
A motivo del Vangelo e del mio battesimo, rinnova in me lo slancio missionario.
-----

domenica 25 agosto 2013

Messaggio di Medjugorje del 25 agosto 2013

Cari figli! 
Anche oggi l’Altissimo mi dona la grazia di essere con voi e di guidarvi verso la conversione. 
Giorno dopo giorno Io semino e vi invito alla conversione perché siate preghiera, pace, amore e grano che morendo genera il centuplo. 
Non desidero che voi, cari figli, abbiate a pentirvi per tutto ciò che potevate fare e che non l’avete voluto. 
Perciò, figlioli, di nuovo con entusiasmo dite: «Desidero essere segno per gli altri». 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
---------
-----

La "porta stretta" della salvezza

Una «porta stretta» ci separa dalla felicità: “la porta della fede che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma” (Benedetto XVI). La “porta stretta” è quella della Chiesa. Ad essa hanno bussato generazioni di pagani che volevano vivere come i cristiani.
In questi avevano visto le primizie di una vita diversa. Sapevano che, dietro quella “porta”, vi era un Regno che non aveva eguali sulla terra. La luce che risplendeva in questo Popolo nuovo offriva a tutti una nuova speranza di “salvezza”, diversa dalle religioni, dalle filosofie, dalla politica e dai divertimenti: “quando irruppe il cristianesimo, la sua superiore capacità di affrontare i problemi cronici dell’Impero Romano diventò presto evidente e giocò un grande ruolo nel suo definitivo trionfo”(Rodney Stark).
Crollavano certezze e, nella decadenza politico-morale dell’Impero Romano, la giovane Chiesa emergeva come una roccia indistruttibile. La testimonianza che spesso diveniva martirio spalancava il Cielo in una terra che odorava di morte. Se i cristiani potevano offrire gratuitamente la vita per un nemico, allora significava che la vita eterna da loro predicata era l’unica speranza attendibile. E poi lo si vedeva nei loro volti, in quegli sguardi capaci di cantare sereni davanti agli aguzzini e ai leoni che ne ghermivano la vita.
Per questo, nel “tale” che “chiede” a Gesù se “sono pochi quelli che si salvano”, possiamo riconoscere tutti gli uomini di ogni generazione che hanno cercato nei cristiani la risposta al senso della propria vita. E la Chiesa, con Gesù, non cessa di rispondere annunciando una “porta stretta”: gli apostoli predicano da sempre Cristo crocifisso, perché è la Croce la porta attraverso la quale il Signore è entrato nel Cielo, conquistando per tutti la “salvezza”. Al Signore e ai suoi discepoli non interessa la contabilità dei salvati. Egli ha dato la vita per tutti, e con il Padre, vuole che tutti siano salvati. Ma mai violentando la libertà.
Non vi è allora altro cammino che quello, angusto, della Croce, dove la libertà dell’uomo incontra quella di Dio. Su di essa il Padre offre la “salvezza” mentre l’uomo può liberamente accoglierla: “attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù” (Benedetto XVI).
Nelle parole di Gesù vi è rappresentato proprio questo cammino: esso è sintetizzato dal suo inizio - quando si bussa per la prima volta alla porta stretta della Chiesa - e dalla sua fine – quando si bussa alla porta altrettanto stretta del Cielo. Il cammino tra queste due porte è riassunto nella “conoscenza”, che significa relazione intima d’amore. Attraverso il catecumenato la Chiesa gestiva nei catecumeni l’uomo rinnovato ad immagine di Cristo. Un cristiano, infatti, “viene da” Cristo, e con Lui “lotta per entrare” nella vita attraverso la porta stretta della Croce. Al termine di ogni giorno come alla sera della vita, sulla soglia del Regno sarà “conosciuto” da Colui del quale ha conservato l’immagine, pur in mezzo a mille battaglie e cadute.
Anticamente, all'interno della porta grande di una città ve ne era una di servizio, più piccola, che veniva chiusa per ultima. Era proprio la Croce, la porta che attendeva Gesù a «Gerusalemme», e ogni suo discepolo nella propria «città». Solo attraverso di essa possiamo entrare ogni giorno nel “Regno di Dio”, che si realizza nella “città” dove siamo chiamati a vivere: al banco di scuola o dietro la scrivania dell’ufficio, a pranzo e a cena con moglie e figli e, di notte, distesi sul talamo nuziale. Ovunque si schiude per noi il pertugio a forma di Croce attraverso il quale giungere al prossimo e “servirlo”.
Viviamo in un tempo di Grazia donatoci per convertirci, sino al giorno in cui la porta sarà «chiusa». Forse lambiamo la serietà della vita, non accettiamo che vi sia un giudizio e che vi siano momenti irripetibili per amare che si aprono e si chiudono: su di essi saremo giudicati. Dio, infatti, apre ogni giorno delle porte strette, con la forma della moglie o del marito; magari non ci piacciono e non le accettiamo, ma se le sfuggiamo perderemo l’intimità con Cristo, “allontanati” da Lui e dalla “salvezza”, la felicità che non si corrompe.
Forse, chiedendoci “quanti” si salvino, cerchiamo spiegazione allo scandalo dell’amore di Dio che fa sorgere il sole su buoni e cattivi e non estirpa il male; mentre questa domanda dovrebbe incendiare il cuore di zelo per la salvezza di tutti: la Chiesa non può restare indifferente anche a uno solo che si perda. Forse ci indigniamo anche noi, ed è un modo per eludere la questione fondamentale: non importa “quanti si salvino”, ma se io sarò tra di loro. La storia ci dice che non siamo salvi affatto. Quante volte abbiamo «cercato» di «entrare» nella comunione e nella pace con i fratelli ma «non ci siamo riusciti»; la sapienza della carne ci ha abituato a passare per la porta larga della soddisfazione del proprio “io”; così, di fronte all'urgenza di donarci per salvare il matrimonio o per non perdere nostro figlio, non sappiamo da dove cominciare. Il peccato ci ha fatto sperimentare la morte e, come i progenitori «scacciati fuori» dalla casa del «Padrone», «non abbiamo forza» di «lottare» per amare.
Allora ci affrettiamo a «bussare», pregando e chiedendo consigli, ma è solo il tentativo di giustificarci con le nostre «opere». Certo Gesù ha «insegnato» nelle nostre chiese, è stato «presente» quando «abbiamo mangiato e bevuto» nelle liturgie; ma non saremo giudicati in base al numero di messe a cui abbiamo partecipato: dinanzi alla «porta stretta» della Croce, infatti, scopriamo di aver sepolto “iniquamente” nella superbia l’immagine di Gesù, nonostante i riti e gli impegni in parrocchia. Il Padre non può riconoscere chi non ama come il suo Figlio, anche se ha il suo nome sempre tra le labbra… 
Ma è ancora giorno, e Gesù “passa” accanto a noi “insegnando” come convertirci, perché il «pianto e lo stridore di denti» che sperimentiamo oggi a causa dell’orgoglio, non ci accompagnino domani e per l’eternità. La salvezza è dischiusa dinanzi a noi oltre la «porta stretta» del sepolcro del Signore. La forza dirompente della sua risurrezione ha rotolato via la pietra che ci impauriva e ci attira verso di Lui. 
Lasciamo che il Signore tagli via quanto in noi è troppo grande e ci impedisce di passare per la "porta stretta"; che, attraverso persone ed eventi, ci faccia scendere dai «primi» posti della superbia, all’«ultimo» dell’umiltà che ci salva. Il suo amore può “allontanare” da noi l’uomo vecchio “operatore di iniquità”, per farci entrare nel Regno di Dio e sederci a «mensa» in compagnia dei Patriarchi e dei “profeti”, sperimentando come loro la stessa fedeltà di Dio. Con noi giungeranno moltitudini “da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno”, da ogni estremo confine della terra dove l’annuncio del Vangelo li ha “salvati” come ha “salvato” noi. 
Takamatsu, 23 Agosto 2013 (Zenit.Org) (Don Antonello Iapicca)
------

Verranno da oriente a occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio

Lc 13,22-30 
Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: «Signore, aprici!». Ma egli vi risponderà: «Non so di dove siete». Allora comincerete a dire: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». Ma egli vi dichiarerà: «Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!». Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi». 

Questo brano parla della lotta per entrare nella salvezza. La porta è Gesù: attraverso di lui tutti gli uomini sono salvati. Unico biglietto d’ingresso è il bisogno; unico impedimento, la falsa sicurezza e la presunta giustizia. 
Per entrarvi basta riconoscersi peccatori e accettare il perdono di Dio. Nessuno si salva per i propri meriti, ma tutti sono salvati dalla misericordia di Dio. 
La porta è dichiarata stretta perché l’io e le sue presunzioni non vi passano: devono morire fuori. 
La Bibbia ci insegna che l’uomo non può salvarsi con le sue forze (Lc 18,26-27), ma tutti siamo salvati dall’amore gratuito del Padre. Quindi la porta della salvezza è strettissima perché nessuno si salva, ma è larghissima perché tutti veniamo salvati. «Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4). 
La salvezza è un dono. Costa solo la fatica di aprire il cuore e la mano per accoglierla. Ma è una grande lotta, perché il cuore è duro e la mano rattrappita (Lc 6,6ss). Il dono non toglie l’iniziativa: è un pegno che impegna. 
Bisogna fare come se tutto dipendesse da noi, sapendo che tutto dipende da Dio. 
Solo in questo modo si eliminano la pusillanimità e l’ansietà, la superbia e la presunzione. La salvezza ha come porta l’umiltà. Convertirsi è accettare di vivere della misericordia di Dio. È la morte dell’io per vivere di Dio. Il giusto più si accanisce ad accrescere il suo bagaglio di giustizia, più è impedito ad entrare attraverso la porta della salvezza, che è dono e grazia. 
L’interlocutore anonimo aveva chiesto se erano pochi quelli che si salvano. Gesù risponde di stare attenti a non rimanere fuori dalla sala del Regno. Il tempo per decidersi ad entrare è poco. Da un momento all’altro il padrone chiuderà per sempre la porta. Gli esclusi non sono i tradizionali nemici della salvezza, come siamo abituati a pensare, ma gli ascoltatori di Gesù. 
Il motivo della condanna non è la loro ignoranza di Cristo, ma l’inadempienza dei propri doveri morali. La fede non è, prima di tutto, conoscenza di Cristo, teoria o teologia, ma vita vissuta in consonanza con i comportamenti di Gesù. Di fronte all’indifferenza degli ascoltatori Gesù, e l’evangelista con lui, ha creduto opportuno far ricorso alle minacce. 
La prospettiva di un castigo irreparabile può risvegliare dall’incoscienza e dalla superficialità. Nel v. 28 viene descritta la sorte opposta di chi sta dentro e di chi sta fuori dal Regno. I patriarchi e i lontani saranno nel Regno perché hanno avuto fede e si sono convertiti al dono di Dio. 
Padre Lino Pedron
------

Preghiera del mattino del 25/VIII/2013

Gesù, mio Signore e Maestro, essere fedele all'insegnamento del tuo Vangelo è spesso uno sforzo arduo; io sono scoraggiato per le mie numerose cadute e per i miei numerosi fallimenti. 
Devo ricordarmi che il santo è un peccatore che non ha mai cessato i suoi sforzi. 
Ritrovo allora speranza e coraggio nel sapere che tu sei il Dio onnipotente e manifesti la tua potenza soprattutto nel tuo amore, nella tua misericordia e nella tua pazienza infinita. 
Comincio questa giornata senza paura, perché tu non mi lascerai mai intraprendere la mia lotta da solo.
----

sabato 24 agosto 2013

Preghiera

Signore Gesù, tu che hai aperto le orecchie al sordo, hai fatto parlare il muto e hai ridato la vista al cieco, fa’ che io possa ascoltare sempre la tua Parola, seme di vita eterna; aiutami ad essere armonia con il creato e tutto ciò che esso contiene. 
Ti prego! Aggiungi anche me tra i tuoi discepoli per essere sale della terra e luce per quanti incontrerò. 
Fa’, O Signore, che io sia sempre portatrice della tua gioia. 
maria m.
----

Un pizzico di Vangelo/30

Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate ! 
Mc. 13,37
----

Un pizzico di Vangelo/29

Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame. e chi crede in me non avrà più sete. 
Gv. 6,35
----

Un pizzico di Vangelo/28

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 
Gv. 6,54
----

Commento al Vangelo del 24/8/2013

vedi questo LINK
--- 

Preghiera del mattino del 24/VIII/2013

Accresci, Signore, la nostra gioia nel cercarti ogni giorno; sopprimi le nostre paure e i complessi, che ci impediscono di manifestare la nostra fede nella comunità. 
Fa' che i poveri, i semplici e i non credenti siano interpellati mediante la tua grazia, che agisce nella Chiesa. 
San Bartolomeo ci aiuti a purificare quello che facciamo e che siamo, ogni giorno, in modo tale che siamo la luce che spinge a seguire Gesù, Via, Verità e Vita.
----

venerdì 23 agosto 2013

Un pizzico di Vangelo/27

Così, vi dico, c'è gioia davanti agli Angeli di Dio per un solo peccatore che si converte. 
Lc. 15,10
-----

Un pizzico di Vangelo/26

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 
Mt.5,3
-----

Un pizzico di Vangelo/25

Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 
Gv.14,6
----

Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso

Mt 22,34-40 
Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». 

Questa terza controversia tocca un argomento scottante per il giudaismo. I rabbini ripartivano i 613 precetti della Legge in 365 proibizioni (numero dei giorni dell’anno) e in 248 comandamenti (numero delle componenti del corpo umano). 
Si trattava di sapere qual era il precetto fondamentale. 
La risposta di Gesù unisce tra loro l’amore di Dio e l’amore del prossimo (Dt 6,5 e Lv 19,18). Tutta la Legge è adempiuta in questi due amori che diventano un solo amore in Gesù, nel quale Dio e l’uomo si uniscono in una sola persona. È nella capacità di tenerli uniti anche nella vita del cristiano che si misura la fede. 
L’unione dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo come culmine della Legge è un concetto specificamente cristiano e costituisce la sostanza di questo brano e di tutto il vangelo di Gesù. Occorre però ricordare che Gesù ha ridefinito il concetto di prossimo (cf. Lc 10,30-37). L’amore del prossimo ha come presupposto l’amore di sé stessi. Ma l’amore evangelico di sé stessi! In Cristo si è manifestato l’amore di Dio e del prossimo in forma assoluta ed esemplare. È lui l’unico modello.
Padre Lino Pedron
----

Preghiera del mattino del 23/VIII/2013

Mio Dio, tu sei la carità e l'amore personificati. 
Possano la carità e l'amore diventare in me perfetti, perché il tuo amore bruci tutto il mio egoismo e io ti lodi dal mattino alla fine della mia giornata, non solo a parole, ma anche nelle mie azioni.
-----

giovedì 22 agosto 2013

Ardo d'amore per te!

Gesù, in questo momento sto pensando a te e al tuo meraviglioso progetto che hai su di me. Si, tu mi hai fatta a tua immagine e somiglianza (Gen,1,26). A immagine e somiglianza della tua Essenza di Bene, vuol dire, mio Gesù, che io partecipo della tua natura di bene, mai il male. 
Ora mi rendo conto del perché mi sento in pace quando perseguo il bene che tu, Gesù mi indichi, quando sono turbata, quando il male mi tenta e mi vuole far cadere dalla sfera della tua volontà. Solo ora comprendo cosa vuol dire essere chiamati figli di Dio o figli della Luce. 
Lo dice chiaramente S. Paolo: "Comportatevi come figli della luce; il frutto della luce (il tuo Cuore buono dentro di noi) consiste in ogni bontà giustizia e verità (Ef 5,8-9). Ecco cosa significa avere un cuore buono a tua immagine e somiglianza. 
Maria M.
-----
-----

Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze

Mt 22,1-14 
Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: «Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!». Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?». Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». 

Il banchetto è organizzato da un re per le nozze del figlio. I primi invitati, il popolo d’Israele, manifestano indifferenza colpevole (v. 5). I vv. 6-7 sono ispirati alla parabola dei vignaioli. Probabilmente Matteo ha presente le persecuzioni contro i predicatori cristiani e la distruzione di Gerusalemme nell’anno 70. Dopo il rifiuto dei primi chiamati, l’invito è rivolto a tutti, "buoni e cattivi" (v. 10).
La sala piena di commensali è immagine della Chiesa. La parabola è un appello a tutti perché sappiano che il momento è decisivo e non si può differire: "Tutto è pronto" (v. 4). Di fronte alla chiamata del vangelo non c’è niente di più importante da fare. Per stare nella sala del banchetto (la Chiesa) bisogna accettare di ricevere il vestito di nozze: la conversione, la fede. la grazia. La comparsa del re nella sala significa il giudizio dei convitati. Il giudizio non riguarda solo i primi invitati che hanno rifiutato l’invito alle nozze. I secondi non si illudano che basti essere nella Chiesa per essere salvati. L’avvertimento finale della parabola ricorda ai convitati della comunità cristiana l’esigenza della loro vita secondo il battesimo e la serietà del loro impegno. 
La chiamata di Dio non pone condizioni preliminari: la Chiesa è il luogo del grande raduno e gli invitati sono tutti peccatori. Ma peccatori che si convertono. Il detto riguardante i chiamati e gli eletti non invita a fare i conti sui salvati e i dannati: sarebbe in contraddizione con l’uno senza abito di nozze tra i tanti invitati che riempivano la sala. 
Questa frase è una interpellanza personale all’ascoltatore perché cerchi di non essere nella condizione di colui che viene gettato nelle tenebre. 
Padre Lino Pedron
---

Essere fedeli al proprio servizio

Un sacerdote pone alcune domande a una famosa benefattrice, poco prima della sua morte. "Non pensa che ciò che lei ha fatto è una goccia d'acqua in mezzo ad un'immensità di bisogni?". Risposta: "La sola cosa importante è la fedeltà personale". 
Bella lezione! E' ben vero che non possiamo prendere su di noi tutti i problemi del mondo. Ma ciò che Dio richiede da ciascuno di noi è la fedeltà, è una marcia coerente con la nostra fede; è rispondere al bisogno che è posto davanti a noi. Non dobbiamo forse riconoscere che troviamo spesso dei pretesti per non fare ciò che è posto davanti a noi? Ci stimiamo sovraccarichi di doveri che riteniamo imperativi, sollecitati da tante urgenze che potrebbero attendere, preoccupati da tanti pensieri talvolta ingiustificati. 
Molto spesso, simili al sacerdote o al levita della parabola del buon Samaritano (Lc 10,25-37) vediamo il nostro prossimo nelle difficoltà, ma "passiamo oltre" poiché questa è la soluzione più facile. Bisogna forse ricordare che il buon Samaritano - bella immagine del Signore Gesù Cristo - ha visto il ferito, si è fermato, si è avvicinato, si è chinato su di lui, l'ha curato e lo ha portato in un luogo sicuro? Tra i nostri vicini, forse il vicino di casa, o nella nostra Chiesa, esistono certamente delle anime ferite dalla vita moderna, che giacciono (moralmente) sul ciglio della strada, incapaci di rialzarsi. Che cosa facciamo per loro? 
El. da Maria M.
---------

Preghiera del mattino del 22/VIII/2013

Dio onnipotente, senza del quale nulla vi è di forte e nulla vi è di santo, fa' che non contiamo sulle nostre forze, ma che cerchiamo di fare sempre la tua volontà, considerandoci tuoi servitori, chiamati, non per i nostri meriti, ma per la tua bontà amorosa, a prendere parte all'opera della nostra stessa redenzione.
------

Preghiera del mattino del 21/VIII/2013

Signore, fa' che questa mattina io senta la voce della tua bontà amorosa: che non trascuri mai le tue ispirazioni e abbia, invece, sempre fiducia nella tua bontà. Insegnami a fare la tua volontà e a ricevere da te il frutto della tua vigna, che è il dono del tuo corpo e del tuo sangue, perché tu sei il mio Signore e il mio Dio.

mercoledì 21 agosto 2013

Epistolario di san Pio/39

Non temere la rabbia di Satana che freme perché ti vede affaticarti per causa di Dio.
---

Sei invidioso perché io sono buono?

Mt 20,1-16 
Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: «Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò». Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: «Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?». Gli risposero: «Perché nessuno ci ha presi a giornata». Ed egli disse loro: «Andate anche voi nella vigna». Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: «Chiama i lavoratori e da' loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi». Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: «Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?». Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». 

I due detti di Gesù: "Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi" (Mt 19,30) e "così gli ultimi saranno primi e i primi gli ultimi" (Mt 20,16) servono come inclusione della parabola degli operai della vigna. 
Il messaggio è questo: rinunciare ad essere grandi per diventare piccoli, accettare che l’ultimo riceva quanto il primo. Il Regno è un dono gratuito, una grazia da accogliere. Spontaneamente siamo tentati anche noi di mormorare contro il Signore della vigna, perché il suo modo di agire mette a soqquadro i nostri criteri di valutazione, di retribuzione equa, di giustizia sociale, di merito. 
Ma trasferendo le nostre misure sul piano della salvezza, noi poniamo il problema in modo sbagliato: essere ingaggiati nella vigna del Signore, essere chiamati al Regno è una grazia, un onore, una gioia, una fortuna. E se Dio chiama tutti e a tutte le ore e accorda il medesimo dono straordinario e gratuito che è la salvezza, ciò deve farci straordinariamente felici, anche perché, erroneamente, tutti riteniamo di essere operai della prima ora che reclamano la salvezza come un diritto, mentre in realtà ci viene concessa come dono. 
Dio si riserva la libertà dalla scelta per grazia, che abbatte la presunzione umana. 
A imitazione di Dio, i "primi" sono invitati a guardare agli "ultimi" con bontà e non con cuore cattivo. L’amore di Dio raggiunge tutti gli uomini e non fa differenze. Il salario è sempre lo stesso e non può essere diviso perché il premio della vita è Gesù Cristo. 
Padre Lino Pedron
----

martedì 20 agosto 2013

Un pizzico di Vangelo/24

Qual vantaggio avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima ? 
Mt. 16,24
----------

Un pizzico di Vangelo/23

Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 
Gv.12,46
----

Un pizzico di Vangelo/22

Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. 
Gv.15,17
----

Un pizzico di Vangelo/21

Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo 
Lc. 14,27
----

Preghiera del mattino del 20/VIII/2013

Dio onnipotente, infondi in noi un sentimento d'amore così grande, da amarti in ogni cosa e al di sopra di ogni cosa, da credere che, con te, diventa possibile tutto quanto ci esorti a fare, poiché noi diventiamo capaci di tutte le grandi azioni che il tuo amore può portare a compimento in noi.
-----

lunedì 19 agosto 2013

Davanti a Te

Davanti a Te , o Madre deponiamo tutte le nostre miserie implorando la tua intercessione presso Tuo Figlio Gesù. 
Benedici le nostre famiglie e allontana da noi tutte le insidie che il mondo moderno porta alle nostre anime. 
Marco
....

Promesse...

Noi non possiamo tenere fede a tutte le promesse che facciamo. 
Ma Dio è fedele al 100%. 
Tutte le promesse di Dio sono un "si" a Cristo. 
2 corinzi 1,20
----

Se vuoi essere perfetto, vendi quello che possiedi e avrai un tesoro nel cielo

Mt 19,16-22 
Ed ecco, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze. 

Per avere parte alla vita eterna bisogna vivere secondo Dio, secondo i suoi comandamenti. La povertà evangelica richiesta a questa persona non è un consiglio, ma un ordine, altrettanto impellente quanto quello dell’amore indissolubile che rende eunuchi per il regno dei cieli. 
La povertà non rappresenta una via migliore e più sicura, che si può percorrere se si vuole e che Gesù si accontenterebbe di raccomandare, ma la condizione assoluta della perfezione obbligatoria, ogni volta che il mantenimento dei beni diventa un ostacolo alla salvezza. 
Anche qui, come nel brano precedente, non si tratta direttamente di un appello alla vita religiosa o di speciale consacrazione – anche se l’episodio può servire a illustrarla – ma di un invito rivolto ad ogni uomo a ricevere l’amore e a viverlo nel distacco, ad abbandonare la parte che si possiede per ricevere il tutto che Gesù offre. 
La risposta data a Gesù da questo tale: "Ho sempre osservato tutte queste cose" (v. 20) è un atto di presunzione. Il comandamento dell’amore del prossimo, che egli afferma di osservare, richiede la volontà di donazione e di impegno totali, separandosi dai beni e donando il ricavato ai poveri. Ma egli "aveva molte ricchezze" (v. 22). La rinuncia ai possedimenti non è richiesta per motivi di santità, come a Qumran, o come espressione di autodominio, come avveniva presso i cinici o gli stoici, ma assume il carattere specificamente cristiano di espressione dell’amore del prossimo, che dona ciò che ha ai poveri. 
L’assicurazione della ricompensa, un tesoro nei cieli, resta salvaguardata dal malinteso dell’"io ti do affinché tu mi dia", se viene intesa nel suo vero significato, come ricompensa di grazia. Questo tale rifiuta l’invito a seguire Gesù perché non accetta le condizioni poste dal Maestro. 
La tristezza che lo affligge ha le sue radici nell’amore di sé e del mondo. 
Padre Lino Pedron
----

Preghiera del mattino del 19/VIII/2013

Tu esorti chi ti ama ad essere perfetto come il Padre celeste. 
Fa' che il nostro amore per i beni materiali non diventi mai un ostacolo a seguire te, che dai tanto valore alla povertà. 
Fa' che, come celebriamo il mistero della tua morte, così imitiamo il tuo amore perfetto, perché il nostro cuore sarà là dove è il nostro tesoro.
----

domenica 18 agosto 2013

Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione

XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) 

Lc 12,49-53 
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». 

Gesù presenta la sua azione rinnovatrice nell’immagine del fuoco. Si tratta del fuoco del giudizio finale (cfr Lc 3,9) e del fuoco della Pentecoste (cf. At 2,3), perché il giudizio definitivo di Dio sul mondo è il dono dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è l’amore di Dio per l’uomo, che sgorga dalla morte stessa del Figlio. 
Gesù continua a parlare della sua missione, in particolare del traguardo che lo attende e che egli chiama «battesimo ». Il battesimo che egli prevede e desidera è l’immersione nel proprio sangue, nella propria morte. La morte non è un momento facile nella vita di Gesù; essa tiene angustiato tutto il suo animo, come rivelerà nel Getsémani e sulla croce. Il suo desiderio è di arrivarvi quanto prima e così porre fine al suo tormento, ai contrasti e ai conflitti che si alternano nella sua coscienza. 
Le proposte di Gesù sono incendiarie, non lasciano indisturbati, provocano una rivoluzione in chi le accoglie, ma anche una violenta reazione in chi le rifiuta. Sono proposte radicali che chiedono risposte radicali. Gesù è il salvatore e il liberatore dell’uomo da ogni sua precedente oppressione, per questo deve provocare divisioni e rivolgimenti nelle strutture sociali e familiari. 
La scelta di Cristo e del suo vangelo produce reazioni anche violente da parte delle persone a cui il cristiano è legato. Senza esitazione occorre preferire Cristo agli amici e ai familiari. La profezia di Simeone che ha presentato Gesù come «segno di contraddizione» (Lc 2,34) trova anche qui la sua attuazione. La proposta che il vangelo rivolge agli uomini di tutti i tempi è quella di una scelta radicale pro o contro Cristo. 
E non c’è spazio per i compromessi. Il cristiano urta non solo le situazioni familiari, ma spesso anche le strutture sociali e coloro che le reggono e le dominano a proprio vantaggio. La lotta contro di essi è inevitabile quando ci si trova schierati dalla parte di Cristo e del vangelo. L’appartenenza a Cristo esige da noi una vita pasquale di morte e risurrezione con strappi e lacerazioni. Sono i costi della libertà e della vita nuova. 
Padre Lino Pedron
------

sabato 17 agosto 2013

Un pizzico di Vangelo/20

Il Regno di Dio è in mezzo a voi ! 
Lc.17,21
----

Un pizzico di Vangelo/19

Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 
Mt.6,33
-----

Non impedite che i bambini vengano a me

Mt 19,13-15 
Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là. 

Questo brano sull’accoglienza dei bambini illumina ulteriormente il brano precedente sull’indissolubilità del matrimonio. 
Per entrare nel regno dei cieli bisogna diventare come bambini (Mt 18,3-4), ma i discepoli non l’hanno capito perché respingono i bambini con la stessa incomprensione con cui altri ripudiano la propria sposa. 
Solo Gesù può donare l’amore fedele e accogliente, ma per accoglierlo bisogna diventare piccoli, entrando nella logica della fede. 
Nell’agire di Gesù si nota una dedizione diretta e immediata ai bambini. È un aspetto caratteristico della sua attività. Sullo sfondo della posizione insignificante del bambino questo atteggiamento va visto come offerta di grazia a coloro che non hanno nulla e come una critica ai pregiudizi del mondo degli adulti. 
Il bambino viene preso seriamente come interlocutore di Dio. L’essenza dell’essere bambini sta in questo: soltanto l’amore fornisce al bambino il criterio di misura di ciò che gli è vicino e di ciò che gli è estraneo. «Anche se gli si mostrasse una regina con il suo diadema, egli preferirebbe la sua mamma anche se fosse vestita di stracci» (san Giovanni Crisòstomo). 
Coloro che sono diventati come bambini preferiscono il loro Signore umiliato e morto in croce a tutte le lusinghe del mondo. I bambini si aprono con spontaneità alla benedizione di Dio che Gesù dona loro. Con ciò viene comunicata loro, già ora, una felicità sincera. 
Padre Lino Pedron
-----

venerdì 16 agosto 2013

Un pizzico di Vangelo/18

Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. 
Gv.16,20
----

Un pizzico di Vangelo/17

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. 
Mt.7,12
----

Un pizzico di Vangelo/16

Non giudicate e non sarete giudicati. 
Lc.6,37
----

Un pizzico di Vangelo/15

Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro. 
Lc.6,36
----

Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli

Mt 19,3-12 
Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». Gli domandarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e di ripudiarla?». Rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all'inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un'altra, commette adulterio». Gli dissero i suoi discepoli: «Se questa è la situazione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

Con la domanda dei farisei sul divorzio appare lo scacco dell’amore in seno alla coppia. È questa infatti la prima cellula dove "due sono uniti nel nome di Cristo" (Mt 18,20). L’intervento dei farisei mette sotto accusa Gesù e la novità del Regno. 
La domanda "È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?" è importante. 
Al tempo di Gesù l’interpretazione di Dt 24,1 contrapponeva i seguaci di due scuole rabbiniche, quella di Hillel che ammetteva il divorzio per qualsiasi motivo, e quella di Shammai che richiedeva, come minimo, una cattiva condotta comprovata, anzi, un adulterio da parte della moglie. La risposta di Gesù supera subito la disputa interpretativa tra i seguaci di Hillel e di Shammai. Alla maniera rabbinica, egli cita i brani di Gen 1,17 e 2,24 situando così la discussione a livello superiore: quello della volontà del Creatore. 
La distinzione tra i sessi trova quindi la sua origine nel Creatore: è più un’intenzione creatrice vissuta e rivelata che un semplice fenomeno di natura. Gesù cita Gen 2,24: "L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola" (v. 5) per sottolineare che è la volontà creatrice di Dio che unisce l’uomo e la donna. 
Quando si uniscono, è Dio che li unisce: la congiunzione dell’uomo e della donna è l’effetto della parola di Dio. 
La risposta di Gesù è quindi chiara: per volontà esplicita di Dio creatore il matrimonio è indissolubile, non si può divorziare per nessun motivo. Un testo di Malachìa (2,13-16) dichiarava già prima di Cristo che ripudiare la propria moglie è rompere l’alleanza di Dio con il suo popolo (cfr anche Os 1-3; Is 1,21-26; Ger 2,3; 3,1.6-12; Ez 16 e 23; Is 54,6-10; 60-62). 
Questa risposta di Gesù pare tuttavia in contraddizione con la legge di Mosè, che permetteva di dare un attestato di divorzio. Gesù, nuovo Mosè, riporta con forza la questione nei suoi giusti termini: all’amore di Dio che fa alleanza con l’uomo e gli dà la capacità di superare la durezza del cuore (v. 8), cioè la mancanza di docilità alla parola di Dio. 
La legge espressa in Gen 1,27 e 2,24 non è mai stata modificata o abolita. Di fronte a questo "amore impossibile" i discepoli reagiscono violentemente: "Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi" (v. 10). Essi indietreggiano davanti all’insopportabile esigenza dell’indissolubilità del matrimonio: impossibile da capire dagli uomini chiusi alla rivelazione di Dio, ma possibile per quelli che ricevono da Dio la grazia di capire. 
Agli eunuchi per nascita o resi tali dagli uomini, Gesù aggiunge una terza categoria: quelli "che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli" (v. 12). L’eunuco è colui che non può compiere l’atto della generazione. Gli eunuchi per il regno dei cieli sono, anzitutto, coloro che, separati dal coniuge, continuano a vivere nella continenza, saldamente fedeli al vincolo matrimoniale. Anche là dove la legge di Mosè permetteva qualche indulgenza, il regno dei cieli esige e promette la comunione indissolubile d’amore in seno alla coppia e disapprova ogni atto che tende a distruggere l’unità sacra del matrimonio come è stata istituita dal Creatore. 
Padre Lino Pedron
-----